Come contributo, faccio la mia piccola rassegna stampa sull'argomento, con l'ovvia avvertenza che tutti noi possiamo accedere direttamente ai giornali che ospitano un dialogo con i lettori: un'illuminante integrazione dei "sondaggi".
Stamattina ho dato un'occhiata al Messaggero di Roma.
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Come si fa a dire che le norme del decreto sicurezza non sono razziste? Ma avete letto la norma che impedisce alle madri senza passaporto di riconoscere i propri figli che diventeranno immediatamente adottabili? Non vi ricorda qualcosa? (Per esempo i figli dei desaparesidos argentini che venivano adottati dai loro aguzzini). Ma come si fa a sottrarre un bambino alla propria madre? Ma in quale barbarie siamo precipitati? Come possiamo dirci ancora civili? E nessuno che alzi la voce per impedire questo orrore? Mi vergogo di essere italiano.
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Un florilegio a cura di Piero Mei, giornalista di quelli bravi.
“Gran brutta malattia il razzismo. Più che altro strana: colpisce i bianchi ma uccide i neri” (Albert Einstein)
“Se io vinco sono un americano, non un nero americano. Ma se faccio qualcosa di sbagliato, allora diranno che sono un negro” (Tommie Jet Smith sul podio di Mexico ’68).
“Vivere nel mondo d’oggi ed essere contro l’uguaglianza per motivi di razza e colore è come vivere in Alaska ed essere contro la neve” (William Faulkner).
“Patriottismo, nazionalismo e razzismo stanno fra di loro come la salute, la nevrosi e la pazzia” (Umberto Saba)
“Non mi chiamare straniero perché sono nato lontano o perché ha un nome diverso la terra da dove vengo. / ... / Non mi chiamare straniero e non pensare da dove vengo, meglio sapere dove andiamo, dove ci porta il tempo. / ... / Non mi chiamare straniero, il tuo grano è come il mio grano, la tua mano come la mia, / il tuo fuoco come il mio fuoco e la fame non avvisa mai, vive cambiando padrone. / E mi chiami straniero perché mi ha portato qui un viaggio, perché sono nato in un altro Paese, / perché conosco altri mari e salpai un giorno da un altro porto, ma sempre sono uguali al momento dell'addio i fazzoletti e le pupille confuse di chi lasciamo lontano, gli amici che ci chiamano per nome / e sono le stesse preghiere e l'amore di colei che sogna il giorno del ritorno. / Non mi chiamare straniero, portiamo lo stesso grido, la stessa vecchia stanchezza che viene trascinando l'uomo dall'inizio dei tempi, quando non esistevano frontiere, prima che venissero loro, / quelli che mentono, che vendono i nostri sogni, quelli che inventarono un giorno questa parola: straniero. / Non mi chiamare straniero che è una parola triste, è una parola gelata, ha il puzzo dell'oblio e dell'esilio. / ... / Non mi chiamare straniero, guardami bene negli occhi molto più in là dell'odio, dell'egoismo e della paura. / E vedrai che sono un uomo. Non posso essere straniero!” (Rafael Amor)