da pierodm il 16/04/2009, 9:03
Ricordavo il senso, ma non il testo esatto del brano di Gramsci, e ho quindi rimandato a quando lo avrei avuto sottomano per riportarlo, così da evitare il gioco delle interpretazioni.
Presumo anch'io che Franz non volesse impressionare "me", ma io parlavo infatti per la parte che mi compete come singolo lettore del suo messaggio.
Quanto al lasciarsi influenzare, mi chiedo quanto si lasci influenzare proprio Franz - dai discorsi e dagli avvenimenti.
Inoltre - soprattutto - bisogna vedere quali e quante e di che natura sono le "idee" che dovrebbero influenzarmi: per esempio, Gramsci - per rimanere in tema - lo trovo interessante, ma non è di quegli autori che mi dicono cose che non sia capace di pensare o capire da solo.
Ma, giust'appunto, torniamo a Gramsci e al brano di cui trattasi.
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Il moderno Principe, il mito-principe, non può essere una persona reale, un
individuo concreto; può essere solo un organismo; un elemento di società
complesso nel quale già abbia inizio il concretarsi di una volontà
collettiva riconosciuta e affermatasi parzialmente nell'azione. Questo
organismo è già dato dallo sviluppo storico ed è il partito politico: la
prima cellula in cui si riassumono dei germi di volontà collettiva che
tendono a divenire universali e totali. [...]
Perché esista un partito è necessario che confluiscano tre elementi
fondamentali (cioè tre gruppi di elementi):
1. Un elemento diffuso, di uomini comuni, medi, la cui partecipazione è
offerta dalla disciplina e dalla fedeltà, non dallo spirito creativo e
altamente organizzativo. Senza di essi il partito non esisterebbe, è vero,
ma è anche vero che il partito non esisterebbe neanche "solamente" con essi.
Essi sono una forza in quanto c'è chi li centralizza, organizza, disciplina,
ma in assenza di questa forza coesiva si sparpaglierebbero e si
annullerebbero in un pulviscolo impotente. [...]
2. L'elemento coesivo principale, che centralizza nel campo nazionale, che
fa diventare efficiente e potente un insieme di forze che lasciate a sé
conterebbero zero o poco più; questo elemento è dotato di forza altamente
coesiva, centralizzatrice e disciplinatrice e anche, anzi forse per questo,
inventiva [...].
Si parla di capitani senza esercito, ma in realtà è più facile formare un
esercito che formare dei capitani. Tanto è vero che un esercito già
esistente è distrutto se vengono a mancare i capitani, mentre l'esistenza di
un gruppo di capitani, affiatati, d'accordo tra loro, con fini comuni, non
tarda a formare un esercito anche dove non esiste.
3. Un elemento medio, che articoli il primo col secondo elemento, che li
metta a contatto, non solo "fisico" ma morale e intellettuale. [...]
Questo ordine di fenomeni è connesso a una delle questioni più importanti
che riguardano il partito politico; e cioè, alla capacità del partito di
reagire contro lo spirito di consuetudine, contro le tendenze a mummificarsi
e a diventare anacronistico. I partiti nascono e si costituiscono in
organizzazione per dirigere la situazione in momenti storicamente vitali per
le loro classi; ma non sempre essi sanno adattarsi ai nuovi compiti e alle
nuove epoche, non sempre sanno svilupparsi secondo che si sviluppano i
rapporti complessivi di forza (e quindi posizione relativa delle loro
classi) nel paese determinato o nel campo internazionale. Nell'analizzare
questi sviluppi dei partiti occorre distinguere: il gruppo sociale; la massa
di partito; la burocrazia e lo stato-maggiore del partito. La burocrazia è
la forza consuetudinaria e conservatrice più pericolosa; se essa finisce col
costituire un corpo solidale, che sta a sé e si sente indipendente dalla
massa, il partito finisce col diventare anacronistico, e nei momenti di
crisi acuta viene svuotato del suo contenuto sociale e rimane come campato
in aria.
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Dovrebbe bastare la semplice lettura per chiarire ogni dubbio, ma un commentino non guasta, conoscendo l'ambiente.
Primo, ciò corrisponde in sostanza a quello che in modo più semplificato avevo detto nel mio post, circa l'importanza e la "riscoperta" del partito.
Secondo, è chiaro che Gramsci s'interessava del rapporto tra partito e popolo, e non di quello tra leader e partito.
Cosa questa che, oltre tutto, si capisce ancora meglio, se si tiene conto dell'opera complessiva di Gramsci, che su questo rapporto ha speso una parte consistente del tempo, affrontandolo da diversi punti di vista - tra i quali quello del rapporto tra classi dirigenti e popolo, e quello correlato tra egemonia e dominio.
Quindi - precisiamo a scanso di "equivoci" - i suoi "capitani" non sono la configurazione del leader, ma tutt'al più la classe dirigente di un partito, se proprio si vuole personificare la questione.
Il senso di tutto è (basta leggere): non c'è un partito formato da una moltitidine di persone, se queste non danno luogo ad un partito strutturato, che si organizzi e dia continuità e rappresentanza alla moltitudine. Questo partito è "il leader" della parte di popolo che vi si riconosce.
Il fenomeno della "leadership" personale non viene nemmeno considerato, in questa sede: tutt'al più se ne trova traccia indiretta quando parla del suo ex-compagno socialista, Benito Mussolini, ma senza speciali pretese di teorizzazione.