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La vulgata

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

La vulgata

Messaggioda soniadf il 04/08/2010, 2:02

Visto che al nostro moderatore piacciono tanto le favole, proviamo ad immaginare quelle che si raccontavano nei tempi antichi.
Al tempo dell’inquisizione, la vulgata del sistema faceva discendere dalla religione tutti gli equilibri sociali, il potere laico e quello ecclesiastico si spartivano le ricchezze rifilando lezioni di ortodossia cattolica e di obbedienza ai voleri divini e mandando al rogo chiunque pur di riaffermare la supremazia e la legittimità di quel sistema di potere.
Streghe e demoni erano evocati come creature reali, minacce per la salvezza dell’anima e del corpo, in eterno complotto contro gli illuminati governatori dell’epoca e contro il popolo di Dio.
La paura e la disperazione sono sempre state gli strumenti di qualsiasi regno, la paura viene coltivata con le favole di regime e la disperazione, arrivata all’estremo, può costituire la molla per il cambiamento.
Se nei secoli scorsi i nobili pretendevano di possedere arti guerriere e di governo che li legittimavano a dominare territori e popolazioni in nome della difesa contro attacchi esterni e di “competenze” esclusive da esercitare su una massa ignorante e sopraffatta, ora si pretende di fare altrettanto con coloro che dirigono un’economia globale al servizio del profitto imprenditoriale, perché questo è il sistema da difendere.
E la vulgata raffinata di un mondo complesso, che ha già visto rivoluzioni e controrivoluzioni, borghesia al potere e collettivismo, è questo economicismo terroristico, per cui bisogna non disturbare il manovratore perché la sua avidità crea i presupposti anche per il tuo piccolo pane quotidiano.
Se vogliamo prendere per buona questa teoria, dobbiamo anche considerare che l’avidità è per sua natura onnivora e insaziabile e che la porzione lasciata agli altri tenderà sempre più a restringersi, come di fatto avviene, e che lo squilibrio dei consumi finirà col travolgere questo sistema, squilibrato nei suoi presupposti. La finanziarizzazione dell’economia ha già mostrato come il capitalismo possa avvitarsi su se stesso, procurando profitti senza produzione di ricchezza, mentre ora si preparano i tempi della produzione senza domanda. Il crollo del settore auto in Italia è lo specchio di un potere d’acquisto logorato, di consumi rinunciati a favore di beni più essenziali o più abbordabili.
Il fatto è che si punta sulla domanda emergente dei paesi terzi, in questa strana guerra dei poveri, dove la riduzione dei consumi nei paesi sviluppati dovrebbe essere compensata dall’aumento dei consumi nei paesi emergenti.
Evidentemente, qui e adesso, siamo nel posto sbagliato.
Ma che tutto questo sia ineluttabile a me sembra solo una arrogante e farfugliante vulgata di demoni e streghe, sostenuta da inquisitori armati di latinorum economicistico, evocanti roghi di fabbriche e di diritti.
L’economia, come la religione, è solo una delle componenti della vita sociale. Occorre toglierle il primato che le si è fatto strumentalmente conquistare e ricondurla a mezzo di progresso umano e sociale.
Il Torquemada Marchionne che brucia Mirafiori è un servo del profitto, mentre il Dio della politica forse intravede altre strade, altri scopi, soprattutto altri mezzi, che non siano roghi di esistenze e di diritti.

Soniadf
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Re: La vulgata

Messaggioda franz il 04/08/2010, 9:35

Ogni opinione è legittima ma in economia andrebbe suffragata da un po' di numeri, di dati il piu' possibile oggettivi.
Premesso che secondo me l'avidità non c'entra un tubo, qualsiasi sia il motore che spinge alcuni uomini a generare sempre piu' profitti e reddito (per se' e per gli altri) i dati oggettivi dimostrano che la tua affermazione (la porzione lasciata agli altri tenderà sempre più a restringersi) è sbagliata. Solo prendendo in considerazione negli ultimi 100 anni (e maggior ragione gli ultimi 30) non solo la porzione che gli "altri" hanno prodotto è cresciuta a dismisura (non è stata "lasciata" ma se la sono guadagnata lavorando meglio di noi) ma sono cresciuti gli "altri" di numero. 100 anni fa si era un miliardo e mezzo. Ora siamo piu' di 6 miliardi e 830 milioni e si va rapidamente verso i sette. Se negli anni 70 si poteva dire che il mondo era divisibile in un 20% di benestanti ed un 80% di poveri, oggi con la poderosa crescita dei paesi del BRIC (che contano quasi tre miliardi) ci stiamo avvicinando rapidamente al 50-50. Mille anni fa nessuno faceva questi calcoli ma posso stimare a naso che magari si aveva al massimo in 1% di benestanti ed un 99% di poveri. A starci larghi.
Sempre in questi 100 anni non solo è cresciuta la ricchezza a la capacità di produrre reddito per un numero sempre maggiore di persone ma è cresciuta la durata della vita, la scolarizzazione, la qualità della salute, le libertà individuali. Anche se non ovunque. I paesi piu' poveri (con basso indice di libertà, scolarità e salute) oggi sono quelli distanti dalla globalizzazione, che la rifiutano.
Insomma pur con molti problemi, se all'origine di tutto ci fosse solo l'avidità (che è un "peccato" per chi ha una visione religiosa della vita) ti direi "viva l'avarizia". Ma non credo affatto che sia cosi'. Il motore penso che sia un altro e magari se ho tempo per mettere un po' in ordine alcune idee prima o poi, approfittando di un agosto calmo e tranquillo, preparo qualche cosa.

Io poi questa riduzione dei consumi da noi, crisi a parte, non la vedo affatto. Certo se si parla di crisi economica (e si invoca magari la decrescita) non si puo' anche lamentarsi della diminuzione dei consumi. Ma quando non ci sono crisi i consumi crescono anche da noi, come crescono i redditi. Caso mai faccio notare che se poi alla fine dei conto a noi rimane in tasca poco dello stipendio o del reddito è perché siamo onesti e le tasse le paghiamo. Infatto uno stato come quello italiano che pesa per il 52% del pil si incamera tutti i guadagni di produttività, ma non per fare ridistribuzione (come invece fanno altri) ma per gestire malaffari e clientele, corruzione e sprechi. Ma uscendo dal guscio italico, i consumi nel mondo aumentano, come aumetano i redditi soprattutto nei paesi emergenti (che altrimenti non sarebbero tali). La produzione senza domanda è quindi una invenzione, anzi una reinvenzione e ripresentazione di una vecchia teoria marxista, quella del sottoconsumo (o sovraproduzione). Per una disamina di questa teora si veda http://www.noisefromamerika.org/index.p ... i%22_#body ed anche http://www.noisefromamerika.org/index.p ... fatti#body dove si trovano analisi, dati e grafici.

Su una cosa sono assolutamente d'accordo con Soniadf. Quando dice che "L’economia, come la religione, è solo una delle componenti della vita sociale". Io pero' aggiungo che ogni componente ha una sua sorta di sovranità nel suo ambito di competenza. Non vedo quini politici che facciano i preti, preti che facciano gli economisti o gli imprenditri, politici che giochino con le regole economiche. L'economia la fanno gli imprenditori, con le loro scelte e rischiando i propri capitali. Lo so che tornado al nostro ombelico italico i capitali non ci sono e tutti fanno gli imprenditori con i soldi degli altri (banche, stato , sussidi, esenzioni) ma questo da noi avviane proprio perché il primato della politica sull'economia (che ci ha portato ad un 52% di PIL gestito dalla politica, si vede come...) ha prodotto quei disastri che hanno fatto fuggire all'estero capitali, lavoratori ed ora anche industrie. L'economia è solo una componente della società ma trattatela male ed i risultati si vedranno. E l'Italia è un buon laboratorio per osservare le cose che non andavano fatte (mi riferisco alla DC ed ai governi del CAF).

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Re: La vulgata

Messaggioda chango il 04/08/2010, 10:10

franz ha scritto:
Su una cosa sono assolutamente d'accordo con Soniadf. Quando dice che "L’economia, come la religione, è solo una delle componenti della vita sociale". Io pero' aggiungo che ogni componente ha una sua sorta di sovranità nel suo ambito di competenza. Non vedo quini politici che facciano i preti, preti che facciano gli economisti o gli imprenditri, politici che giochino con le regole economiche. L'economia la fanno gli imprenditori, con le loro scelte e rischiando i propri capitali. Lo so che tornado al nostro ombelico italico i capitali non ci sono e tutti fanno gli imprenditori con i soldi degli altri (banche, stato , sussidi, esenzioni) ma questo da noi avviane proprio perché il primato della politica sull'economia (che ci ha portato ad un 52% di PIL gestito dalla politica, si vede come...) ha prodotto quei disastri che hanno fatto fuggire all'estero capitali, lavoratori ed ora anche industrie. L'economia è solo una componente della società ma trattatela male ed i risultati si vedranno. E l'Italia è un buon laboratorio per osservare le cose che non andavano fatte (mi riferisco alla DC ed ai governi del CAF).

Franz


l'economia non la fanno solo gli imprenditori, ma anche i lavoratori che ci mettono il loro lavoro e i consumatori senza i quali non avrebbe senso parlare di economia come la intendiamo oggi.
l'economia la fa anche la politica con gli investimenti pubblici in infratrutture, servizi e la definizione delle regole.
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Re: La vulgata

Messaggioda franz il 04/08/2010, 10:47

chango ha scritto:l'economia non la fanno solo gli imprenditori, ma anche i lavoratori che ci mettono il loro lavoro e i consumatori senza i quali non avrebbe senso parlare di economia come la intendiamo oggi.
l'economia la fa anche la politica con gli investimenti pubblici in infratrutture, servizi e la definizione delle regole.

Chiaro e condivisibile. L'economia di oggi essendo basata sulla divisione del lavoro (da alcune migliaia di anni) la fanno tanti "attori", ognuno con la propria competenza e ruolo. Di base pero' solo l'imprenditore rischia del suo (tramite l'investimento privato) e rischia di fallire mentre lo stato, se sbaglia investimenti o politica economica, gli erori li fa pagare a noi (o alle prossime generazioni, se crea debito). Solo l'imprenditore ha una "idea d'impresa" e crea mercato e posso assicurarti che non è una cosa facile. Poi che questa non basti senza lavoratori, consumatori, ricerca, sviluppo, scienza, socialità sono perfettamente d'accordo. E' un insieme armonico che si è sviluppato gradualmente e si è visto che chi puo' fare i maggiori danni è la pretesa (statalista) di una economia pianificata e gestita da un grande pianificatore.
Non sono poi molto d'accordo sul fatto che la definizione delle regole "faccia" economia. Le definizione di regole "consente" l'economia (nel sneso che pone le condizioni che rendono possibile un mercato) ma se ci pensi c'era economia anche prima che esistessero gli stati. Nel senso che sono osservabili (nella documentazione storica) casi di autoregolazione in assenza di un ente pubblico regolatore (democratico o no). Ed è osservabile che troppe regole e troppi limiti danneggiano l'economia. Quindi sul ruolo dello stato nel "fare" economia sono assai scettico. Da solo non fa nulla e se pensa di essere "prepotente" puo' fare molti disastri. Le situazioni di maggiore sviluppo e prosperità si osservano negli stati occidentali che intervengono meno nell'economia (le economie "free") e si limitano a svolgere compiti di bassa regolazione (poche leggi ma fatte bene), di gestione del welfare, della scolarità, della salute delle infrastrutture strategiche. Questo pesa per un 30-35% del PIL ... molto meno del nostro 52%.
Ma ovviamente come le imprese tendono ad ingrandirsi (per avidità?) anche le politiche pubbliche tendono ad "allargarsi" (anche perché in questo modo i politici hanno piu' potere e prestigio .... anche qui ... avidità?) e quindi è facile trovarsi dopo alcuni decenni che il maggior imprenditore, per volome di fatturato e dipendenti, è lo Stato. Solo che mentre per le macchine possiamo sceglire tra FIAT, FORD, Renault, Citroen, VW e tante altre, non abbiamo (salvo emigrare) possibilità di scelta dello stato in cui vivere. Nasciamo e ce lo teniamo, salvo l'opzione ogni 4 o 5 anni di votare scegliando tra politiche che tutto sommato, non sono molto diverse (nei programmi lo sono, nell'applicazione pratica un po' meno).
Ecco, penso che laa politica dovrebbe occuparsi piu' di questo, di diversificare le opzioni e le possibilità di scelta invece di seguire la tentazione di un unico grande guzzabuglio consociativo costruito per mettere il piu' possibile le mani nell'economia.

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Re: La vulgata

Messaggioda chango il 04/08/2010, 11:40

franz ha scritto:L'economia di oggi essendo basata sulla divisione del lavoro (da alcune migliaia di anni) la fanno tanti "attori", ognuno con la propria competenza e ruolo. Di base pero' solo l'imprenditore rischia del suo (tramite l'investimento privato) e rischia di fallire mentre lo stato, se sbaglia investimenti o politica economica, gli erori li fa pagare a noi (o alle prossime generazioni, se crea debito).


l'imprenditore è adeguatamente renumerato per i rischi che corre.
sul fatto poi che un impresa non scarichi sulla collettività i costi dei suoi fallimenti o delle sue scelte sbagliate è vero fino ad un certo punto. o meglio è vero se non si prendono in considerazione la strategicità dell'impresa e/o la sua dimensione.
per es. il rischio di fallimetno di banche come Intesa o Uncredit si trasformerebbe in salvataggi da parte del settore pubblico con costi sulla collettività, dato che banche di quelle dimensioni non possono fallire, almeno se si vuole evitare il crollo del sistema bancario nazionale.
Discorso simile vale per imprese di medie e grandi dimensioni.


franz ha scritto:Non sono poi molto d'accordo sul fatto che la definizione delle regole "faccia" economia. Le definizione di regole "consente" l'economia (nel sneso che pone le condizioni che rendono possibile un mercato) ma se ci pensi c'era economia anche prima che esistessero gli stati. Nel senso che sono osservabili (nella documentazione storica) casi di autoregolazione in assenza di un ente pubblico regolatore (democratico o no). Ed è osservabile che troppe regole e troppi limiti danneggiano l'economia. Quindi sul ruolo dello stato nel "fare" economia sono assai scettico. Da solo non fa nulla e se pensa di essere "prepotente" puo' fare molti disastri. Le situazioni di maggiore sviluppo e prosperità si osservano negli stati occidentali che intervengono meno nell'economia (le economie "free") e si limitano a svolgere compiti di bassa regolazione (poche leggi ma fatte bene), di gestione del welfare, della scolarità, della salute delle infrastrutture strategiche. Questo pesa per un 30-35% del PIL ... molto meno del nostro 52%.




se consideriamo un economa di mercato, una regola che consente l'esistenza di un mercato e/o ne definisce il contesto competitivo fa economia. per es. la presenza di barriere all'entrata in un mercato determina il potere di mercato dei soggetti presenti, quindi la loro capacità di fissare i prezzi e di estrarre profitto (di solito a danno del consumatore).

la produzioni di servizi pubblici, gli invesitmenti in infrastrutture strategiche per me sono "fare" economia, visto che attraverso esse lo stato direttametne (dipendenti pubblici) o indirettamente (soggetti privati) consente di lavorare a centinaia di migliaia di persone e a miglia di imprese.

la qualità di questo "fare" economia dipende poi dalla capacità della politica di sapere attuare o meno politiche e regolamentazioni efficaci.
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Re: La vulgata

Messaggioda franz il 04/08/2010, 12:37

chango ha scritto:l'imprenditore è adeguatamente renumerato per i rischi che corre.
sul fatto poi che un impresa non scarichi sulla collettività i costi dei suoi fallimenti o delle sue scelte sbagliate è vero fino ad un certo punto. o meglio è vero se non si prendono in considerazione la strategicità dell'impresa e/o la sua dimensione.
per es. il rischio di fallimetno di banche come Intesa o Uncredit si trasformerebbe in salvataggi da parte del settore pubblico con costi sulla collettività, dato che banche di quelle dimensioni non possono fallire, almeno se si vuole evitare il crollo del sistema bancario nazionale.
Discorso simile vale per imprese di medie e grandi dimensioni.

Ovvio che è rimunerato, magari in modi diversi ... per esempio FIAT paga in Italia piu' del 40% sul suo utile in tasse, in Serbia il 10%. In teoria per il fallimento è solo il capitale sociale ad essere esposto e se si seguisse la regola, per me aurea, che quando i debiti superano la metà del capitale sociale si portano i libri in tribunale, ecco che non ci sarebbe alcun problema del too big to fail. I fornitori prenderebbero tutto, gli azionisti la metà rimanente. Occhio pero' che in questo modo stati come l'Italia e la Grecia sarebbero già falliti. Sono loro il principale "too big to fail".
chango ha scritto:se consideriamo un economa di mercato, una regola che consente l'esistenza di un mercato e/o ne definisce il contesto competitivo fa economia. per es. la presenza di barriere all'entrata in un mercato determina il potere di mercato dei soggetti presenti, quindi la loro capacità di fissare i prezzi e di estrarre profitto (di solito a danno del consumatore).

Ecco, fai proprio l'unico esempio negativo di regola (decisa dagli stati) che crea danno all'economia e vantaggi (illusori) a pochi. I primi a dimostrare (sul piano delle formule economiche) che dazi e barriere sono negative per l'economia sono stati gli economisti liberali (mi pare smith).
chango ha scritto:la produzioni di servizi pubblici, gli invesitmenti in infrastrutture strategiche per me sono "fare" economia, visto che attraverso esse lo stato direttametne (dipendenti pubblici) o indirettamente (soggetti privati) consente di lavorare a centinaia di migliaia di persone e a miglia di imprese.

Vero ma se le infrastrutture servono veramente (e non sono come spesso accade da noi inutili cattedrali nel deserto) l'economia privata le realizzerebbe lo stesso, senza bisogno dello stato e delle regole connesse alla pianificazione delle opere pubbliche e private. Pensa che in passato operazioni come il canale di panama e suez furono finanziati interamente da privati. Città come Venezia, Roma e Firenze (e tutte le città antiche del mondo) sono sorte e si sono sviluppate senza alcun piano regolatore (in effetti le città moderne, come brasilia e milano 2, nate dalle idee di urbanisti piu' o meno grandi, sono decisamente bruttine). Ovvio che se ci sono pochi soldi, perché lo stato ti porta via il 50% dei guadagni, è evidente che poi chiedi allo stato di metterci lui i soldi per le opere strategiche e ti mancano pure i soldi per gli investimenti produttivi. Cosa che succede in Italia. Se poi lo stato qui soldi li spreca, alto che "fare economia".

Ho letto un sunto di un economista svedese del 1700 (e sono in attesa di leggere il testo completo) che affermava già secoli fa cose che oggi danno sicuramnete fastidio ad ogni "statalista", definendo cosi' colui che pensa che l'azione dello stato in economia (regolatorio o di investimento) sia sempre positivo. Anders Chydenius a metà del 1700 facva capire che il "fare" economia (politica economica) degli stati è sul piano delle proabilità molto piu' negativo che positivo.

Il problema, secondo Chydenius, è che le leggi distorcono la naturale tendenza degli individui a creare ricchezza mediante specializzazione e scambio. Per quattro ragioni:

1. La regolamentazione economica è molteplice e ogni pezzo di legislazione persegue obiettivi diversi e indipedenti. Questa frammentazione crea necessariamente un sistema scriteriato e quindi, molto probabilmente, dannoso.
2. Nessuno statista e nessun regolatore possiede sufficiente conoscenza per organizzare l'attività economica in modo da massimizzare la 'ricchezza della nazione'. Questo è un punto fondamentale che anticipa le osservazioni di Hayek e la genesi di mechanism design.
3. Anche se lo statista e il regolatore possedessero tutta la conoscenza necessaria, i loro incentivi non sono necessariamente allineati a quelli della collettività. Questo, invece, è il bread&butter di chi studia political economy.
4. Infine, anche se gli incentivi fossero invece allineati, resta il fatto che anche la più perfetta regolamentazione cambierà sempre meno rapidamente delle circostanze economiche. Citando letteralmente:

Fra le migliaia di possibilità, la legge - sebbene sia la migliore possibile - è pertanto utile solo in un'unica circostanza, vale a dire quella per cui è stata concepita, ma dannosa in tutte le altre.

L'inevitabile risultato è la creazione di rendite di ogni tipo (da quella del monopolista a quella del politico), che Chydenius ritiene particolarmente dannose perché ingolfano il motore della prosperità, ossia l'aumento della produttività:

In una società, più opportunità ci sono per alcuni di vivere sulla fatica degli altri, meno questi stessi altri possono godere dei frutti del loro lavoro e più si affossa la laboriosità. I primi diventano arroganti, mentre i secondi diventano disperati ed entrambi negligenti.

Cosa suggerisce di fare, in conclusione, Chydenius? Naturalmente ridurre il numero di leggi e regolamenti che vincolano la libertà economica:

Un'unica legge, vale a dire quella di ridurre il numero delle nostre leggi, è da allora diventata una materia di lavoro piacevole per me, la quale voglio altamente raccomandare come principale e più importante, prima che ne siano inventate di altre nuove.

Ovviamente invece cosa fa lo Stato, quando nota che le cose non vanno per mancanza di stimoli? Pensa agli incentivi. Si inventa nuove "politiche economiche" per giustificare la sua necessità sociale.
Come la rottamazione. Questo porta a drogare il mercato per un po' ma poi quando finiscono gli incentivi il mercato torna a collassare.

Mi sembra che questo filmo lo abbiamo già visto, no?

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Re: La vulgata

Messaggioda pierodm il 04/08/2010, 13:02

Franz, con molta abilità hai eluso la sostanza del messaggio di Sonia: diciamo pure che, da un certo punto di vista, lo hai anche perfettamente confermato, con un bell'esempio di quella "vulgata" della quale parlava Sonia.
Io aggiungo solo che la tua visione della società è francamente curiosa - almeno da queste parti politiche - dato che alla fine gli unici attori degni di consideraziione sono gli "imprenditori che creano ricchezza e lavoro" , mentre tutto il resto sono o dei rompicoglioni o dei poveracci che non si danno da fare o dei parassiti o gente che al massimo può limitarsi a "fare politica", cioè a non fare un cazzo per non fare danni, e comunque una massa di gente che a voler essere buoni "serve" a "fare società", ossia a creare lo scenario animato nel quale i "capitani coraggiosi dell'intrapresa" possono esibire le loro doti.
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Re: La vulgata

Messaggioda chango il 04/08/2010, 14:01

franz ha scritto:Ovvio che è rimunerato, magari in modi diversi ... per esempio FIAT paga in Italia piu' del 40% sul suo utile in tasse, in Serbia il 10%. In teoria per il fallimento è solo il capitale sociale ad essere esposto e se si seguisse la regola, per me aurea, che quando i debiti superano la metà del capitale sociale si portano i libri in tribunale, ecco che non ci sarebbe alcun problema del too big to fail. I fornitori prenderebbero tutto, gli azionisti la metà rimanente. Occhio pero' che in questo modo stati come l'Italia e la Grecia sarebbero già falliti. Sono loro il principale "too big to fail".



solo che questa regola non si applica neppure nei paesi con economia più free e poche leggi. basta pensare ai salvataggi che gli USA hanno dovuto fare per le banche e il settore auto.


franz ha scritto:Ecco, fai proprio l'unico esempio negativo di regola (decisa dagli stati) che crea danno all'economia e vantaggi (illusori) a pochi. I primi a dimostrare (sul piano delle formule economiche) che dazi e barriere sono negative per l'economia sono stati gli economisti liberali (mi pare smith).


certo che faccio un esempio negativo di regola. un esempio di come regole mal concepite possano determinare un modo negativo di fare economia. l'alternativa però non è un assenza di regole ma una regolamentazione cha apra il mercato.
in questo senso il ruolo di regolametnazione dello Stato fa economia.
anche perchè non è che le barriere all'ingresso siano solo di tipo normativo. i comportamenti oligopolisti, di cartello, sono nella natura dell'impresa, a meno che non so voglia credere che i "bravi e coraggiosi" imprenditori preferiscano farsi concorrenza tra di loro piuttosto che accordarsi per spartirsi il mercato a prezzi che massimizzano i propri profitti. ovviamente il tutto a svantaggio dei consumatori (pubblici o privati che siano).
se così non fosse non avrebbe senso l'esistenza di un autorità anti-trust.



franz ha scritto: Vero ma se le infrastrutture servono veramente (e non sono come spesso accade da noi inutili cattedrali nel deserto) l'economia privata le realizzerebbe lo stesso, senza bisogno dello stato e delle regole connesse alla pianificazione delle opere pubbliche e private. Pensa che in passato operazioni come il canale di panama e suez furono finanziati interamente da privati. Città come Venezia, Roma e Firenze (e tutte le città antiche del mondo) sono sorte e si sono sviluppate senza alcun piano regolatore (in effetti le città moderne, come brasilia e milano 2, nate dalle idee di urbanisti piu' o meno grandi, sono decisamente bruttine). Ovvio che se ci sono pochi soldi, perché lo stato ti porta via il 50% dei guadagni, è evidente che poi chiedi allo stato di metterci lui i soldi per le opere strategiche e ti mancano pure i soldi per gli investimenti produttivi. Cosa che succede in Italia. Se poi lo stato qui soldi li spreca, alto che "fare economia".


tu puoi finanziare privatamente qualunque infrastruttura ma se l'autorità pubblica e politica è contraria non fai proprio nulla.
il fatto poi che un infrastruttura che serva veramente venga realizzata lo stesso dall'economia privata non lo metto in dubbio. è il come e nell'interesse di chi verebbe fatto che mi lascia dei dubbi.
l'economia privata ragiona su logiche, tempi e modalità di sviluppo che non sempre tengono conto dell'impatto e/o dei desideri della comunità su cui essa viene costruita.



franz ha scritto: Ho letto un sunto di un economista svedese del 1700 (e sono in attesa di leggere il testo completo) che affermava già secoli fa cose che oggi danno sicuramnete fastidio ad ogni "statalista", definendo cosi' colui che pensa che l'azione dello stato in economia (regolatorio o di investimento) sia sempre positivo. Anders Chydenius a metà del 1700 facva capire che il "fare" economia (politica economica) degli stati è sul piano delle proabilità molto piu' negativo che positivo.

...

Il problema, secondo Chydenius, è che le leggi distorcono la naturale tendenza degli individui a creare ricchezza mediante specializzazione e scambio. Per quattro ragioni:


Franz

con tutto il rispetto per Chydenius, ma le rendite esistono anche in assenza di regolamentazione da parte dello Stato.
pensare che esse possano essere debellate è come ritenere che il modello della concorrenza perfetta esista nella realtà: illusione.

non sto dicendo che ci devono essere 100 mila leggi. sto dicendo che la regolamentazione dello Stato svolge un ruolo importnate nel fare economia. se lo fa bene o lo fa male dipende dalle scelte che vongo fatte.
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Re: La vulgata

Messaggioda soniadf il 04/08/2010, 15:28

Prima di tutto, mi sorge spontanea una domanda, che avevo smesso di farmi da quando ero adolescente e notavo il diverso trattamento che era destinato a me rispetto ai miei fratelli maschi: orari, incombenze, pretese comportamentali che discendevano dal mio essere femmina.
Mi resi conto allora che volevano ingombrare la mia crescita con una serie di battaglie di retroguardia che mi impedivano di dedicarmi alla vera crescita esistenziale, alla ricerca del senso, oltre le pastoie culturali delle vecchie concezioni sul ruolo femminile.
Tutta la divisione all’interno del centrosinistra, in questi anni, a me è sembrata una serie di battaglie di retroguardia da inserire nell’adolescenza di una nuova formazione politica.
C’è chi crede che creazione di lavoro ed economia siano cose da lasciare solo ai privati, che ne sono gli unici legittimi attori; chi crede che sia bene protrarre lo status quo perché, in fondo, la storia dell’umanità registra comunque un progresso (dimenticando che a provocarlo sono spesso state delle rivoluzioni); chi nasconde la paura sotto una maschera di tecnicismo, perché l’ampliamento dei diritti e del benessere può sempre essere foriero di uno sbilanciamento a suo svantaggio, e così via.
Queste crisi valoriali dovrebbero essere già state risolte in un partito di centrosinistra, e non costituire ancora un terreno di scontro, perché se non siamo pacificamente d’accordo sulla necessità di garantire dignità e sicurezza al lavoro, sposando le tesi che questo scopo contrasta con gli interessi del capitale, il quale, alla fin fine è l’empireo da cui discende tutto il creato, allora è inutile che si cerchino programmi sociali condivisi. E’ come quando ti dicono che hai gli stessi diritti degli altri, ma, essendo femmina, sei tu che devi sparecchiare. E che questo è l’ordine divino, o economico o sociale in cui ti è dato vivere.
Per fortuna, prima o poi, ogni battaglia finisce nella retroguardia, ma sarebbe bello non doversi attardare per anni a difendersi stancamente dai fendenti di un avversario già sconfitto.

La notazione di Franz che riporto è illuminante sulla vanità di credere di militare su un terreno comune:

“Ovviamente invece cosa fa lo Stato, quando nota che le cose non vanno per mancanza di stimoli? Pensa agli incentivi. Si inventa nuove "politiche economiche" per giustificare la sua necessità sociale.”

Se un militante riformista crede che lo stato debba giustificare la sua necessità sociale, ritenendo quindi che non debba averne, mi chiedo di cosa cavolo stiamo parlando?
Il patto sociale alla base di uno stato moderno scaturisce dalla convizione che lo stato debba agire nell’interesse di tutti i cittadini, garantendo regole di giustizia, diritti di proprietà , sicurezza, infrastrutture e, nei casi più fortunati, istruzione e sanità. In alcuni casi, può operare con leve fiscali o incentivi per sostenere settori in crisi. Se uno stato ha bisogno di giustificare la sua sola esistenza, ed è sopportato quando ti garantisce un posto in ospedale o un asilo nido, ma deve tenersi alla larga da qualsiasi iniziativa che interessi l’andamento dell’economia, allora siamo nel campo valoriale della destra conservatrice, che vede ovunque fannulloni e parassiti che attentano alla proprietà.

“In una società, più opportunità ci sono per alcuni di vivere sulla fatica degli altri, meno questi stessi altri possono godere dei frutti del loro lavoro e più si affossa la laboriosità. I primi diventano arroganti, mentre i secondi diventano disperati ed entrambi negligenti.”

Questa citazione dell’economista svedese del ‘700, poi, è un perfetto esempio di comprensione avanguardistica della necessità di garantire diritti al lavoro, perché lo sfruttamento ad oltranza va a scapito della produttività e della coesione sociale.

Molti “riformisti” di questo sventuratissimo centrosinistra avrebbero seri motivi di scontro persino con questo poco noto economista svedese del 1700.

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Re: La vulgata

Messaggioda ranvit il 04/08/2010, 16:56

Mah....queste mi sembrano discussioni tipiche del genere "far prendere aria ai denti".
Perchè, fondamentalmente siamo tutti abbastanza d'accordo, ciononostante ci piace "litigare" sul sesso degli angeli.

Anche se fossimo rimasti solo in due.....ci divideremmo ugualmente!

Nel frattempo il centrodestra fà e disfa : ....Berlusconi fà, Fini e Casini cercano di disfare.

Evviva la sinistra!

Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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