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Flexsecurity, ne parliamo?

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Flexsecurity, ne parliamo?

Messaggioda ranvit il 03/05/2009, 11:51

Dal sito http://www.pietroichino.it :


IL PROGETTO PER LA TRANSIZIONE ALLA FLEXSECURITY : SCHEDA SINTETICA

o L’idea centrale è questa: delineare un sistema di protezione del lavoro ispirato ai modelli nord-europei di flexsecurity, destinato ad applicarsi ai nuovi rapporti di lavoro. Questo sistema offrirà :

Þ a tutti i new entrants un rapporto a tempo indeterminato, con un sistema di protezione “alla danese”, che dà sicurezza a tutti e una stabilità crescente con il crescere dell’anzianità;

Þ alle imprese interessate facilità di aggiustamento industriale: nuovi rapporti con costi di licenziamento inizialmente bassi, crescenti con l’anzianità di servizio;

Þ ai dipendenti già in organico la possibilità di accedere al nuovo regime mediante un appo­sito contratto collettivo aziendale; altrimenti, la vecchia disciplina per loro resta invariata.



o Il nuovo regime si applica alle nuove assunzioni delle imprese che stipulano, con uno o più sindacati, il contratto collettivo denominato contratto di transizione al nuovo sistema di protezione del lavoro.



o Il contratto di transizione istituisce un ente bilaterale o consortile, cui viene affidata dalle aziende stipulanti la gestione congiunta dell’assicurazione contro la disoccupazione e dei servizi di riqualificazione e assistenza intensiva nella ricerca del nuovo posto per i lavoratori licenziati.



o L’ente bilaterale o consortile stipula un contratto di ricollocazione con il lavoratore licenziato, che :

Þ gli garantisce un’indennità di disoccupazione pari al 90% dell’ultima retribuzione per il primo anno, digradante del 10% in ciascuno dei tre anni successivi (durata max pari a quella del rapporto di lavoro intercorso, con il limite di quattro anni; il costo totale massimo è pari a circa due annualità dell’ultima retribuzione);

Þ lo obbliga a partecipare a tempo pieno a tutte le iniziative di riqualificazione e ricerca della nuova occupazione attivate per lui;

Þ lo assoggetta, per queste attività a un potere direttivo e di controllo dell’ente;

Þ è suscettibile di recesso per giusta causa da parte dell’ente, in caso di inadempimento del lavoratore; di recesso libero da parte del lavoratore stesso.



o Il finanziamento dell’ente è a carico delle imprese, con un costo stimato, a regime, pari allo 0,5% del monte salari relativo ai new entrants; un meccanismo bonus/malus premia le imprese che ricorrono di meno ai licenziamenti economici e penalizza le altre.



o Tranne pochi casi ben circoscritti in cui è ammesso il contratto a termine, i new entrants in posizione di dipendenza economica dall’azienda sono tutti assunti a tempo indeterminato, con :

Þ periodo di prova di max sei mesi;

Þ controllo giudiziale e art. 18 per il licenziamento disciplinare e quello discriminatorio, salva la possibilità per il giudice, considerate le circostanze, di condannare l’imprenditore anche solo al risarcimento (o, in altri casi, solo alla reintegrazione senza risarcimento);

Þ esenzione dal controllo giudiziale per i licenziamenti non disciplinari: in questo caso tutti i lavoratori hanno diritto a un’indennità di licenziamento crescente con l’anzianità, più il contratto di ricollocazione di cui si è detto sopra.



o Sulle retribuzioni di tutti i new entrants in posizione di dipendenza economica grava un contributo pensionistico del 30% a carico dell’azienda.



o A carico dello Stato: la riduzione a 120 euro annui (10 al mese) dell’Irpef sui redditi di lavoro fino a mille euro al mese (oggi è di circa 1.200 euro annui), per una ulteriore riduzione del “cuneo” tra costo e reddito di lavoro. Costo complessivo per l’Erario: 8 miliardi.

---------------------------------------------------------------------------------

Questo progetto costituisce la linea di divisione tra una sinistra riformista, moderna, liberale, occidentale e quella tradizionale conservatrice, vecchia, statalista, terzomondista.

Vittorio
Ultima modifica di ranvit il 03/05/2009, 12:22, modificato 1 volta in totale.
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Re: Flexsecurity, ne parliamo?

Messaggioda Loredana Poncini il 03/05/2009, 12:03

SI', parliamone, ma, soprattutto, sottoscriviamolo, questo progetto, appoggiandolo come CITTADINI INFORMATI DEI (PROGETTI) FATTI , e portiamolo IN RETE !
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Re: Flexsecurity, ne parliamo?

Messaggioda ranvit il 03/05/2009, 12:20

Loredana il problema è molto piu' complicato di quanto tu fai supporre....

Se questa discussione prende piede vedrai che all'interno del Pd (e anche solo del ns forum) su questo argomento c'è una clamorosa divisione.

Il problema del Pd è che mancano le discussioni anche aspre tese a fare chiarezza. Oggigiorno il Pd ha solo "accomunato" i dirigenti politici nazionali e locali di Ds e Margherita in un unico contenitore indistinto e scolorito.

Gli elettori percepiscono questo "nulla" : alcuni continuano comunque a votare Pd unicamente per opporsi a Berlusconi, altri (meno fidelizzati si astengono).

In realtà oggi non esiste alcun partito : è solo un'accozzaglia di dirigenti e base militante, ognuno convinto che il partito pensi quello che pensa lui....

Vittorio


Ps Per fortuna gli italiani cominciano a notare la pochezza del Cavaliere....ho detto cominciano! Ci vorrà tempo!
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Re: Flexsecurity, ne parliamo?

Messaggioda ranvit il 03/05/2009, 12:51

dal sito http://www.pietroichino.it

LA GEOGRAFIA ECONOMICA USCIRA’ MODIFICATA DALLA CRISI, CON RILEVANTI SPOSTAMENTI DELLA DOMANDA DI LAVORO. E’ DUNQUE NECESSARIO UN SISTEMA DI SERVIZI NEL MERCATO CAPACE DI GUIDARE E ASSISTERE I LAVORATORI NEL PASSAGGIO ALLA NUOVA OCCUPAZIONE,

Articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 1° maggio 2009

I lavoratori che oggi festeggiano il Primo Maggio stanno vivendo la crisi economica in modi molto diversi tra loro. Ci sono quelli ‑ soprattutto dipendenti pubblici stabili, ma non soltanto ‑ che dalla crisi traggono vantaggio: al riparo dalla tempesta, beneficiano della riduzione della rata del mutuo e di molti prezzi al consumo. Poi ci sono quelli che invece questa crisi la soffrono, eccome. Centinaia di migliaia di titolari di contratto a termine, lavoratori “a progetto”, “partite Iva” simulate, che hanno perso o stanno perdendo il posto senza un giorno di preavviso e senza una lira di indennità di disoccupazione. I dipendenti di aziendine cui è stato tolto l’appalto di servizi. I lavoratori in Cassa integrazione, che allo scadere della cinquantaduesima settimana perdono il sussidio. Stanno col fiato sospeso anche i lavoratori di aziende private per i quali fin qui il lavoro non è mancato, ma è pur sempre a rischio.

Per questi milioni di persone che nella crisi rischiano una piccola o grande catastrofe personale e familiare, il governo si ingegna a prolungare di un poco la Cassa integrazione, oppure ad ampliare il campo del trattamento di disoccupazione (ampliamenti piccoli piccoli, perché il nostro debito pubblico non consente di scialare), invitando gli imprenditori a stringere i denti e a rinviare il più possibile i licenziamenti. L’opposizione propone l’allungamento e l’estensione di quei trattamenti a tutti. L’uno e l’altra sperano comunque che, più o meno rafforzati per far fronte all’emergenza, questi ammortizzatori bastino per passare la nottata: l’idea bi-partisan è che, quando il vento tornerà a gonfiare le vele della nostra economia, tutti potranno riprendere il lavoro che hanno dovuto temporaneamente sospendere, come i cuochi e gli scudieri del castello della Bella Addormentata finalmente risvegliata dal bacio del principe.

Le cose, però, non andranno esattamente così. Il vento tornerà ‑ magari anche impetuosamente ‑ a gonfiare le vele soltanto di una parte delle nostre imprese. In alcuni punti del tessuto produttivo sta già incominciando ad accadere: per esempio in settori in cui siamo leader mondiali, come quello del mobile, quello delle macchine utensili, o quello delle nuove tecnologie ferroviarie, dove i cinesi stanno investendo un sacco di soldi e si appresta a farlo anche l’America di Obama. La crisi, però, avrà anche l’effetto di mutare i connotati della nostra economia: un’altra parte delle nostre imprese resterà a secco. Il problema della protezione dei lavoratori è come guidarli e assisterli nell’itinerario che può condurli a trovare la nuova occupazione là dove si sta spostando la domanda di lavoro.

Spendere in trattamenti di integrazione salariale o di disoccupazione è giusto e necessario, ma può persino avere qualche effetto controproducente, di intorpidimento della ricerca della nuova occupazione. Per uscire bene dalla crisi occorre soprattutto attivare ingenti processi di mobilità interaziendale, offrendo ai lavoratori non solo sostegno del reddito, ma soprattutto servizi di informazione, orientamento, formazione professionale di alta qualità, mirata specificamente agli sbocchi fin d’ora individuabili, dove necessario anche assistenza e incentivi alla mobilità geografica. Occorre, per questo, un ordinamento del lavoro in parte nuovo e un sistema di servizi nel mercato che consenta ai lavoratori di affrontare serenamente il processo di aggiustamento industriale, non vedendo in esso un rischio di catastrofe economica personale, ma al contrario un’occasione in cui si investe nel loro capitale umano, la premessa per una migliore valorizzazione del loro lavoro.

Protagonista di questa trasformazione deve essere la contrattazione fra imprese e sindacati. Il sistema di relazioni industriali deve accantonare per qualche tempo le polemiche di questi ultimi mesi e concentrare tutte le energie e le risorse per dotarsi degli strumenti necessari nel mercato del lavoro. Come è accaduto a Bergamo, dove nei giorni scorsi Cgil, Cisl, Uil e associazioni imprenditoriali hanno firmato un accordo locale che può essere per molti aspetti considerato un modello. Iniziative analoghe stanno maturando anche in altre zone del Centro-Nord. Questi accordi territoriali chiedono spazio e – dove possibile ‑ sostegno pubblico per sperimentare tecniche e modelli di protezione del lavoro diversi rispetto al passato. Una cultura industriale adatta ai tempi. Qualche cosa di molto diverso dalle politiche del lavoro puramente passive che abbiamo conosciuto finora.
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Re: Flexsecurity, ne parliamo?

Messaggioda chango il 03/05/2009, 13:25

una proposta interessante che però mi lascia perplesso.

il fatto che questo tipo di contratto si applichi solo ai nuovi entranti o su base volontaria (accordo tra lavoratori e impresa) per chi un contratto lo ha già, rischia di essere soltanto l'aggiunta di un altra tipologia contrattuale a quelle (troppe) già esistenti.

non mi è chiaro poi il punto in cui si dichiara che "il nuovo regime si applica alle nuove assunzioni delle imprese che stipulano, con uno o più sindacati, il contratto collettivo denominato contratto di transizione al nuovo sistema di protezione del lavoro".
vuol dire che se non si stipula il nuovo contratto collettivo anche per i nuovi entranti valgono le vecchie regole?

un altro elemento che mi lascia perplesso è il recesso per giusta causa da parte dell’ente. già oggi sarebbe possibile per i Centri per l'Impiego "disconoscere" come disoccupati e cancellarli dai propri elenchi tutti coloro che rifiutano un offerta di lavoro "congrua". peccato che ciò normalmente non avvenga a causa dell'astrattezza della definizione di offerta congrua.
perchè per un ente bilaterale dovrebbe essere diverso?

un difetto che trovo particolarmente grave è il persistere nel disegno di questa proposta di un'impostazione corporativa che traspare dal ruolo dei sindacati, dalla presenza di enti bilaterali e dal finanziamento dell'ente da parte dell'impresa.
con questo tipo di proposta si abbandona una logica di tipo universalista, visto che con questa legge si crea un forma di indennità di disoccupazione solo per i lavoratori dipendenti e non per tutti i lavoratori.
perchè un lavoratore autonomo non dovrebbe accedere ad un'indennità di disoccupazione?
perchè il servizio di ricollocamento non lo si affida ai Centri per l'impiego?

secondo me in termini di ammortizzatori sociali e mercato del lavoro in Italia avremmo bisogno di altro.
per quanto riguarda il mercato del lavoro una semplificazione delle tipologie contrattuali e, come minimo, una neutralità fiscale dello stato rispetto ai vari rapporti di lavoro.
in termini di ammortizzatori sociali, ma più in generale di welfare, il superamento della dicotomia lavoro dipendente lavoratore autonomo, cambiando il vecchio patto sociale "niente servizi in cambio di evasione fiscale" con un nuovo patto sociale "accesso ai servizi in cambio di fedeltà fiscale".
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Re: Flexsecurity, ne parliamo?

Messaggioda franz il 03/05/2009, 15:23

Perché solo ai nuovi?
Non è la soltita riproposizione dell'Italia divisa in due?
Che dopo mille operazioni del genere è divisa in 2000?

Io vorrei, su questo tema, regole uguali per tutti.

Franz
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Re: Flexsecurity, ne parliamo?

Messaggioda ranvit il 03/05/2009, 16:51

Dal sito di pietro ichino :

CON IL “CONTRATTO DI TRANSIZIONE”, AI NUOVI RAPPORTI DI LAVORO SI APPLICHERÀ UN REGIME DIVERSO RISPETTO AI VECCHI: NON È ANCHE QUESTA UNA FORMA DI DUALISMO DEL TESSUTO PRODUTTIVO?

Sì; ma il nuovo “dualismo” è destinato a essere gradualmente superato, via via che i nuovi assunti sostituiranno i vecchi. Inoltre ‑ e soprattutto ‑ il vecchio sistema duale separa i lavoratori “di serie A”, nettamente privilegiati, da quelli “di serie B”, nettamente svantaggiati; con il “contratto di transizione”, invece, questa “serie B” viene drasticamente abolita (perché le imprese rinunciano ad assumere con contratti di “lavoro a progetto” o, salve poche eccezioni, con contratti a termine) e non è facile stabilire quale sia il regime migliore per il lavoratore, tra il vecchio e il nuovo. Dà sicurezza maggiore, in caso di licenziamento per motivi economici, l’articolo 18 (con l’alea del giudizio e il rischio di rimanere con un pugno di mosche in mano se il licenziamento verrà convalidato dal giudice) o il nuovo regime, con l’indennizzo certo a carico dell’impresa, la garanzia del trattamento di disoccupazione “alla danese” e un servizio di outplacement di buona qualità? E’ davvero difficile sostenere che sia complessivamente migliore il primo (rinvio in proposito al mio scritto “La stabilità del lavoro e il valore dell’eguaglianza”, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2005). Non è irrealistico prevedere che, quando il nuovo regime incomincerà a essere concretamente sperimentato, anche i vecchi dipendenti si renderanno conto che il sistema “alla danese” offre una protezione migliore; e chiederanno ai loro sindacati di negoziare l’estensione del nuovo regime a tutta l’azienda. Dove questo accadrà, il superamento del dualismo sarà immediato.
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Re: Flexsecurity, ne parliamo?

Messaggioda ranvit il 03/05/2009, 16:52

Dal sito di pietro ichino :

PERCHÉ I NUOVI ENTI BILATERALI DOVREBBERO FUNZIONARE MEGLIO DI QUELLI ATTUALI?

L’esperienza recente di molti enti bilaterali è insoddisfacente, è vero; ma è anche vero che i vecchi enti bilaterali cui questo giudizio negativo si riferisce forniscono quasi esclusivamente servizi di formazione professonale, in una situazione nella quale la qualità dei servizi stessi non è, di fatto, soggetta ad alcun controllo (nessun valutatore, per esempio, fornisce l’indice di andamento gestionale di questi enti costituito dal tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi di chi ne ha fruito). Questi vecchi enti operano, dunque, senza alcun vincolo di efficienza e produttività. Gli enti bilaterali previsti nel progetto qui in discussione, invece, saranno soggetti a un vincolo molto stringente: se i loro dirigenti saranno scelti secondo logiche di lottizzazione, o comunque secondo criteri diversi da quello della competenza professionale, essi funzioneranno male e questo si tradurrà immediatamente in periodi di disoccupazione più lunghi, quindi in costi più alti per le imprese finanziatrici. Saranno pertanto queste ultime a controllare con grande attenzione che l’ente bilaterale sia gestito bene; al sindacato soltanto il compito di controllare che il rigore e l’efficienza nella gestione dell’ente non si trasformino in vessazione ‑ o anche soltanto eccesso di severità ‑ nei confronti dei lavoratori che ad esso sono affidati.
Anche per tener conto di questa obiezione, comunque, il disegno di legge prevede l’alternativa tra ente bilaterale e consorzio tra imprese: sarà dunque il “contratto di transizione” a scegliere tra l’una e l’altra forma dell’ente di servizio.
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Re: Flexsecurity, ne parliamo?

Messaggioda chango il 03/05/2009, 17:51

ranvit ha scritto:Dal sito di pietro ichino :

CON IL “CONTRATTO DI TRANSIZIONE”, AI NUOVI RAPPORTI DI LAVORO SI APPLICHERÀ UN REGIME DIVERSO RISPETTO AI VECCHI: NON È ANCHE QUESTA UNA FORMA DI DUALISMO DEL TESSUTO PRODUTTIVO?

Sì; ma il nuovo “dualismo” è destinato a essere gradualmente superato, via via che i nuovi assunti sostituiranno i vecchi. Inoltre ‑ e soprattutto ‑ il vecchio sistema duale separa i lavoratori “di serie A”, nettamente privilegiati, da quelli “di serie B”, nettamente svantaggiati; con il “contratto di transizione”, invece, questa “serie B” viene drasticamente abolita (perché le imprese rinunciano ad assumere con contratti di “lavoro a progetto” o, salve poche eccezioni, con contratti a termine) e non è facile stabilire quale sia il regime migliore per il lavoratore, tra il vecchio e il nuovo. Dà sicurezza maggiore, in caso di licenziamento per motivi economici, l’articolo 18 (con l’alea del giudizio e il rischio di rimanere con un pugno di mosche in mano se il licenziamento verrà convalidato dal giudice) o il nuovo regime, con l’indennizzo certo a carico dell’impresa, la garanzia del trattamento di disoccupazione “alla danese” e un servizio di outplacement di buona qualità? E’ davvero difficile sostenere che sia complessivamente migliore il primo (rinvio in proposito al mio scritto “La stabilità del lavoro e il valore dell’eguaglianza”, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2005). Non è irrealistico prevedere che, quando il nuovo regime incomincerà a essere concretamente sperimentato, anche i vecchi dipendenti si renderanno conto che il sistema “alla danese” offre una protezione migliore; e chiederanno ai loro sindacati di negoziare l’estensione del nuovo regime a tutta l’azienda. Dove questo accadrà, il superamento del dualismo sarà immediato.



perchè mai le imprese dovrebbero rinunciare ad assumere con contratti a progetto?
l'utilizzo di forme contrattuali "flessibili" non è data solo dalla facilità di lasciare a casa il dipendente ma anche dai minori costi per l'impresa che quelle determinate tipologie comportano.
inoltre, una parte consistente dei lavoratori di "serie B" lavora in settori del terziario qualificato in cui è più probabile il passaggio alla partita iva piuttosto che al contratto proposta da ichino.
si parla e scrive molto dei lavoratori dei call-center ma ci si dimentica troppo spesso delle "false" partite iva, cioè le partite iva monocommittente.

andrebbe poi ricordato che solo una parte dei lavoratori dipendenti, quelli delle imprese con più di 15 dipendenti, gode effettivamente delle tutele previste dall'articolo 18 e degli ammortizzatori sociali. per gli altri le garanzie sono minime.

l'intera impostazione sembra prendere in considerazione le imprese di dimensioni medio-grandi. anche per il ruolo del sindacato, che nella piccola e sopratutto micro-impresa svolge un ruolo abbastanza marginale.

rimane poi discutibile che un applicazione di tale regime avvenga a livello aziendale.

se si ritiene che il sistema "alla danese" sia il modello giusto allora che se ne chieda una sua applicazione come regola generale, trasformando i vecchi contratti in nuovi, evitando così di creare un sistema "duale".
chango
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Re: Flexsecurity, ne parliamo?

Messaggioda ranvit il 03/05/2009, 18:11

Dal sito di pietro ichino :

COME PUÒ IL NUOVO REGIME CONVENIRE ALLE IMPRESE DI PICCOLE DIMENSIONI, CUI OGGI NON SI APPLICA L’ARTICOLO 18?

Se anche accadesse che, in una prima fase, il “contratto di transizione” venisse stipulato soltanto da imprese cui si applica l’articolo 18 dello Statuto, non per questo la sperimentazione del nuovo regime di protezione sarebbe meno utile: essa preparerebbe comunque il terreno a una generalizzazione di quel regime, consentendo il superamento del “tabù dell’articolo 18″ e l’acquisizione del know-how necessario per il buon funzionamento dei servizi di riqualificazione e ricollocazione. Ma basterebbe che lo Stato si facesse carico della contribuzione (0,5% sul monte salari) gravante sulle imprese con meno di 16 dipendenti, per rendere vantaggioso il nuovo regime anche per queste, tenuto conto che il progetto dimezza, in questo settore, il preavviso e l’indennità di licenziamento: questa previsione è inserita alla fine dell’articolo 4 del disegno di legge. Se questa sarà la scelta del legislatore, poiché presumibilmente non saranno molte le piccole imprese che in questa fase stipuleranno il “contratto di transizione”, l’onere complessivo per l’Erario sarà, nella fase iniziale, ridottissimo: suscettibile, quindi, di essere ampiamente coperto dal maggior gettito prodotto dal prevedibile aumento delle assunzioni. Nell’ipotesi del tutto astratta in cui il nuovo regime fosse da subito applicabile a tutti i nuovi assunti delle imprese con meno di 16 dipendenti (le quali oggi danno lavoro a poco più di 3 milioni di lavoratori), l’onere complessivo nel secondo anno sarebbe stimabile in circa mezzo miliardo di euro annui.
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