Due chicche che ci fanno pensare che in Italia, oltre ad un problema di corrotti ed incapaci e di leggi farraginose ed inadeguate, c'è un problema culturale più generale che riguarda anche i magistrati.
Essere corrotti non basta. Il giudice reintegra il politico dipendente in Regione
Salvo il posto dell’ex presidente dell’Autobrennero Silvano Grisenti. Era stato condannato a un anno per corruzione, tentata violenza privata e truffa
Appalti L’allora presidente dell’Autobrennero, Silvano Grisenti, era stato condannato - tra le altre cose - anche per aver dirottato un appalto verso un’impresa in cambio di lavori di progettazione al fratello ingegnere
04/02/2016
giuseppe salvaggiulo
Una condanna definitiva per corruzione, truffa aggravata e tentata violenza privata non basta a giustificare il licenziamento di un dipendente pubblico. Lo sostiene il giudice che ha reintegrato il lavoratore, sostenendo che il cambio di mansioni salva il rapporto di fiducia.
La vicenda si svolge in Trentino e ha come protagonista Silvano Grisenti, un importante politico molto vicino al deputato Lorenzo Dellai che ha affiancato in una carriera ventennale, prima nella Dc poi nella Margherita e infine in un autonomo partito autonomista. Consigliere e assessore comunale, consigliere e assessore provinciale grazie a 11 mila preferenze, nel 2007 Grisenti viene nominato presidente dell’Autobrennero, ricca società a controllo pubblico. Un anno dopo, quando si dimette per un’indagine giudiziaria, torna al suo originario posto di lavoro in Regione.
Passano gli anni e, mentre si svolgono i processi, Grisenti continua a lavorare in Regione. Ma non molla la politica. Nel 2012 viene rieletto in Consiglio provinciale, rimettendosi in aspettativa dal suo posto in Regione. Ma nel 2015 la sentenza definitiva della Cassazione lo giudica colpevole di tre reati. Corruzione per aver chiesto e ottenuto da un imprenditore la promessa di un incarico per il fratello ingegnere; tentata violenza privata per aver provato a costringere una coop a rinunciare a un ricorso al Tar che avrebbe penalizzato l’Autobrennero, paventando in caso contrario conseguenze negative su altri appalti; truffa per aver organizzato e pagato con la carta di credito aziendale «pranzi di natura politica» con «esponenti del suo partito» spacciandoli per incontri di rappresentanza, per circa mille euro.
Grisenti viene condannato a un anno di reclusione. Ricevuta notizia, il Consiglio provinciale delibera la sua decadenza dalla carica elettiva, come prevede la legge Severino. Grisenti torna a lavorare ma per poco, perché la Regione lo licenzia. Grisenti, che si è sempre professato innocente, ricorre al giudice del lavoro. E ottiene ragione.
Sostiene il giudice Giorgio Flaim che la condanna penale riguarda un periodo in cui Grisenti era «presidente di una Spa e non poteva dirsi pubblico impiegato». Ma omette di ricordare che la Autobrennero Spa è a controllo pubblico (83%), la Regione ne è prima azionista (32%) e ne nomina i vertici.
Né si può sostenere, dice il giudice, che la condanna per quei reati contro la pubblica amministrazione sia sufficiente a far venire meno il rapporto di fiducia tra pubblica amministrazione e dipendente. Fu corrotto e truffatore, ma difficilmente lo sarà in futuro. Le sue nuove mansioni (controllo di regolarità su associazioni impegnate in progetti internazionali) sono diverse da quelle che lo fecero cadere in tentazione. Non avendo poteri di rappresentanza della Regione, «verosimilmente mai si troverà a gestire in prima persona i contatti diretti con imprese appaltatrici o con esponenti di altre istituzioni. Ed essendo sprovvisto di poteri di spesa, verosimilmente mai si troverà a poter chiedere rimborsi all’ente datore per spese assunte nell’ambito di iniziative da lui stesso promosse».
Invano obietta la Regione che «non è possibile ridurre a bagatella la condanna definitiva per alcuni reati particolarmente gravi. «La giusta causa di licenziamento è radicalmente insussistente», conclude il giudice condannando la Regione a reintegrare Grisenti nel suo posto, oltre a versare un risarcimento pari a un anno di stipendio più contributi previdenziali e interessi.
Palp Fiction
03/02/2016
massimo gramellini
Il capufficio toccò il sedere di una sua impiegata e il seno e le parti intime di un’altra, ma va assolto perché è un immaturo: in effetti all’epoca dei fatti aveva solo 65 anni. La sentenza del tribunale di Palermo è di quelle che faranno giurisprudenza, specie in Arabia Saudita. Ecco come sono andate le cose, secondo la ricostruzione dei giudici. Il dottor Domenico Lipari dirigeva l’ufficio delle tasse, gran brutto mestiere, e ogni tanto per rilassarsi palpeggiava le collaboratrici a portata di mano. Ma per scherzo. Nessuno vuole negare che un superiore che gioca alla playstation con le tette di una sottoposta stia compiendo una prevaricazione. Eppure, nel caso in esame, va considerata la gioiosità del contesto. Tanto più che, e qui le virgolette della motivazione sono d’obbligo, «nel comportamento del Lipari non è ravvisabile alcun fine di concupiscenza o di soddisfacimento dell’impulso sessuale». Capito? Le toccava per sgranchirsi le nocche, arrugginite dai troppi accertamenti fiscali. Con la stessa partecipazione emotiva avrebbe potuto strizzare una pallina antistress o quelle del suo vice, anche se così avrebbe corso il rischio di ricevere la patente di «frocio», che forse per tribunali del genere configura giusta causa di licenziamento.
La vera piaga, sembra suggerire l’augusto consesso, è stata la reazione seriosa delle palpeggiate, che anziché prestarsi allo scherzo e magari sbottonare la camicetta per agevolare le operazioni, hanno denunciato il giocherellone. Rivelando, a differenza sua, una mancanza assoluta di tatto.
P.S. Il giudice estensore della sentenza è una donna, purtroppo.
« Dopo aver studiato moltissimo il Corano, la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche religioni altrettanto letali per l'uomo di quella di Maometto» Alexis de Tocqueville