da pierodm il 13/05/2009, 18:00
Franz
Che senso ha parlare di politica ed economia in questo modo?
Da una parte la politica trattata come "soggetto pensante" e dunque valutabile in base alla competenza, sanità mentale e coscienza fallibile.
Dall'altro l'economia come soggetto di natura indefinita, dotato di un'altrettanta coscienza indefinita, ma beneficiata ex officio di una saggezza ontologica e intrinseca.
Se, tuttavia, il soggetto economico fosse pure neutro, si possono individuare in esso le caratteristiche del "meccanismo", tale quale i fenomeni naturali legati agli elementi naturali: mare, terra, aria, le onde, le montagne, il vento, le possibili alluvioni, i possibili uragani, i possibili terremoti.
Fallibile o no, la politica - ossia l'organizzazione cosciente e consapevole degli esseri umani - deve in qualche modo "governare" questi elementi e le possibili catastrofi che ne derivano.
Se invece consideriamo - come in effetti è - l'economia come un soggetto assolutamente umano, realizzato da uomini, è facile vedere che è fallibile o infallibile, misurabile in base a competenza e coscienza, o a stupidità e intelligenza, tanto quanto la politica.
In realtà - come tante altre volte abbiamo cercato di dire - non è nemmeno concepibile una oikos che non sia allo stesso tempo polis: solo con l'avvento degli economisti si è creata la frattura e la competizione, per soddisfare il principio per cui il capitale, la finanza e la produzione debbono poter essere studiati e devono poter agire senza gl'impacci etici che la politica porta con sé, insieme alla propria fallibilità.
La democrazia liberal-capitalista, in questo modo, sottrae alla politica la facoltà e la necessità di avere una coscienza economica, e introduce nel sistema una serie di doppiezze etico-morali, o - se si preferisce - crea un sottosistema economico elegantemente sottratto alle regole e alle logiche democratiche, in nome di un'ipotetica "efficienza".
Basta vedere, infatti, che l'affermazione di Franz sulla centralità del capitale, invece che del lavoro, è in aperto conflitto con l'assunto costituzionale di una repubblica fondata invece proprio sul lavoro.
Non è un conflitto casuale, ma profondamente concettuale: un'economia capitalista in realtà non potrebbe sussistere con il rispetto reale dei principi costituzionali dei sistemi democratici.
Non è un caso che, non appena si fa valere nel concreto una qualunque delle regole di democrazia legata ai diritti individuali o di classe, si crea immediatamente un conflitto con le regole e la logica di questo tipo di "economia", e non è nemmeno un caso che gli operatori economici siano sistematicamente controparti conflittuali in quasi tutti i casi in cui un cittadino cerca di far valere un proprio diritto "costituzionale" messo a rischio o violato dalla logica economica e produttiva.
Il fatto, poi, che nell'esercizio politico emergano fenomeni d'incompetenza e di generica fallibilità, è certamente un fatto grave che ha molte conseguenze negative o tragiche: ma questo avviene in tutti i campi, e riguarda il sistema di selezione della politica e il sistema della rappresentanza.
Ma è tuttavia un problema che riusciamo a vedere, poiché la politica è sottoposta al nostro giudizio con relativa trasparenza.
Ma quale possibilità abbiamo di giudicare "l'economia", ossia i soggetti e gli operatori che ne sono i promotori?
Come possiamo fronteggiare, o anche soltanto giudicare, le tragedie causate dall'incompetenza o dalla pazzia di questi soggetti?
Dobbiamo pensare che, per definizione, chi preferisce produrre medicinali o commerciare in sementi, o motozappe, sia più saggio e più filantropicamente coscenzioso di chi si canbdida come assessore o come deputato?
In realtà, quello che i pasdaran del liberismo, del mercatismo e dell'economicismo vogliono è che le tragedie e le malefatte causate dalla "fallibilità economica" siano considerate come "tragedie naturali", senza veri colpevoli, e soprattutto senza che sia applicato al sistema economico lo stesso criterio di giudizio "colpevolista" che viene reclamato a gran voce nei confronti della politica.
Il fatto che, nell'esercitare questa pretesa, si gridi al "comunista" con sistematica e sospetta sistematicità, è una miseria di dettaglio - o meglio, un involontario complimento, che certamente i comunisti di stampo sovietico nemmeno meritano, dato che sono stati i campioni di un capitalismo di stato e di un'ideologia dello sviluppo assai simili a certi dogmi del turbo-capitalismo trionfante negli ultimi decenni.