PERCHÈ VELTRONI È FINITO
DI PIERLUIGI MANTINI
Con le dimissioni Veltroni salva un po’ di se stesso, nulla d’altro. La fragilità dei leaders diessini trova conferma, dopo le dimissioni dal governo di D’Alema per la sconfitta alle regionali del 2000.
Ma all’ennesima sconfitta elettorale del PD in Sardegna non si risponde con escamotage politico-organizzativi. Congressi anticipati, nuovi segretari, caminetti…
immagine documentoCi sono problemi antichi, l’ambiguità del “comunismo all’italiana”, i miti del giustizialismo, dell’iperliberismo, del federalismo, le resistenze nel costruire l’Ulivo, l’impoliticità del governo Prodi, la precipitosa costituzione del PD, sotto la spinta dei sondaggi negativi e del caso Unipol…
Ma poi, forse, si sarebbe dovuto impegnare il primo anno e mezzo di vita del PD a ripercorrere con pacatezza e serietà gli errori e i vizi del passato, senza mostrare di credere al valore demiurgico e catartico delle primarie.
Mi ero permesso di suggerire, all’inizio della legislatura, una lettura meno superficiale e liquidatoria del saggio di Tremonti, “La paura e la speranza”, ma sono stato quasi processato per questa posizione.
Ora Tremonti condivide con Prodi una visione delle nuove regole sull’economia finanziaria globale mentre il PD tace, non ha nulla da dire al riguardo, ma propone però al Capo dello Stato di nominare Mina senatrice a vita.
Si organizzano manifestazioni per difendere la costituzione dall’attacco distruttivo di Berlusconi ma si dimentica che la modifica più significativa della Costituzione è stata fatta dal centrosinistra nel 2001, da soli, con una ristretta maggioranza.
Non c’è nessun dirigente di primo piano del PD che levi la voce per ricordare a Di Pietro un principio elementare in uno stato democratico di diritto ossia che giustizia e politica sono poteri distinti e separati e che l’uso dei provvedimenti giudiziari contro gli avversari politici è tipico di una cultura totalitaria.
Con l’alleanza privilegiata del PD con l’Italia dei Valori non c’è solo il rischio di perdere voti, come infatti avviene a vantaggio di Di Pietro, ma soprattutto vi è quello di perdersi, di impoverire la cultura democratica e costituzionale propria e del Paese.
E non vi dubbio che l’azione insufficiente del governo sulla crisi economica, che angoscia lavoratori, imprese e famiglie, non possa essere corretta solo proponendo di aumentare di un punto il debito pubblico, con gli oggettivi rischi di calo di competitività dei nostri titoli nel nuovo mercato caratterizzato dagli interventi di Stato.
La vera sfida, su cui il PD dovrebbe caratterizzare la sua proposta riformista, sta nel recupero di risorse dal sistema pensionistico, aumentando di due anni l’età lavorativa non solo per le donne, come ormai imposto dall’Europa, ma anche per gli uomini, che non esercitano lavori usuranti, e che godono una vita più lunga del passato.
Sta nel coraggio di proporre non l’eliminazione ma la trasformazione delle province che, in ossequio al principio costituzionale di sussidiarietà verticale, dovrebbero essere meno enti, con spese correnti di 17 miliardi l’anno, e più conferenze stabili di intese e accordi tra comuni, in una dimensione governance più che government.
E il PD dovrebbe essere protagonista di un impegno, accanto al rigore contro la criminalità, per la cittadinanza piena e il diritto di voto dei milioni di “nuovi italiani” che vivono, producono, sostengono le pensioni nel nostro Paese.
Ma tutto questo non si fa, il PD non lo propone, Veltroni ha avuto la chance, lungo un percorso stretto e difficile, di un cambio reale di visione e di politica.
Si poteva fare, non lo ha fatto, a differenza di Obama ora Veltroni va via, ma il PD resta con i suoi problemi irrisolti e anzi aggravati.
Ora è difficile credere che il PD sia ancora il progetto delle origini, evoluzione positiva dell’Ulivo.
Sono in campo i democratici di sinistra, sempre più di sinistra, con il recupero di mussiani e vendoliani.
Scenderanno in campo anche i democratici di centro, che non si riconoscono nel PSE, nel sostegno ad Hamas, nella CGIL, nell’esasperazione laicista.
Ci sono nodi irrisolti, diverse visioni.
Ha perso Veltroni, il primo segretario del Partito Democratico in Italia, ma anche Bersani non ha aiutato.
Basterà Franceschini per cambiare rotta?
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