Qualcosa non torna.
Per diverse volte - credo più recentemente anche su questo forum - ho parlato di un "animo profondo dell'Italia" che era ed è rimasto fascista, anzi che era "fascista" ben prima dell'avvento del regime mussoliniano - tesi sulla quale ho trovato corrispondenza in un'analisi di Umberto Eco, che parla di Ur-fascismo. Un animo profondo che è corso sotto la pelle dell'Italia repubblicana, per così dire "dormiente", illudendo in questo modo le forze progressiste circa una fantomatica e universale "normalità" e democraticità finalmente raggiunta dal nostro paese.
Ogni volta che l'ho fatto, ho trovato regolarmente qualcuno che mi accusava di disprezzare l'elettorato, di avere la puzza sotto al naso tipica della sinistra, di scaricare sui cittadini le colpe della politica, e insomma delle solite cose.
Qualcosa non torna.
L'altra faccia della medaglia della situazione descritta era appunto un'egemonia culturale basata su sentimenti e idee esattamente contrarie a quell'animo profondo ed eternamente fascista: egemonia, cioè idee rese esplicite e sostenute con vitalità, tanto da essere quelle più in sintonia con il tempo e poco contrastate nella cultura diffusa, nelle sedi di discussione, nei principi che la politica traduceva in leggi. In alcuni casi queste idee erano anche adottate, sia pure in forma semplificata e superficiale, dalla gente che aveva una spontanea tendenza a destra, in quanto proprio nel qualunquismo di destra è insito il gene del conformismo di comodo, che induce all'aggregazione in un coro di maggioranza, insomma alla cultura del "branco".
Un'egemonia, in poche parole, che era tale e che è stata così definita per distinguerla da una cultura della maggioranza e dal potere tendenzialmente esercitato da classi e categorie sociali che non avevano la capacità di sostenere quel potere con una cultura in linea con le esigenze del tempo: il potere culturale di una minoranza - una grossa minoranza - che non tanto era "illuminata", quanto piuttosto era semplicemente interprete di un'onda della storia e dell'ineludibile necessità di democratizzazione.
Così intesa la questione, è chiaro che l'accento va posto sul "culturale" più che sulla "egemonia".
Parlare quindi di egemonia culturale della destra significa descrivere una situazione in cui da un lato la cultura democratica è diventata afona, dall'altro il fascismo "dormiente" ha ripreso vita, per ragioni di trasformazione sociale e non per dispettosi giochi psicologici.
Egemonia culturale che in sostanza ha un ruolo di sostegno del potere, più che una funzione di critica del potere stesso, com'era nella fase precedente "progressista", che proprio per questo era riuscita a rappresentare uno strumento di democratizzazione, cioè di corrosione di idee e di stratificazioni concettuali anticamente radicate.
La cultura di destra è infatti storicamente caratterizzata proprio dal suo ruolo di sostegno e giustificazione del potere, tanto più del potere esercitato a prescindere o contro il "caos democratico": la cultura di destra "popolare", più ancora di quella in bella copia dell'elite politica.
E' chiaro, in questo caso, che l'accento debba essere posto più sul concetto egemonico - ossia di sostegno del potere - più che sull'elemento culturale, che si esaurisce in sostanza sull'adozione di alcune idee-guida che sono poco più di slogan e sugli aspetti quantitativi di una massa critica che fa diventare queste idee-guida vere e proprie correnti d'opinione.
Infatti, tutta l'agenda politica e sociale si è spostata in questi anni su come esercitare il potere in modo più efficace e più rapido, e su come raggiungere la "massa critica" elettoralmente vincente - oltre che su argomenti e su valori di dettaglio, ma capaci di parlare a quel fascismo un tempo dormiente e oggi risvegliato, proprio perché numericamente decisivo per il mantenimento del potere.
Il punto cruciale di tutto questo itinerario sta in quelle "ragioni di trasformazione sociale" prima accennate: ma il discorso è lungo e complesso, e non è il caso di affrontarlo qui e ora.