da pierodm il 15/10/2010, 13:05
Che nessuno se l'abbia a male, ma francamente l'unico post in cui è possibile leggere qualcosa d'interessante è quello di Flavio, che riporta un articolo di Beha: Beha, si sa, è uno spigoloso, che ha il grande pregi di dire quello che pensa lui stesso, e di far derivare quello che pensa da quello che vede, e non di fare da portavoce a qualcun altro o da amplificatore a qualche libro letto per caso.
Fa eccezione il post di Franz, nel quale c'è un'incredibile accanimento nel fare distinzione tra"stress" e "ira": interessante, non tanto la distinzione ovviamente, ma l'accanimento sofistico, che rinnova e ci ricorda il mistero miracoloso racchiuso nella nostra mente umana.
Così, di sfuggita - dato che è una zona che conosco bene, ci ho abitato - vorrei dire a Flavio che l'Anagnina non è propriamente "pasoliniana", o almeno non lo è facendo la giusta traslazione dagli anni '60/'70 ad oggi.
E' però - insieme con il Tuscolano, che la ricomprende - sicuramente un pianeta alieno: pianeta, perché quartiere molto esteso e con centinaia di migliaia di abitanti; alieno, nel senso che ha caratteristiche molto peculiari, che gli conferiscono un "clima", un'estetica, un modo di essere periferia urbana unica nella galleria degli orrori metropolitani di Roma.
Da diversi anni, ormai, non abito più in città, e dunque posso di dire di conoscerla bene, ma non più in modo aggiornato quanto si dovrebbe.
Precisato questo, l'altro orrore metropolitano che mi viene in mente è quello delle zone foranee di Montesacro, che nascondono un deserto di cemento buio, umido e sporco alla base dei palazzoni.
Due tipi di città, questi, nei quali è facilissimo "vedere" la violenza, anche quando non c'è nessuno, o anche quando c'è - al Tuscolano - lo sciamare di gente che fa il suo modesto shopping popolare in negozi tutti uguali. Anzi, sarebbe fin troppo facile dire che questi quartieri, queste strade, questi deserti urbani sono essi stessi già "violenza": estetica, culturale, umana, esistenziale.
Tuttavia, sarei portato a pensare che la violenza della quale parliamo non sia né generata, né scusata da questo ambiente: lo sono sicuramente la malinconia, la solitudine, lo sconforto, il fastidio, ma non la violenza - fatta eccezione di quella violenza che costituisce l'eventuale degerazione della solitudine o del fastidio, ossia dell'usura psico-fisica che anche un sentimento crepuscolare come la malinconia può produrre, se accompagnato da vicende esistenziali di disperazione.
Eravamo rimasti, nel mio post precedente, alla "percezione", o meglio al fenomeno dell'informazione, oggi dilatata all'estremo e dunque capace di dare una rappresentazione martellante, ossessiva e pervasiva dei più ordinari fatti di cronaca nera avvenuti negli angoli più sperduti, costruendo un insieme, un "clima" particolarmente angoscioso. In qualche modo, "artificialmente" angoscioso.
Fenomeno, questo, assolutamente vero.
Tuttavia non credo che sia, nemmeno questo, un fattore centrale del problema di cui parliamo.
Così come non lo sono le disuguaglianze sociali e la crisi economica: fattori di stress individuale, sicuramente, e di una vasta gamma di sentimenti negativi, di cattivi pensieri, di acredine e di rabbia. Ma sono fattori che non possiamo, di per sé, attribuire all'epoca attuale, a questa precisa fase di questo preciso sistema.
Nel passato gli stessi fattori operavano in modo assai più feroce e più pesante: vero è che la gente era anche più abituata all'ingiustizia e alla sofferenza, sia fisicamente sia psicologicamente, ma - sullo stesso piano antropologico - era anche più abituata a commettere gesti oggettivamente violenti, in un contesto che rendeva la violenza, o meglio la crudezza, necessaria, e in definitiva quindi la violenza "faqceva meno impressione" e veniva vissuta diversamente.
Nel mio post precedente - se non ricordo male - accennavo fuggevolmente alla tecnologia,e da tempo infatti credo che questa abbia un ruolo determinante nel imprimere una caratetristica particolare a certi fenomeni negativi attuali.
Detto in poche parole - tanto ci torneremo sicuramente sopra - si tratta di questo: la civiltà televisiva e l'informatica ci hanno abituati ad una realtà virtuale, che ha sostituito o gravemente eroso il senso della realtà materiale e il senso di "irrevocabilità" che questa comporta.
Un effetto - questo erosivo e distruttivo di un intero sistema neuronale - che è reso possibile dalla strardinaria pervasività del fenomeno della "realtà virtuale", che con l'avvento combinato di TV e informatica ha praticamente raggiunto ogni strato della popolazione, ogni età, ogni condizione individuale e sociale.
Le conseguenze di questa fenomenologia sono varie e numerose: per esempio, l'evanescenza del confine tra possibile e impossibile, tra revocabile e irrevocabile, tra fantasia e realtà materiale.
In particolare, sembra scomparsa la barriera tra i moti nervosi, gli scatti nevrotici o perfino onirici (che sono propri di tutti noi, ma che nel passato si era abituati a frenare o eliminare con la volontà, la razionalità, o a sublimare con le parole o con compensazioni somatiche) òla barriera tra questi e l'apparente facilità del "fare".
Personalmente, ho notato negli ultimi dieci-vent'anni un aumento dei casi in cui ho la netta sensazione che molta gente si comporta e si muove come se si stesse guardando comportarsi e muoversi: ossia una dilatazione dell'effetto "scenico", virtuale, per cui la realtà viene vissuta come "scena", come desktop, come sfondo del proprio personaggio.
Una spersonalizzazone che si riscontra anche ascoltando molte interviste: le persone parlano collocandosi spesso, senza una vera necessità logica o dialettica, in una categoria - mamme, giovani, studenti, imprenditori, etc, lasciando intendere una specie di fuga nell'appartenza sociologica che oscura la loro individualità, la loro specifica coscienza della realtà.
Nota bene: non sto dicendo che, per esempio, quelli che hanno massacrato il tassista avevano appena finito di guardare il TG2, o si erano appena alzati dalla playstation.
Qui si tratta di un clima, di una mutazione della psicolgia diffusa, di spostamenti magari "numericamente" modesti come quelli di un grado o un grado e mezzo della temperatura media, capaci però di generare la scomparsa di intere<categorie animali e vegetali da un territorio.
Perché, in questo come in altri casi, quello che dobbiamo cercare non è una presenza, ma una mancanza, una scomparsa, un vuoto. Io credo.