da pierodm il 25/03/2009, 9:46
Stavolta non sono troppo d'accordo con te, Stefano.
Mi spiego.
La Meloni non è niente di eccezionale, su questo concordiamo facilmente.
Ma non è diversa da qualche milione di suoi coetanei, né meglio né peggio, intendo dire: forse particolarmente tenace, come tutti quelli che emergono in politica, quale che sia la strada che hanno percorso - a parte le "veline" berlusconiane, ovviamente, sulla quali meglio non indagare.
Piuttosto, vedendo la ragazza ieri sera, così come altri giovani in altre occasioni, non ho potuto fare a meno di pensare che abbiamo reso un pessimo servizio a queste generazioni, cresciute tra la fine degli anni '80 e i '90.
Gli abbiamo smontato una cultura, o meglio, il ponte tra la realtà e la riflessione, la maturazione, la complessità culturale.
Quando abbiamo cominciato a proclamare che "è finita l'epoca delle ideologie", abbiamo pensato di compiere soltanto un atto politico - dettato in molti casi da ragioni di bottega - e non ci siamo resi conto di assecondare in modo decisivo un degrado intellettuale e culturale che era in atto già da alcuni anni.
Non ci siamo nemmeno resi conto che questa proclamazione era essa per prima un prodotto ideologico, che attraverso la tumulazione ex officio "dell'ideologia" come categoria culturale in realtà si assicurava campo libero per la propria affermazione totalitaria.
Le generazioni cresciute in questo ambito sociale e culturale si sono trovate in un mondo, per così dire, "senza passato", ossia senza continuità di pensiero e di idee.
Una situazione paradossale, nella quale tutti - soprattutto ovviamente i più giovani - sono stati costretti a re-inventarsi daccapo un'anima intellettuale e una propria interpretazione del mondo, un bagaglio minimo di idee e di posizioni, per la prima volta nella storia senza avvertire la continuità con un passato sentito come "proprio" anche da chi vive il presente.
Un fenomeno simile aveva già avuto un primo episodio premonitore negli anni '60 e '70, che era stato ben avvertito da qualche sociologo e da qualche scrittore, come Pasolini, che parlava di una "frattura": grandi polemiche, già allora miopi, avevano accompagnato i suoi discorsi sull'italietta fascista, che era a suo modo più "umanistica" di quella consumistica della società post-industriale.
Questo accenno ci porta - per brevità - alla Meloni, che anche ieri ha evocato i "valori" che non sarebbero abbandonati con la confluenza del MSI-AN nel PdL.
Ma quali valori?
Possiamo essere certi che la giovane militante saprebbe elencarne alcuni, ma allo stesso modo in cui si elencavano un tempo i sette re di Roma, o i punti salienti della poetica manzoniana: consapevolezza, non coscienza.
A sinistra avviene la stessa cosa: si ha consapevolezza di alcune "parole", ma queste parole non corrispondono ad una coscienza non contrattabile, ad una visione della vita e del mondo. In modo ancora più grave che a destra.
Da una parte e dall'altra, ognuna delle "parole" può essere sopraffatta da altre parole, dismessa, sostituita, e giudicata con lo stesso criterio con il quale si esamina la data di scadenza dei prodotti al supermercato.
Ecco la ragione per cui una gran parte dei discorsi politici - e non solo politici - hanno un sapore così astratto, certe volte perfino surreale, e comunque danno una sensazione di assoluta debolezza, di inadeguatezza, rispetto alla durezza e alla complessità dei problemi: abbiamo voluto ricominciare daccapo, contro un mondo che invece si porta dietro tutto il proprio passato, e stiamo scoprendo che non era così facile come abbiamo creduto.