Franz: Vorrei puntualizzare (anche se è palesemente una escusatio non petita) che fintanto che si parla di religione, sul piano storico, culturale, morale etc, le mie posizioni sono quelle che si leggono ma quando si parla dei religiosi o dei credenti, delle persone, ecco qui io prima di tutto metto davanti a tutto il principio del rispetto per le opinioni e le fedi.
Condivido pienamente, sia sul piano ideale, sia su quello personale, nel senso cioè che nelle varie vicende della vita quotidiana mi trovo spesso a fare torto alle mie idee pur di rispettare umanamente certe sensibilità che mi sembrano degne di comprensione e di gentilezza.
Ovviamente, nel fare questo - ma anche sul piano intellettuale, nel giudicare in materia - c'è una buona dose di soggettività e di arbitarietà, legata al chi, al come, al dove e al quando.
Per quanto riguarda i simboli religiosi, come avevo detto nel mio post precedente, la questione del "rispetto" si pone e soprattutto si è posta negli anni della nostra giovinezza - quando l'Italia era assai diversa da oggi, anche in questo campo - di fronte a quelle persone generalmente anziane (i nostri nonni, la varia umanità dell'Italia paesana e campagnola, soprattutto) che con evidente innocenza e in perfetta buona fede credevano in certi simboli in forme che sicuramente erano censurabili sul piano culturale e perfino psicologico - sfiorando la superstizione e il fideismo cieco - ma che con altrettanta evidenza sarebbero rimaste ferite da un'iconoclastìa brutale, per quanto giustificata fosse.
D'altra parte, io - come credo molti altri - sono stato aiutato, nel maturare questi che preferisco chiamare sentimenti prima ancora che idee, dalla vicinanza familare strettissima del fenomeno: un padre comunista, che per tutti gli anni della propria giovinezza era stato un cattolico credente e ardente, innamorato profondamene non solo della dottrina, ma anche e soprattutto della simbologia, della dimensione sacrale delle chiese romane che frequentava fin dall'infanzia, della storia della Chiesa che conosceva e studiava con passione.
Negli ultimi anni della guerra e del fascismo, mio padre aveva maturato posizioni opposte verso la Chiesa e verso tutti i paramenti "temporali" del cattolicesimo, ma aveva conservato un incoercibile rispetto verso la figura di Cristo e verso la sacralità del tempio: credo che si trattasse principalmente di un fatto interiore, di indole e di suggestione, più che uno strascico strettamente "religioso", ma era ugualmente evidente che avrebbe subito un dolore personale da atteggiamenti volgari o brutali verso il complessivo mondo della cristianità, sia pure quella esteriore.
Atteggiamenti, per altro, che gli venivano abbondantemente presentati da suo padre, che al comunismo aveva aderito fin dal 1921, con un piglio da mangiapreti che tuonava contro le malefatte dei "pretacci" anche quando la famiglia era riunita al desco natalizio.
Questo breve squarcio autobiografico per confermare che il problema è complesso, e che da parte del laicismo non si vuole e non si può praticare una scorciatoia ottusa, con faciloneria. Ma anche per fare giustizia di una vulgata vittimistica di tanti cattolici, che sembrano dimenticare quanta strada, e quanto difficile, abbia dovuto compiere la laicità, o anche soltanto la liberazione da pesantissimi condizionamenti, dopo secoli di dominazione spirituale e temporale ecclesiastica.
Vale a dire, quanto male ci sia in quella che viene adesso rispolverata con capzioso candore come "tradizione".