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Federalismo differenziato

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Federalismo differenziato

Messaggioda Robyn il 18/02/2019, 21:42

Nella vicenda del federalismo differenziato come per altre riforme si vede che non c'è la capacità di saper riformare.Quando si riforma in senso federale bisogna avere sempre e costantemente come riferimento e stella polare l'unità del paese nella diversità,quando si pensa di fare le riforme costituzionali bisogna sempre avere come stella polare la democrazia e lo spirito costituente.Quando tutto ciò non c'è è meglio non fare niente per non provocare danni al paese se c'è immaturità meglio non toccare nulla
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Re: Federalismo differenziato

Messaggioda trilogy il 20/02/2019, 8:08

..Nel passato, un’eredità di gloria e dei rimpianti da dividere, nell’avvenire un programma da realizzare; aver sofferto, gioito, sperato insieme, ecco quello che vale più delle dogane comuni e delle frontiere conforme alle idee strategiche; ecco quello che ci unisce malgrado le diversità di razza e lingua.
Dicevo prima: “aver sofferto insieme”; sì, la sofferenza in comune unisce più della gioia. In fatto di memoria nazionale, i lutti valgono spesso più dei trionfi, perché impongono dei doveri, spingono a uno sforzo comune.
Una nazione è dunque una grande solidarietà, costituita dal sentimento dei sacrifici che si è fatto e da quelli che si è disposti a fare ancora.
Presuppone un passato; si riassume però nel presenta con un fatto tangibile; il consenso, il desiderio chiaramente espresso di continuare a vivere insieme.
L’esistenza di una nazione è (perdonatemi la metafora) un plebiscito di tutti i giorni, come l’esistenza di un individuo è un’affermazione continua di vita...

Che cos’è una Nazione? Ernest RenanConferenza tenuta alla Sorbona l’11 marzo 1882
testo completo http://www.democraziapura.altervista.or ... -Renan.pdf
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Re: Federalismo differenziato

Messaggioda franz il 20/02/2019, 8:24

Autonomia delle regioni del Nord, così è una schifezza (ma la questione esiste, e va affrontata)

Per l’ennesima volta la Lega sceglie di non risolvere il problema che ha sollevato dalla sua fondazione. Ma peggio ancora fanno Pd e Cinque Stelle che lo negano. L’Italia deve levare a Roma il suo potere clientelare, altrimenti muore

Michele Boldrin

Per il governo del “cambiamento” è il turno dell’autonomia regionale, quell’oggetto politico che un tempo si chiamava federalismo e, prima ancora, regionalismo. Una volta ancora – l’ennesima da quando nel disegno costituzionale vennero introdotte le regioni ed ad esse vennero concessi livelli differenziati di autonomia – il tutto si risolverà in una commedia delle parti, condita da stantie accuse reciproche ed il solito, dannoso, effetto finale. Maggior spesa pubblica, nessun miglioramento dell’efficienza dei servizi e, dopo alcuni anni, maggior carico fiscale complessivo.

Eppure il problema esiste, costituisce un blocco immane allo sviluppo economico del paese ed è fonte di continue tensioni e squilibri politici. L’Italia non è un paese socialmente, culturalmente ed economicamente omogeneo ma l’esatto opposto. L’Italia è ancora una collezione di (ex) principati, signorie, repubbliche, regni e ducati tenute insieme da una burocrazia centrale che fra di esse redistribuisce risorse e potere, trattenendone per se la parte leonina. Nel secolo e mezzo da quando queste aree sono state poste sotto un unico potere politico centrale le diseguaglianze relative non sono punto cambiate, anzi. Lungo molte dimensioni le diseguaglianze sono oggi uguali o maggiori di quelle della fine del XIX secolo. Dopo un secolo e mezzo di accentramento del potere a Roma il processo di convergenza reale non è nemmeno partito. Se questo non è un totale fallimento allora nulla lo è.

Questo perdurante stato delle cose implica che, da qualunque lato si affronti la questione, un sistema di governo e di finanziamento e fornitura dei servizi pubblici locali che si adatti a tale eterogeneità e la trasformi in uno stimolo alla crescita complessiva è diventato una necessità fondamentale. Implica anche che un processo – certamente lento ma altrettanto certamente necessario – di ridefinizione delle unità regionali, capace di superare i tradizionali confini (retaggio di episodi storici oggi del tutto inconsequenziali) si sarebbe dovuto avviare sin dalla riforma regionale degli anni ’70; ma questo non è avvenuto né vi è traccia di esso nel dibattito politico. Implica, infine, che una verifica dei poteri ed una loro redistribuzione dal centro alle periferie non deve avvenire a pezzi e bocconi, seguendo l’opportunismo politico della maggioranza del momento, ma deve essere l’oggetto di un dibattito nazionale che miri apertamente ad una profonda e condivisa riforma costituzionale.

Per una ragione o per l’altra, da almeno mezzo secolo gli abitanti di una manciata di regioni finanziano la spesa pubblica di tutte le altre. L’attività economica che genera i 3/4 del valore aggiunto privato è concentrata in poche aree del paese, quasi tutte in un “tubo” del raggio di 150-200 chilometri attorno al fiume Po. Il potere politico, giudiziario ed amministrativo è concentrato a Roma e si dedica alla redistribuzione delle risorse da queste regioni a tutte le altre. Ricatta le affluenti, la cui crescita economica può strozzare, come spesso ha fatto, con imposte, regolamenti ed altri provvedimenti amministrativi. Attraverso un esplicito ed antico “do ut des” elettorale, acquisisce voti e consenso nelle regioni che di tali trasferimenti si beneficiano.

Questa realtà dei fatti è stata bellamente ignorata – negata, infatti, a mezzo di una ritrita retorica egalitaria e piagnona – dalle classi dirigenti della prima e della seconda repubblica, causando al paese enormi danni economici, sociali e financo morali. L’unica eccezione a questa generalizzata e collettiva “ipocrisia romana” è stata la Lega “prima maniera”, la cui posizione e le cui azioni esamineremo in un momento. Preme sottolineare che questa realtà viene, tutt’oggi ed incredibilmente, negata da tutta la sinistra e da praticamente l’intero M5S. Una posizione tanto suicida quanto esplicitamente clientelare, che la consunta retorica solidaristica non riesce oramai più a coprire.

In questo quadro si è inserita, sin dagli anni ’90, la Lega prima sotto la direzione di Bossi ed ora di Salvini. La quale Lega, come dimostrano quasi 30 anni di presenza sia nel governo centrale che in quello delle maggiori regioni del Nord Italia, non ha o ben l’intenzione o ben la capacità (o entrambe) di fare quel che sarebbe necessario fare per rimuovere l’ostacolo. Non lo seppe e non lo volle fare nel 1994/95 quando controllava la maggioranza parlamentare su cui si reggeva il primo governo Berlusconi. Non lo tentò neanche all’inizio degli anni 2000 per accontentarsi poi delle ridicole e controproducenti riforme del Titolo V. E non lo sta neanche menzionando ora, pur essendo di fatto il partner politicamente più forte della coalizione di governo.

Tutto questo non è avvenuto per caso durante questi 30 anni, ma per una precisa ragione: alla Lega non interessava e non interessa risolvere questa contraddizione ma, invece, perpetuarla per ricavarne facile consenso da spendere, a Roma, con ben altri fini. Alla Lega non interessa ridurre lo spreco delle risorse che vanno dal Nord al Sud: fino a quando la mungitura continua il voto di protesta del Nord è garantito. Alla Lega non interessa introdurre meccanismi di autogoverno e responsabilità fiscale che inneschino un processo di crescita organico nelle regioni del Sud: fino a quando esse rimangono arretrate il potere centrale, al cui controllo la Lega partecipa, si rafforza e raccoglie il consenso di coloro che dai trasferimenti dipendono.

Alla Lega interessa solo che la contraddizione si mantenga perché da essa ricava enormi rendite elettorali approfittando della cecità altrui. Ecco quindi che oggi gioca, sfacciatamente, la carta della “autonomia regionale” ben cosciente sia della sua irrealizzabilità pratica che della sua potenziale dannosità economica: la composizione del conflitto avverrà con un aumento della spesa statale e del debito pubblico. La Lega fa questa scelta perché, oggi come 25 anni fa, la sua dirigenza è cinica abbastanza da saper fingere di voler risolvere un problema reale agendo invece per mantenerlo.

Questo assurdo e dannoso gioco è possibile perché il resto dell’arco politico continua a negare i fatti coadiuvato, in questo, dalla burocrazia romana e dal sistema mediatico nazionale. Che questa pluridecennale operazione di malgoverno abbia loro alienato le simpatie dei produttori del centro-nord sembra, ciecamente, non interessare le forze politiche del centro e della sinistra.
Se in un giorno non troppo lontano Matteo Salvini – a colpi di selfie ed incitamenti all’odio razziale – si ritroverà il paese in mano, PD&Co non avranno che la propria inettitudine da ringraziare. Quos vult Iupiter perdere, dementat prius.

https://www.linkiesta.it/it/article/201 ... ne-/41159/
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Re: Federalismo differenziato

Messaggioda Robyn il 20/02/2019, 10:29

Quindi sarebbe un gioco fra le parti da una parte si fà finta di risolvere il problema ma in realtà ci si specula sopra in modo cinico dall'altra la garanzia di continuare a giocare sul parassitismo,ma questo è un gioco pericoloso perche poi si inserisce l'uomo forte che dice <datemi tutto il potere che risolverò tutti i vostri problemi>,ma sarà ancora peggio perche magari li aggraverà ancora di più.La sinistra non stà a questo gioco.Nel riformare deve avere sempre come stella polare l'unità del paese nella diversità nel federalismo,nella costituzione la stella polare della democrazia costruendo le basi di uno spirito costituente affinche la costituzione sia di tutti.La stessa filosofia si applica per ex al fine vita no all'accanimento terapeutico no all'eutanasia,sì alla fine naturale della vita senza sofferenze e il Presidente della camera dei deputati Roberto Fico faccia meno lo spiritoso di cui non si condivide neanche il suo no alla Tav
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Re: Federalismo differenziato

Messaggioda pianogrande il 20/02/2019, 11:04

Abbiamo intanto il regionalismo, differenziato.

In fondo siamo un paese semi, federale.

Le regioni a statuto speciale si trovano tutte alla periferia del paese ma rappresentano già tutto il bene e il male di questa istituzione (e di questo paese).

Bella l'idea di federalismo differenziato secondo i meriti ma tutto sommato impraticabile.

Chi può avere questo potere di valutazione?
Quello stato centrale dalla cui morsa si vorrebbe sfuggire?

Lo stiamo vedendo con i comportamenti della lega in Lombardia dove sta boicottando e attaccando il sindaco di Milano perché Milano se la devono prendere loro.

Lo stato centrale si comporta a seconda di chi c'è al governo dello stato e delle regioni etc.

Quindi un federalismo differenziato può, almeno in teoria, essere istituito ma una volta per tutte e assolutamente non ad assetto variabile e questo a giudizio dello stato centrale.

L'altra faccia (negativa) della medaglia sono i poteri (sopratutto mafiosi) locali.

In un sistema federale sarebbero molto più liberi di opprimere le popolazioni locali.

Sempre il maledetto governo centrale dovrebbe occuparsene?

Non riesco (non riesco più) a vedere lo stato centrale come garante di nulla.

E allora?

E allora siamo alle solite.
Siamo allo stesso falso problema della dicotomia pubblico-privato dove il fattore comune sono gli umani che ci stanno dietro (o ci stanno dentro).
Questo lo dico per dire che la correttezza dei comportamenti o c'è o non c'è e quando non c'è è quello il problema e su quello bisogna lavorare.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Federalismo differenziato

Messaggioda Robyn il 20/02/2019, 11:15

La costituzione all'art 116 afferma che possono essere attribuite alle regioni che ne facciano richiesta ulteriori competenze alle lettere l,n e s in materia di giustizia civile,ambiente e scuola ma sempre secondo l'art 119 che afferma che tutto deve essere in coordinamento con la finanza pubblica e secondo un fondo redistributivo alle parti più fragili del paese.Dire che le Regioni a ordinamento speciale sono superate equivale a sottovalutare le ragioni di essere Regioni periferiche e plurilingue.Allo stesso tempo l'errore si fà sul numero dei parlamentari dicendo che l'alto numero c'era per affermare la democrazia ,ma in realtà quello è un'articolo di chiusura costituente affinche il fascismo non torni mai più e poi l'Italia è perfettamente in linea con le altre democrazie europee con 100,000 elettori ogni deputato.La diminuzione dei parlamentari e una legge elettorale per metà proporzionale e metà maggioritaria era nel programma della P2.Nel programma della P2 c'era anche la sfiducia costruttiva e la responsabilità dell'ordine giudiziario nei confronti del parlamento cioè contro ogni indipendenza,quindi contro lo stato di diritto
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Re: Federalismo differenziato

Messaggioda Robyn il 20/02/2019, 11:41

In coordinamento con la finanza pubblica significa secondo l'art 53 che prevede la progressività dell'imposta quando quelle Regioni pretendono di trattenere il 90% delle loro entrate,magari chiedendo competenze estranee all'art 116.Inoltre le materie trasferite devono sempre stare all'interno del principio di supremazia secondo il quale lo stato definisce i principi e la Regione ha solo competenza regolamentare in queste competenze secondo l'art 117.Art 117 -Nelle materie concorrenti spetta alle Regioni la podestà legislativa,salvo che per la determinazione dei principi fondamentali,riservata alla legislazione dello stato
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Re: Federalismo differenziato

Messaggioda Robyn il 20/02/2019, 13:24

L'art 116 non parla di meriti e per mantenere l'unità del paese sarebbe necessario darne un'interpretazione estensiva per tutte le Regioni anche perche sarebbe difficile fare leggi di perimetro da parte del parlamento che trovano un'applicazione parziale a seconda delle Regioni,perche c'è un regionalismo di tipo arlecchino,sarebbe confuso si capirebbe poco.A questo punto però cosa avverrebbe ai fondi perequativi destinati al mezzogiorno dal momento che le Regioni del nord trattengono più tasse?Questo fondo perequativo sarebbe compensato se si farebbe un'interpretazione estensiva dell'art 116 ma non basterebbe.Per recuperare risorse da destinare alla perequazione servirebbero i costi standart nella sanità
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Province, dall’addio al revival: è l’ora della riscossa

Messaggioda franz il 21/02/2019, 13:12

Forse ma forse, ne stanno facendo una giusta!

Province, dall’addio al revival: è l’ora della riscossa per gli «enti di mezzo»

–di Eugenio Bruno 17 febbraio 2019

Governo che vai riforma delle province che trovi. Dall’arrivo di Mario Monti a Palazzo Chigi in poi tutti (o quasi) gli esecutivi che si sono succeduti alla guida del paese hanno messo nel mirino le Province. Di volta in volta, per accorparle, ridurle o svuotarle. All’elenco si aggiunge ora la coalizione gialloverde.

L’obiettivo dichiarato del governo Conte è quello di rimettere mano alla riforma Delrio del 2014 che ha trasformato le amministrazioni provinciali in enti di secondo livello. Tagliandone competenze e risorse. Come confermano due numeri su tutti: tra il 2012 e il 2018 le entrate proprie delle amministrazioni provinciali si sono ridotte del 60%; i dipendenti sono diminuiti di 16mila unità (2.564 sono andati in pensione, 5.505 sono stati trasferiti presso i centri per l’impiego, 720 sono stati ricollocati presso ministeri o tribunali e altri 7.185 sono stati smistati direttamente dalle Regioni).



OGGI L’ELECTION DAY 31 ottobre 2018
Province, la Lega prepara il ritorno in grande stile. M5S contrario
Un quadro che appare destinato a mutare. Come annunciato nei giorni scorsi da Matteo Salvini. In una lettera al presidente uscente dell’Upi Achille Variati - a cui è succeduto martedì scorso Michele de Pascale, presidente della Provincia di Ravenna - il ministro dell’Interno ha confermato lo sblocco dei 250 milioni annui dal 2019 al 2033 per la manutenzione di strade e scuole. Precisando che è solo il «primo passo di un disegno complessivo» per «ridare dignità a una istituzione che svolge un servizio fondamentale per il territorio».

Il tema è già sulla scrivania del governo. Presso la Conferenza Stato-città ed autonomie locali è stato istituito il «tavolo tecnico-politico per la redazione di linee guida finalizzate all’avvio di un percorso di revisione organica della disciplina in materia di ordinamento delle province e delle città metropolitane, al superamento dell’obbligo di gestione associata delle funzioni e alla semplificazione degli oneri amministrativi e contabili a carico dei comuni, soprattutto di piccole dimensioni». Con una riunione che si è svolta giovedì 14 febbraio a cui ha preso parte il sottosegretario leghista all’Interno, Stefano Candiani.

In quella sede il neo presidente dell’Upi ha portato una serie di proposte: funzioni chiare, risorse per i servizi essenziali e una spinta alla semplificazione che trovi nelle Province le istituzioni chiave dove concentrare tutte quelle funzioni oggi frammentate tra organismi ed enti
strumentali. «Per noi - ha detto de Pascale - è urgente riuscire ad arrivare ad una revisione della riforma, perché si tratta di uscire da una situazione di straordinarietà al limite della costituzionalità. La priorità per le Province resta ancora l’emergenza finanziaria, non solo per assicurare la manutenzione ordinaria di strade provinciali e scuole superiori, ma perché servono investimenti strutturali su un patrimonio che deve essere modernizzato e reso più efficiente».
«Bisogna lavorare senza preclusioni di sorta e considerando la necessità di superare la legge 56, la cosiddetta legge Delrio, attribuendo a Province e Città Metropolitane funzioni complementari rispetto a Comuni e Regioni» ha dichiarato il sottosegretario Candiani -. Il desiderio comune è quello di recuperare alla migliore utilità le Province, ridare dignità ai sindaci e di attuare le funzioni delle Città Metropolitane mai realmente decollate».


EDILIZIA SCOLASTICA IN EMERGENZA 16 febbraio 2019
Scuola, sbloccati 10 miliardi per la sicurezza degli edifici
Quanto al ritorno dell’elezione diretta delle Province (la legge Delrio ha previsto che siano solo sindaci e consiglieri comunali a poter votare) , de Pascale ha specificato «accogliamo con favore che sia in atto un dibattito e che ci siano aperture e interesse al riguardo ma vogliamo precisare che questa non sarà la battaglia dell'Upi. Come si svolgeranno le elezioni, quali sarà il sistema elettorale, lo decideranno Governo e Parlamento. Certo, comunque è urgente, prima delle prossime elezioni provinciali che ci saranno a maggio, sciogliere alcuni nodi essenziali, a partire dal limite di incandidabilità per i sindaci con meno di 18 mesi di mandato».

Con l’election day del 31 ottobre 2018 sono stati eletti, con voto di secondo livello 47 presidenti di provincia e 27 consigli provinciali. Tra l’8 gennaio e la fine di aprile 2019 ne verranno rinnovati altri 42. A quel punto, dei 76 enti di area vasta che dopo la legge 56 del 2014 albergano nelle regioni ordinarie, all’appello ne mancheranno solo sette, che andranno al voto tra la fine del 2019 e il 2021. Nel complesso a prevalere è ancora il centrosinistra con 45 presidenti contro i 31 di centrodestra (Lega inclusa). Senza alcun rappresentante dei 5 Stelle, notoriamente allergici a candidare uno dei loro sindaci alla guida degli “enti di mezzo”.

https://www.ilsole24ore.com/art/norme-e ... id=AF9i5OK
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Re: Federalismo differenziato

Messaggioda Robyn il 21/02/2019, 14:10

La riforma federale la puoi fare solo creandone le premesse,procedendo per gradi.La prima cosa sarebbero i costi standart nella sanità per non far venire meno il principio di perequazione la seconda è che oggi esistono le città metropolitane che sono più piccole e le province sarebbero solo una duplicazione delle città metropolitane.Poi non si può pensare di fare un federalismo arlecchino dove nessuno capisce più niente chi è cosa fà.Se si fà il trasferimento di competenze deve essere omogeneo sempre tenendo presente che non si può rinunciare sù di esse al principio di supremazia in cui il parlamento legifera in merito ai principi e le regioni hanno solo competenza regolamentare e questo nel coordinamento della finanza pubblica.Se una regione è più ricca pagherà in modo progressivo più tasse
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