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Scalfari

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Scalfari

Messaggioda pianogrande il 28/07/2010, 22:24

non è questione di predicare un conflitto tra generrazioni, ma di prendere atto che alcune generazione hanno vissuto al di sopra dei propri mezzi, ma il conto lo stanno pagando le generazioni più giovani.
Chango


Vabe' Chango.
Non voglio alimentare troppo il conflitto.

La mia generazione (quella del mitico sessantotto e del' "autunno caldo", ma non solo, tanto per intenderci) "il conto" ha fatto di tutto per farlo pagare a chi di dovere.
Ma non voglio neanche essere troppo di parte.
Le cose non sono o bianche o nere e do ragione a Pierodm.
La classe politica, incapace di gestire i problemi e sempre in cerca di consenso e di voti, ha sempre reagito creando intorno a se enormi sacche di clientelismo fatto di privilegi (dai dipendenti del parlamento e dintorni giù giù fino ai baby pensionati, ai falsi invalidi e quant'altro).
I sindacati ci si sono buttati come mosche sul miele.
La situazione attuale è figlia anche di questi enormi (e diseducativi) sprechi.
Riconosco che, nello spirito di rispondere ad un messaggio piuttosto antipatico, non avevo fatto tutte queste riflessioni.

Il dibattito sulle colpe del popolo e quelle dei governi potrebbe essere lunghissimo.
Certo, davanti a tanti privilegi non mi risulta ci siano state sollevazioni popolari (non di chi era oggetto di tali privilegi, quanto meno).
Sulle strade facili si riesce a camminare in tanti e tutti d'accordo.
Poi, quando finisce la benzina, son dolori.
Buone cose a te.
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
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Re: Scalfari

Messaggioda Loredana Poncini il 29/07/2010, 7:31

Myosotis ha scritto:mah tu, caro pier, ti ostini a cercare interlocutori in questa sorta di casa delle polveri: Luogo di vecchi, che si rincojoniscono giorno per giorno a cercare il modo di esisterei non avendo di meglio da fare. Infatti, sono rimasti in pochi a perorare cause avulse da qualasiasi contesto sociale e realtà concreta. Certo, non parlo di quella realtà di chi c'ha la pensione pagata dagli stessi precari, da quegli stessi "compagni" che, quotidianamente, si affanna a denigrare. Nè parlo di chi dalla ricca Svizzera vive di una ricchezza mafiosa e sporca e pure vuole venirci a dire come dobbiamo vivere noi onesti cittadini di sotto.

...Noi vecchi abbiamo un unico destino, cioè rincoglionirci giorno per giorno, Myosotis ?
Quanta disperazione ! E di quante cose ti scordi, Nontiscordardime ! :roll:
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Re: Scalfari

Messaggioda pierodm il 29/07/2010, 20:38

No Loredana, non è questione di vecchiezza d'età, ma di quella vecchiezza di mente e di cuore, quel particolare livore che si rivolge verso tutto ciò che non si riesce a capire e infine la voglia - o forse sarebbe meglio dire l'unica capacità residua - di fare quei discorsi che si volevano fare da anni, da decenni, e che per vari motivo non i aveva il coraggio di fare , o la convenienza.

L'argomento che è venuto fuori, poi, sulle vecchie generazioni che ostengono le nuove, è il classico esempio di quanto male faccia la sociologia d'accatto, ossia scissa dalla coscienza politica.
Per non smentirmi, mi rifaccio a Pasolini, quando polemizzava con Ferrarotti: tu parli "dei giovani" - dice Pasolini - io parlo di "quel giovane", io parlo delle persone concrete.
Che siano i politici a non saper vedere le "persone concrete" possiamo non dico perdonarlo, ma almeno capirlo.
Ma che non ci si riesca nemmeno qui, persone concrete noi stessi, è grottesco: alcuni di noi pensano perfino di essere culturalmente superiori perché si nutrono di filosofia d'accatto, poiché ritengono che la politica sia diventata questo.
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Re: Scalfari

Messaggioda Myosotis il 03/08/2010, 23:50

Caro Pianogrande, il fondo pensioni è alimentato dai contributi dei lavoratori che "attualmente" li versano, i contributi. Se, facciamo un caso estremo, il numero di lavoratori che attualmente versa i contributi fosse pari a zero (per esempio, tutti lavoriamo al nero o con salari da fame) i nostri genitori e chi tra noi vive di una pensione finirebbe col doversi rivolgersi prima o poi alla Caritas a meno di essere persona con entrate altre dalla propria pensione. In altre parole è interesse di ciascuno - pensionato o lavoratore che sia - sostenere quel sistema di diritti che ci consente da una parte di vivere oggi decorosamente dopo una vita di lavoro, dall'altra di garantire a se stessi di poter fare altrettanto quando non lavoreremo più.
Quello che qualcuno mi sembra si ostini a non capire è che è l'esistenza ed il rispetto di diritti acquisiti, di condizioni di lavoro dettate da contratti nazionali a garantire un equilibrio generazionale e a far sì che ciascuno possa prospettarsi, dopo una vita di lavoro, una condizione decorosa per sè e per i propri cari, è questione che riguarda tutti direttamente: per ogni lavoratore che perde il posto e va in cassaintegrazione (se è fortunato!) e per ogni lavoratore precario che non ha nemmeno diritto ad una cassa integrazione, questo sistema viene meno e la moltitudine dei più deboli ci rimette l'esistenza, ci rimette quel decoro che fa di un paese un paese civile.
E' il sottile filo rosso che tutti unisce ma che è profondamente smagliato nella inconsapevolezza dei singoli del legame sociale ed economico che unisce le sorti di chi lavora con i diritti di tutt* permettendo alla società tutta di usufruire di una vita decorosa: l'assenza di questa consapevolezza - che gli interessi dei lavoratori e dei padroni sono dialettici nei periodi di vacche grasse ma inconciliabili quando le vacche diventano magre - è, secondo me, quanto sta al cuore della crisi del centrosinistra ad alimentare il vuoto che la sua assenza ci lascia. E fosse solo un vuoto ideologico, sarebbe il minimo.

Quanto agli interventi del moderatore, vabeh :roll:
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Re: Scalfari

Messaggioda franz il 04/08/2010, 10:13

Myosotis ha scritto:Caro Pianogrande, il fondo pensioni è alimentato dai contributi dei lavoratori che "attualmente" li versano, i contributi. Se, facciamo un caso estremo, il numero di lavoratori che attualmente versa i contributi fosse pari a zero (per esempio, tutti lavoriamo al nero o con salari da fame) i nostri genitori e chi tra noi vive di una pensione finirebbe col doversi rivolgersi prima o poi alla Caritas a meno di essere persona con entrate altre dalla propria pensione. In altre parole è interesse di ciascuno - pensionato o lavoratore che sia - sostenere quel sistema di diritti che ci consente da una parte di vivere oggi decorosamente dopo una vita di lavoro, dall'altra di garantire a se stessi di poter fare altrettanto quando non lavoreremo più.
Quello che qualcuno mi sembra si ostini a non capire è che è l'esistenza ed il rispetto di diritti acquisiti, di condizioni di lavoro dettate da contratti nazionali a garantire un equilibrio generazionale e a far sì che ciascuno possa prospettarsi, dopo una vita di lavoro, una condizione decorosa per sè e per i propri cari, è questione che riguarda tutti direttamente: per ogni lavoratore che perde il posto e va in cassaintegrazione (se è fortunato!) e per ogni lavoratore precario che non ha nemmeno diritto ad una cassa integrazione, questo sistema viene meno e la moltitudine dei più deboli ci rimette l'esistenza, ci rimette quel decoro che fa di un paese un paese civile.

Perfettamente d'accordo, in linea generale. Quando si entra pero' nel particolare le cose iniziano a cambiare, perché nel mondo ci sono centinaia di sistemi previdenziali diversi, tutti tendenti a quell'obbietitvo che dici ( vivere oggi decorosamente dopo una vita di lavoro) ma che lo fanno a costi inferiori e con prestazioni spesso superiori.

Da noi il problema non è solo che tende a diminuire il volume dei pagatori (che versano nel fondo) ma che è cresciuto a dismisura il volume dei percettori (oggi 16 milioni e mezzo). E qui si passa ai "diritti acquisiti". Faccio il solito caso estremo, per capirci: le pensioni di anianità degli insegnanti, quelle che permettevano di andare in pensione con 15 anni, sei mesi ed un giorno di versamenti. Ma il concetto è esteso a chi andava in pensione di anzianità a 56 anni (mentre il termine di vecchiaia è solitamente attorno ai 65 ed oggi va verso i 67). In totale noi abbiamo quindi oggi (pe le scelte di ieri) tanti pensionati che in media prendono poco (tante pensioni da fame) mentre alti modelli pensionistici (dove certi "diritti" - per me privilegi - non sono mai diventati "acquisiti") hanno meno pensionati (solo agli over 65) e con prestazioni di importo superiore (si vive piu' che degnamente). Poi sempre all'estero a partire dalla metà degli anni 70 sono nati anche i primi fondi pensione, che si sommano alla pensione ordinaria, e non sono pochi quindi i lavoratori che oggi vanno in pensione con due importi, quello base (sociale a compartizione) e quello privato a capitalizzazione. La cosa interessante pero' è che malgrado tutto i sistemi pensionistici dell'europa costano (in termini di contributi versati) meno che da noi con il risultato che lo stipendio netto è piu' elevato (questo aiuta i consumi interni). Essendo anche piu' elevate le pensioni, anche questo aiuta i consumi.
Da noi invece il nostro modello pensionistico è un freno ai consumi ed allo sviluppo, soprattutto al sud.

In totale (non so come siamo arirvati a parlare di pensioni partendo da scalfari) gli ottimi obbietitvi che indichi devono pero' essere soddisfatti in modo compatibile con lo sviluppo economico. In un paese con l'elevata aspettativa di vita come da noi non si puo' andare in pensione prima dei 60 anni e lamentarsi contemporaneamente che i salari sono da fame e le pensioni pure. Oggi il 42% dell'importo che una ditta contabilizza come stipendio del lavoratore va in contributi (quota a carico del lavratore e del datore di laavoro) mentre in altri sistemi paese che hanno pensioni migliori, questa % scende al 33% della svezia, al 32% della germania, al 20% di norvegia, UK e USA (e ti assicuro che pagano pensioni migliori delle nostre, perché pagano solo pensioni di vecchiaia, e quelle di anzianità sono rare e circoscritte a pochi casistiche).

I sistemi pensionistici diversi dal nostro (meno oneriosi in busta paga e piu' generosi per i solo over 65) sono quelli che rieswcono a funzionare bene anche in periodi di vacche magre, come li chiami. Perché sostengono i consumi e ... la vacca è meno magra. Certo, non si puo' andare in pensione a 60 anni con 30 anni di contributi (in un sistema sociale a compartizione ... in uno privato uno fa quello che vuole). Vi sembra una ingiustizia?

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Re: Scalfari

Messaggioda Myosotis il 05/08/2010, 12:28

Partiamo da un dato oggettivo: secondo la relazione annuale relativa al bilancio 2008, l'Inps vantava un saldo attivo pari ad oltre 11 miliardi di euro, mentre l'Inpdap stima di pareggiare il deficit del 2010 - pari a circa 1,5 miliardi di euro - attraverso riduzioni di spese e cartolarizzazioni del patrimonio immobiliare.
La situazione attuale della previdenza italiana è, quindi, meno drammatica di quello che sembra nonostante l'Inps anticipi da decenni una bella fetta del fondo assistenziale che dovrebbe gravare sulla fiscalità generale e che lo Stato, per altro, non gli ha mai rimborsato caricandolo "di fatto" sui contributi previdenziali dei lavoratori.
Ciò detto, rimane il problema di mantenere i conti previdenziali nei limiti dell'attuale sostenibilità anche in futuro. E qui abbiamo due scuole di pensiero chiaramente in conflitto tra loro. La prima, quella che alimenta l'allarme sul deficit dei conti previdenziali, quella che ha fortemente voluto ed ottenuto riforme in senso peggiorativo delle pensioni di anzianità e vecchiaia nei vent'anni passati ( lg passaggio dalla pensione retributiva a quella contributiva e innalzamento dell'età pensionabile) ma, allo stesso tempo, ha caldeggiato - o quantomeno mai ostacolato realmente - la precarizzazione del mercato del lavoro, nè mai contrastato attivamente l'evasione contributiva ed il lavoro nero, da una parte. Dall'altra, quella che ritiene la sofferenza del nostro sistema previdenziale (e il relativo peggioramento delle condizioni economiche dei pensionati) tra gli effetti più nefasti di politiche volte prevalentemente a favorire un'iniqua redistribuzione della ricchezza a svantaggio dei lavoratori e dei pensionati e a vantaggio di padroni e padroncini vari, classi dirigenti economiche e gruppi di potere vari.
In effetti, un reale contrasto all'evasione contributiva e fiscale porterebbe tanti di quei soldi nelle casse dello Stato e della previdenza che nemmeno dieci manovre finanziarie e l'innalzamento dell'età pensionabile a ottant'anni. Potrebbe inoltre alleggerire il bilancio degli enti previdenziali dalle spese assistenziali rimettendolo nelle competenze della fiscalità generale, come dovrebbe essere, permettendo ai lavoratori una pensione e condizioni materiali più che decorose anche a fronte di un relativo invecchiamento della popolazione. Là dove, in ogni caso, andrebbe anche tenuto conto del graduale aumento della popolazione italiana dovuto in larga misura all'immigrazione, in termini di forza lavoro e di tasso riproduttivo, nonchè del conclamato effetto che adeguate politiche di sostegno alla famiglia ha sul numero di figli che una donna è disposta a mettere la mondo nel corso della propria esistenza.

Cosa c'entra tutto questo con il problema di Pomigliano da cui la discussione ha preso vita, mi sembra abbastanza evidente: là dove troppo spesso è proprio chi più deve ai diritti acquisiti dai lavoratori a non comprendere che la difesa di questi diritti è la linfa che nutre il ramo su cui la stragrande maggioranza di noi è seduta quando più o meno comodamente.
E quando apprendo che la spesa pubblica italiana è aumentata del 40% negli ultimi dieci anni a fronte dei tagli indiscriminati che tutti i servizi essenziali hanno, nel frattempo, subito; a fronte del drammatico peggioramento della qualità della vita che tutti noi, lavoratori o pensionati che siamo, viviamo sulla nostra pelle e con la sola prospettiva di subirla senza prospettive, a me sale il sangue alla testa e mi monta un sentimento di rabbia che tra qualche anno rischia di dilagare affine a se stesso tra i troppi che, avendo sempre meno da perdere, hanno pure rinunciato alla speranza in un cambiamento e a credere nell'esistenza di un'alternativa politica.

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Re: Scalfari

Messaggioda franz il 05/08/2010, 18:42

Myosotis ha scritto:E qui abbiamo due scuole di pensiero chiaramente in conflitto tra loro. La prima, quella che alimenta l'allarme sul deficit dei conti previdenziali, quella che ha fortemente voluto ed ottenuto riforme in senso peggiorativo delle pensioni di anzianità e vecchiaia nei vent'anni passati ( lg passaggio dalla pensione retributiva a quella contributiva e innalzamento dell'età pensionabile) ma, allo stesso tempo, ha caldeggiato - o quantomeno mai ostacolato realmente - la precarizzazione del mercato del lavoro, nè mai contrastato attivamente l'evasione contributiva ed il lavoro nero, da una parte. Dall'altra, quella che ritiene la sofferenza del nostro sistema previdenziale (e il relativo peggioramento delle condizioni economiche dei pensionati) tra gli effetti più nefasti di politiche volte prevalentemente a favorire un'iniqua redistribuzione della ricchezza a svantaggio dei lavoratori e dei pensionati e a vantaggio di padroni e padroncini vari, classi dirigenti economiche e gruppi di potere vari.

Non mi identifico in nessuna delle due "scuole".
Per me il dato sul deficit futuro (gobba del 2035) è abbastanza oggettivo (per quanto possa esserlo un previsione demografica) e non vale per l'Italia ma un po' per tutto il mondo occidentale. Ovunque c'è stato un grosso baby boom nel dopoguerra, ovunque c'è stato il calo delle nascite (crescita zero) a partire dagli anni 70, ovunque c'è stato un forte allungamento della speranza media di vita. Proprio per questo in quasi tutti i paesi d'europa al tradizionale sistema retributivo a compartizione è stato affiancato nei primi anni 80 un sistema contributivo a capitalizzazione individuale (seconda pensione).
L'allarme specifico per l'Italia riguarda il fatto che da noi l'allungamento della vita è maggiore e la seconda pensione stenta a decollare perché la prima ha aliquote troppo elevate.
Per questo chi fa previsioni non guarda all'attuale saldo attivo ma ipotizza situazioni gravemente deficitarie tra 25 anni.

Oggi pero' a mio avvviso chi canta vittoria decantando i saldi attivi dell'INPS (effettivamente oggettivi) dimentica a quale costo per il paese questo saldo attivo viene ottenuto. Il costo ha una dimensione ben precisa: il 42% circa del prelievo contributivo (poi ci sono anche le imposte) sul salario. Parte a carico del lavoratore e parte carico dell'azienda. Quando io devo fare un'autovettura o un televisore (che vendo in tutto il mondo) nei costi di produzione devo mettere le materie prime, i semilavorati, tutti i costi fissi (impianti, assicurazioni, amministrazione) i salari lordi ed il mio margine.

I salari lordi sono gravati (ben piu' di altri paesi) di quel 42% solo di contributi previdenziali + le imposte dirette che il datore preleva e manda allo stato (sostituti d'imposta. Si arriva piu' del 50%. Quindi se le merci sono fatte in Italia costano di piu' (a noi consumatori) ed è piu' facile che i consumatori esteri trovino altri prodotti simili ma a prezzo piu' basso. Contemporaneamente questo prelievo rende piu' magra la nostra busta paga e si fa fatica ad arrivare a fine mese: il lordo azienda è infatti quasi il doppio del netto dipendente. Il che significa che per ogni euro che il lavoratore riceve in busta, l'azienda ne sborsa due. Questo in altri paesi non succede. E non mi riferisco alla polonia o alla bosnia ma alla germania, alla francia. Un buon indicatore è il volume delle esportazioni. Quello italiano è il 19% del PIL. Dato che diventa il 30% per la Francia ed il 35% per la Germania. I tedeschi per questo sono il 35% piu' ricchi e necessitano del 35% di manodopera in piu' rispetto ad un'economia senza esportazioni.
Io in questo ci vedo in danno per tutti: lavoratori, datori di lavoro, consumatori.

Ecco quindi inquadrata l'altra faccia della medaglia dell'attivo INPS. Il che mi ricorda un vampiro bello pasciuto pieno di sangue che si compiace, mentre milioni di lavoratori osservano le buste paga sempre piu' leggere (solo potessero sapere il loro azienda, non solo il lordo dipendente!).

L'altro aspetto riguarda la precarizzazione e qui devo darti completamente ragione, solo che io vedo in questo una causa di altre scelte fatte a monte. Troppi sono precari perché troppi altri sono chiusi a riccio nella loro rigidità. Qui è chiaro che è una guerra tra poveri ma è stata voluta da chi è fortmente organizzato e non cede una virgola (ma il muro a Pomiliano si è incrinato) obbligando quindi i nuovi lavoratori a figure di estremo precariato. Invece di una flessibilità omogenea per tutti, abbiamo creato lavoratori di serie A, tutelati, e lavoratori di serie B, non tutelati e estremamente precari. Io questa situazione non la trovo, cosi' estremizzata, in altri paesi. Quindi non ritengo che la precarietà estrema che c'è in Italia (dove ormai su 24 milioni di lavoratori solo la metà ha un contratto come dipendente) sia dovuta ad una malvagità o avidità intrinseca del capitalismo mondiale. Se cosi' fosse troveremmo la stessa situazione ovunque ma non è cosi'.
Il problema è principalmente italiano. Poi che sia responsabilità dei capitalisti italiani e/o dei lavoratori sindacalizzati e dei loro "diritti aquisiti ... io direi "entrambi". Ma anche questo è a scapito di tutti e non è a vantaggio, come dici, dei "padroni".
Ti spiego perché: se fosse come dici, ci sarebbe una gara internazionale di imprese e padroni per venire in Italia, che sarebbe il paese del bengodi. Invece come vedi scappano. Come scappano anche molti lavoratori qualificati (ma questo è fatto noto da tempo e non è una novità). Se scappano significa che non trovano alcun vantaggio competitivo a stare qui.

L'ho fatta già troppo lunga e quindi chiudo qui.
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Re: Scalfari

Messaggioda pierodm il 06/08/2010, 20:09

Ecco quindi inquadrata l'altra faccia della medaglia dell'attivo INPS. Il che mi ricorda un vampiro bello pasciuto pieno di sangue che si compiace, mentre milioni di lavoratori osservano le buste paga sempre piu' leggere

Basterebbe che il vampiro riversasse quell'eccesso di sangue nelle pensioni, restituendo in un certo senso il maltolto.
Ma certo è troppo semplice come soluzione.

L'altro aspetto riguarda la precarizzazione e qui devo darti completamente ragione, solo che io vedo in questo una causa di altre scelte fatte a monte. Troppi sono precari perché troppi altri sono chiusi a riccio nella loro rigidità. Qui è chiaro che è una guerra tra poveri ma è stata voluta da chi è fortmente organizzato e non cede una virgola (ma il muro a Pomiliano si è incrinato) obbligando quindi i nuovi lavoratori a figure di estremo precariato. Invece di una flessibilità omogenea per tutti, abbiamo creato lavoratori di serie A, tutelati, e lavoratori di serie B,

"Abbiamo creato" chi? Va be', lasciamo stare, ché il discorso sarebbe tropo lungo.

La precarietà non dipende dalla rigidità degli "altri": questa rigidità, per la parte che permane, semmai rende la precarietà più drammatica, in quanto tende a bloccare la dinamica economico-sociale.
La precarietà è il sintomo e allo stesso tempo l'obiettivo perenne di un'imprenditoria di basso livello tecnico, principalmente speculativa.
In questo genere di fenomeni, certamente esistono colpe di tutti - che convergono nell'area politica - ma in molti casi si tratta di problemi che riguardano principalmente il meccanismo economico, l'ideologia aziendalistica e il concetto di "lavoro" visto dal punto di vista del capitale.
Non si può continuare - come si sta facendo in questi anni anche nell'area progressista - ad attribuire ogni nefandezza e ogni coglioneria alla politica, mentre le scelte economiche e l'ideologia dello "sviluppo" rimane un feticcio verginalmente intatto, dove al massimo ogni responsabilità risale alla ineluttabile "fallibilità umana".
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Re: Scalfari

Messaggioda pierodm il 07/08/2010, 1:33

se fosse come dici, ci sarebbe una gara internazionale di imprese e padroni per venire in Italia, che sarebbe il paese del bengodi. Invece come vedi scappano

Mi ero dimenticato questo pezzetto finale.
La gara internazionale è quella di insediarsi in quei tanti posti "emergenti" che hanno una situazione dei diritti, della precarietà, dei salari molto peggiore della nostra, e in genere un livello di "democrazia" assai scombiccherato.

Mi sembra che in questi discorsi stiamo commettendo un vecchio errore, tipico degli anni '70 e '80 della prima repubblica: quando si parla di economia e dintorni, si mettono in campo solo le grandi imprese, in questo caso quelle che hanno un respiro internazionale, italiane o estere che siano.
Ricordo che, a sinistra, si parlava solo di ENI, FIAT e Montedison, a proposito di relazioni sindacali e politiche industriali.
Ci sono in realtà non solo le migliaia e migliaia di piccole e medie aziende di carattere locale, ma anche le organizzazioni pubbliche e altri generi di aziende che non possono delocalizzare, e nella precarizzazione spinta del mercato del lavoro italiano trovano il loro "paese emergente", la loro piccola Serbia, o piccola Cina.
In realtà, c'è un grosso problema che riguarda la tanto invocata meritocrazia e la tecnologia.
Lo svilimento, sia contenutistico sia economico sia culturale, del lavoro è reso possibile dal fatto che c'è sempre meno bisogno di gente preparata, che abbia fatto la sua brava esperienza in un settore lavorativo.
Anzi, diciamo che la frammentazione del lavoro in tante fasi, gestite in gran parte da semplici sistemi di tecnologia informatica "a prova di cretino" permette a chiunque di fare molti lavori, annullando la possibilità di una qualche forma di meritocrazia.
Lo stesso vale per i manager, o dirigenti di medio livello.
La scala delle abilità e delle competenze è ampia e varia là dove c'è produzione, studio, necessità di decisioni complesse, non in un'economia basata su speculazione, posizioni di privilegio e rendita, attività in cui il fattore determinante è l'investimento di capitale e non la qualità del servizio o dell'apporto intellettuale.
Anche nel - giustamente, spesso - bistrattato settore pubblico, c'è effettivamente la necessità di dirigenti "bravi", migliori di quelli scelti per appartenenza o clientelismo, ma in realtà non c'è necessità di un grande miglioramento: per fare meglio basterebbe poco, le decisioni da prendere per migliorare il servizio sono spesso delle fesserie per le quali basta il semplice buon senso o la semplice presenza attiva nel proprio ufficio. Non c'è un grande spazio per il dispiegarsi di una meritocrazia, di chissà quali "competenze".
In Italia il problema è più acuto, ma il disastro economico che ha investito l'economia mondiale in questi due ultimi anni sta a dimostrare che i criteri della "meritocrazia" probabilmente non funzionano, visto il tipo di manager che producono.
In questo quadro, la precarietà e lo svilimento del lavoro sono l'altra faccia della medaglia di un'economia che necessita di un numero minimo di "competenti" specializzati e di una massa d'individui intercambiabili capaci di fare pezzetti di lavoro "a prova di cretino", che non c'è alcun interesse a conservare nell'azienda e a retribuire adeguatamente.
Tutto sommato nemmeno le aziende sono sicure di continuare ad esistere: se il rendimento del capitale investito scende sotto un certo livello, l'azienda viene liquidata, e buonanotte.
In paesi occidentali dotati di una maggiore mobilità e solidità economica, e di una produzione di livello tecnologicamente elevato, questo genere di fenomeni sono deleteri ma meno drammatici che in Italia.
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Re: Scalfari

Messaggioda franz il 07/08/2010, 11:04

pierodm ha scritto:Basterebbe che il vampiro riversasse quell'eccesso di sangue nelle pensioni, restituendo in un certo senso il maltolto.
Ma certo è troppo semplice come soluzione.

Niente affatto. Diciamo che il "maltolto" viene effettivamente resituito ai pensionati pero' lo si fa verso 16 milioni e mezzo di percettori (!) mentre gli over 65 (quelli che sono ritenuti i veri pensionati di diritto nel mondo) sono in Italia circa nove milioni e mezzo (tutti, che abbiano lavorato o no). Ma anche se cosi' fosse (si versasse tutto il prelevato ai soli pensionati di vecchiaia) rimane un prelievo troppo elevato che strozza l'economia interna e penalizza le esportazioni.
Altre nazioni trovano un migliore equilibrio tra prelievo previdenziale e prestazioni e ti assicuro che il primo è mediamente inferiore (i casi peggio di noi sonp pochi) ed il secondo è superiore (perché le pensioni di anzianità sono una assoluta rarità e l'assistenza è carico della fiscalità, non dei contributi previdenziali).
pierodm ha scritto:La precarietà non dipende dalla rigidità degli "altri": questa rigidità, per la parte che permane, semmai rende la precarietà più drammatica, in quanto tende a bloccare la dinamica economico-sociale.
La precarietà è il sintomo e allo stesso tempo l'obiettivo perenne di un'imprenditoria di basso livello tecnico, principalmente speculativa.

Probabile che in parte tu abbia ragione ma visto che i contratti precari non hanno quel prelievo del 42% di cui si parlava prima, si tratta piu' probabilmente di un meccanismo per sfuggire al "vampiro" e contemporaneamente eludere quel matrimonio indissolubile che è il contratto di lavoro dipendente a tempo indeteminato. In pratica queste condizioni quadro hanno creato e formato una classe imprenditoriale pronta a sfruttare ogni occasione per eluderle (compresa anche la piaga del lavoro sommerso). Diciamo che anche seguendo un classico ragionamento marxista, è piu' corretto affermare che le condizioni economiche quadro hanno indotto il comportamento dei manager e degli imprenditori e non viceversa.
pierodm ha scritto:La gara internazionale è quella di insediarsi in quei tanti posti "emergenti" che hanno una situazione dei diritti, della precarietà, dei salari molto peggiore della nostra, e in genere un livello di "democrazia" assai scombiccherato.

Paesi che proprio per questo vedono gradualmente crescere i propri livelli di reddito e di benessere generale (ed io penso anche di democrazia ... penso alla Polonia e tutto l'Est europeo, che in 20 anni ha fatto passi avanti).
Rilevo comunque che la fuga dall'Italia non riguarda affatto solo le grandi imprese (dove i casi sono piu' eclatanti) ma proprio tutte le PMI, nel senso che osservo casi in cui PMI e Micro (ma anche imprese individuali) cercano di trasferirsi altrove. E pur non cambiando sostanzialmente mentalità, si trovano in un diverso contesto che fa loro avere successo.

pierodm ha scritto:In questo quadro, la precarietà e lo svilimento del lavoro sono l'altra faccia della medaglia di un'economia che necessita di un numero minimo di "competenti" specializzati e di una massa d'individui intercambiabili capaci di fare pezzetti di lavoro "a prova di cretino", che non c'è alcun interesse a conservare nell'azienda e a retribuire adeguatamente.

Questo è vero ed è il dramma italiano. Avendo perso tutti i treni del'alta tecnologia, ci sono rimaste lavorazioni a basso valore aggiunto e alto contenuto di lavoro scarsamente qualificato. Ma questo anche perché il nostro sistema formativo sforna giovani dalla dubbia qualificazione professionale ed i migliori (che ci sono) sono comunque attratti (per i salari e per il merito) da esperienze all'estero.

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