da pierodm il 08/08/2008, 23:25
Caro Franz, caro Luca, cari tutti e tuttte, critiche e controcritiche sono tutte ammissibili: nessuno, meno che mai io, si scandalizza o tenta d'impedire una critica a Tabucchi, in senso generico.
Solo che , nella fattispecie, non la capisco, non ne capisco i toni: che io non capisca è di per sé secondario, o forse perfino irrilevante, ma in via di principio essere "capiti" dovrebbe essere un elemento essenziale in un dialogo, senza di che non si vede perché prendersi la briga di mettersi a scrivere.
Il fatto è che, con tutta sincerità, non mi sembra che Tabucchi abbia detto cose tanto stravaganti o scandalose, e che - nel caso fossero suonate tali agli orecchi di qualcuno - sono comunque cose che appartengono ampiamente alla visione critica della sinistra. Non alla sinistra che piace chiamare estrema, ma alla sinistra senza tanti aggettivi: parlo non delle paroline precise, ma del tipo di argomenti, del punto di vista, di una scelta di campo direi storica.
Soprattutto, poi, non mi sono mai piaciuti i giudizi immotivati, ossia che non siano accompagnati da una spiegazione: come ho detto in altre occasioni, infatti, io per primo non credo che le mie "opinioni" siano attese con ansia da chi legge, tanto da consentirmi di buttarle lì come un'accettata, senza spiegarne le ragioni. Per questo tendo a scrivere messaggi talvolta più lunghi di quanto sarebbe coerente con la misura di una discussione sul web.
Ma credo che le ragioni portate a sostegno di un giudizio siano più importanti del giudizio stesso, specialmente in una discussione, che altrimenti rischia di trasformarsi subito in uno scontro di affermazioni contrapposte.
A parte tutto ciò, entrando nel merito, non mi sogno nemmeno di lasciarmi trascinare in un'ordalìa sul delitto Calabresi o sul processo Sofri: tanto per cominciare, non me ne sono poi interessato al punto da farmene un'idea precisa, e continuo a pensare che non sia un evento così importante, e così discriminante.
Poichè, istintivamente, non sono un amante della cronaca nera, o dei fatti di sangue, estendo questo scarso interesse anche al settore politico e ai processi contro persone specifiche.
La valutazione del clima politico, oltre che delle forze in campo in un determinato periodo, non ha bisogno di analisi minuziose di fatti e testimoni dei vari eventi, che anzi possono più facilmente trarre in inganno - e d'altra parte, non sono personalmente tanto incline all'illusione sulle virtù e sulla sacralità di chicchessia da non mettere nel conto tutte le eventuali perversioni che possono scaturire da un'analisi processule a carico di uomini dello stato o di militanti politici d'ogni colore.
Chiarito tutto questo circa la mia coltivata ignoranza, ho sempre pensato che non ci fossero prove, nemmeno informali, che Calabrasi fosse responsabile della morte di Pinelli, ma ho altresì sempre pensato che molti elementi concorressero a rendere credibile una responsabilità della polizia: questo era, e rimane il vero problema politico, dal punto di vista istituzionale.
Dall'altro lato, ugualmente credibile è che un movimento extra parlamentare abbia potuto decidere la "punizione" di Calabresi: che l'abbia realmente perseguita o no interessa il tribunale, non me, e nemmeno chi vuole giudicare il valore politico dei movimenti.
Per ciò che riguarda, appunto, il tribunale, non ho la sacralità della sentenza, sia di condanna, sia di assoluzione: ne prendo atto e gli do un valore, ma non ne faccio un santino, specialmente se ho l'obiettivo di "capire".
Tra l'altro, impostare la questione sul punto della "magistratura", chiedendo di schierarsi in modo manicheo, mi sembra sbagliato.
Il problema è tutto intero l'apparato giudiziario, dalle leggi ai tribunali, dalla polizia agli uffici, alla burocrazia, non solo nello spazio, ma anche nel tempo, ossia nel flusso dei mutamenti prodotti dalla storia di questi cinquant'anni, e magari ancora da prima.
Da tangentopoli in poi, la sinistra (compreso me) si è trovata dalla parte dei "giudici", non solo per ragioni di merito, ma anche per la natura e l'identità di coloro che si trovavano dalla parte contrapposta.
Ma non è sempre stato così, per ragioni altrettanto di merito, così come di schieramento.
Ci sono stati lunghi anni, diciamo pure decenni e decenni, per esempio, nei quali forzare la legge, travalicarne i confini, considerare la giustizia amministrata dai tribunali come un sistema "democraticamente repressivo" faceva parte intrinseca del movimento sindacale e di quello progressista dei diritti civili - della sinistra, in poche parole.
Ebbene, una parte dell'ordinamento, e della stessa cultura istituzionale, si è evoluta in senso democratico, mentre una parte è rimasta assai indietro, in un impasto confuso e contraddittorio che è parte integrante di quella "costituzione incompiuta" che si trascina da molto tempo, e che caratterizza una gran parte dei fenomeni di mal governo e di disuguaglianza dello specifico italiano.
Essere "andati al governo" ha però esasperato quella sindrome legalista, che distingueva anche il vecchio PCI, facendo diventare la sinistra una specie di roccaforte perbenista, e spesso perfino bigotta, ben al di là della difesa pregiudiziale dei "giudici" alla quale è stata costretta dall'impudenza malandrina delle controparti.
Sindrome legalista, ovviamente, che merita una tale definizione perché la tendenza - in sè giustificata - non si è accompagnata da un'adeguata eficienza riformistica di tutto ciò che andava riformato, in senso democratico, dalle forze di polizia ai tribunali, dalle leggi alla trasprenza del giudizio, alle carceri, etc.
Tornando a Sofri e al suo processo, appare credibile qualunque illazione, così come lo sarebbe stata in caso di assoluzione: da questo sistema può scaturire qualunque risultato, come - per rimanere sul clamoroso e sull'oggettivo - succede con gl'incredibili ritardi sulle morivazioni delle sentenze che in certi tribunali consentono la scarcerazione di mafiosi condannati, o su indagini e contro-indagini su delitti comuni che si protraggono per anni e anni, senza fornire una prova certa e inconfutabile.
Chi ha seguito gli atti processuali può lecitamente pensare che, nella fattispecie, la sentenza sia perfettamente fondata.
Altrettanto lecito è, per Tabucchi, pensare che l'unica prova davvero pesante derivi da una sola testimonianza, e che sia un po' poco.
Possiamo criticare Tabucchi e chiamarlo "ingenuo", o eccessivamente garantista, ma non definirlo una catastrofe, o un cretino, o roba del genere, e impiantarci su un'elucubrazione cosmica sulla sinistra, vetero o trendy che sia.
Infine, una noterella che riguarda Franz.
Involontariamente, dicendo, "...la sinistra, o quel che ne resta" ha certificato che il PD non rappresenta più la sinistra, dato che evidentemente alludeva con un certo sarcasmo a quella rimasta fuori dal parlamento, e al fatto che evidentemente il PD non può dirsi parte di questi "resti".
La cosa era abbastanza chiara, ma è bene che sia resa esplicita.
Ma, se è così, che ne pensano i tanti elettori che pensavano di aver votato per una sinistra modernizzata, trasformata, evoluta, ma pur sempre sinistra?