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Il temporary shop del fotovoltaico — di Lucia Navone

Dall'innovazione tecnologica alla ricerca, vogliamo trattare in particolar modo i temi legati all'ambiente ed alla energia, non solo pero' con uno sguardo puramente tecnico ma anche con quello politico, piu' ampio, di respiro strategico

Il temporary shop del fotovoltaico — di Lucia Navone

Messaggioda franz il 21/07/2012, 8:32

Con il varo del V conto energia arrivano puntuali le lamentele degli operatori del settore fotovoltaico che, ancora una volta, sono i perseguitati di turno. La cosa curiosa è che, prima di diventare delle vittime designate su cui il Governo ha deciso di puntare i propri fucili, sono stati comunque baciati dalla fortuna perché il sole in Italia non manca quasi mai.

Grazie all’abbondanza di raggi solari (e di incentivi generosi) l’Italia è riuscita a diventare il primo paese a livello europeo con la creazione, secondo il rapporto Cresme (Centro ricerche economiche sociali di mercato per l’edilizia e il territorio), di 400mila posti di lavoro negli ultimi quattro anni

Anni in cui i toni trionfalistici si sono sprecati e dove il segno più ha contraddistinto le campagne di posizionamento di molti operatori: più fatturato, più occupati, più energia pulita, più tutto insomma.

Oggi siamo passati al segno meno e tutti si lamentano a gran voce della “macelleria fotovoltaica” che il Governo ha scientemente decretato..

Probabilmente, il vecchio adagio di“chi si loda si imbroda” ha ancora il suo perché e un atteggiamento forse meno trionfalistico avrebbe aiutato il mercato a gestire meglio la crisi che lo sta investendo.

E dato che le brutte notizie (perlomeno quelle preoccupanti) non fanno parte del DNA di un settore proiettato verso la positività e l’utilità sociale, qualcosa oggi è scomparso dalle cronache dedicate al nuovo conto energia. Sarebbe bello sapere cosa rimane di quei 400 mila posti di lavoro ma per questo attendiamo fiduciosi l’aggiornamento del rapporto

Certo, chi cura questo blog già due anni fa aveva parlato di posti di lavoro temporanei, legati perlopiù alla produzione e all’installazione ma nessuno si sarebbe aspettato una fuga dalle produzioni così veloce. Nel giro di due anni i posti di lavoro andati in fumo sono stati migliaia così come migliaia sono stati gli euro spesi per coprire le casse integrazioni di questi lavoratori. Nel solo distretto del fotovoltaico di Padova, oggi praticamente scomparso, a dicembre 2011 erano stati spesi 1 milione di euro tra cassa ordinaria e straordinaria. Oggi, prudentemente, qualcuno ha già annunciato “di dover ricorrere a provvedimenti straordinari per far fronte ai cambiamenti legislativi e di mercato” ma fino all’anno scorso questa prudenza non esisteva. Si è continuato a produrre, tra un intervallo di cassa integrazione e un altro, sapendo benissimo che il periodo delle vacche grasse sarebbe finito. Una sorta di temporary shop dove i lavoratori dovevano coprire solo la stagione autunno inverno in attesa di spostare il business su altro, più a valle della filiera.

Obiettivo degli incentivi, si diceva, era accompagnare la crescita di un’industria nazionale, degna di questo nome. Oggi, se guardiamo a cosa rimane di quell’industria baciata dal sole possiamo dire: “ben poco”. Dei cinque produttori in pole position fino all’anno scorso non rimane quasi nulla, solo richieste di cassa integrazione che molti non riescono neanche a pagare ai loro ex dipendenti. Per non parlare poi del disastro sull’indotto che sta travolgendo intere aree industriali già in crisi (basti pensare alla Brianza o alla zona di Padova) e ai tantissimi debitori che bussano alle porte delle aziende senza trovare risposte; se va bene, si vedono riconoscere il 30% di quanto loro dovuto. Dei fallimenti poi non è dato sapere perché di queste cose in Italia, si sa, è inutile parlare. Secondo la CGIA di Mestre ce ne sono 35 al giorno. Peccato che in questo caso stiamo parlando di aziende fallite nonostante gli incentivi e che hanno voluto fare il passo più lungo della gamba con progetti industriali forse un po’ troppo ambiziosi. Oppure, come in molti casi, troppo poco ambiziosi puntando tutto su una produzione di basso profilo, senza investire in ricerca e innovazione perché, “gli incentivi non lo consentivano” e in Italia non c’è una politica industriale degna di questo nome. Ed ecco allora arrivare i cinesi e la loro invasione di pannelli uguali – ma meno costosi – a quelli italiani.

Tutti fatti di cui si parla poco ma che rappresentano un costo economico e sociale da aggiungere naturalmente al costo dei sussidi. La cosa interessante è che chi paga le bollette sono anche quelle donne e quegli uomini che fino a qualche mese fa lavoravano mettendo insieme pezzi di silicio e che oggi sono a casa, in attesa di risposte e di tempi migliori. Tanti di loro avevano creduto di aver trovato il “lavoro del futuro” ma evidentemente si erano sbagliati. Forse ora li aspetta un nuovo temporary shop in cui verranno impiegati per la prossima stagione autunno inverno. Su quale nuova scommessa industriale però non è dato sapere.

http://www.chicago-blog.it/2012/07/20/i ... ia-navone/
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Il fallimento della green economy

Messaggioda franz il 21/07/2012, 8:35

Quando all’election day mancano soltanto quattro mesi, sono molte le cose di cui un presidente deve occuparsi per tentare di aggiudicarsi la rielezione. Preoccupato per un’economia tutt'altro che rinvigorita, oltre che per i dati sulla disoccupazione decisamente scoraggianti e la minacciosa impennata nella raccolta fondi dello sfidante Romney, il presidente Obama rilancia portando in pole position i cavalli di battaglia di sempre: immigrati, Obamacare, automotive e green economy.

In una situazione tanto delicata è facile tralasciare questioni politicamente meno rilevanti, ma un presidente a caccia di rielezione sa bene che ogni dimenticanza ha un peso elettorale. A piantare la grana che Obama farà bene a non trascurare è l’industria eolica americana, tormentata da una scadenza: 31 dicembre 2012, giorno in cui scadrà il Production Tax Credit che da ormai due decenni tiene in piedi la bolla del settore eolico; bolla che l’amministrazione Obama appoggia e contribuisce da quattro anni a gonfiare. Si tratta, in sostanza, di un credito d’imposta di 2.2 centesimi di dollaro su ogni kilowattora prodotto.

Gli imprenditori e i dipendenti del comparto eolico temono che Obama, dalla loro parte in tempi più sereni, ricacci la questione in fondo all'agenda per ragioni di priorità elettorali, aumentando le possibilità che l’agevolazione fiscale non venga rinnovata nel periodo tra l’election day di novembre e la fatidica scadenza di dicembre, provocando un forte calo nella produzione del settore. Molte aziende sostengono di aver già registrato diminuzioni significative degli ordini, e la storia recente sembra dar loro ragione: le uniche tre volte che il Tax Credit non è stato rinnovato per tempo, le installazioni di turbine eoliche sono calate tra il 79 e il 93%. Con previsioni di perdite simili, molte aziende saranno costrette a sottoporsi ad una rigorosa spending review e minacciano di iniziare con un taglio netto dei dipendenti, che potrebbe provocare un downsizing del 50% degli impiegati totali nel settore.

Un fronte bipartisan composto da 18 membri del Congresso, democratici e repubblicani alla loro prima esperienza e in cerca di visibilità e consenso, ha sposato la causa e promette battaglia affinché le ragioni della febbre elettorale non prevalgano sugli interessi della categoria.

Tutto sommato, a consolare Obama c’è la compagnia di David Cameron, anche lui alle prese con le proteste del settore, fermamente contrario ai tagli che i conservatori – con grande sostegno degli elettori britannici – vorrebbero operare a partire dal 2013.

La situazione di stallo dell’intero comparto eolico americano è emblematica per comprendere come la politica, animata da logiche elettorali, non sia in grado di sgonfiare le bolle che essa stessa ha creato e gonfiato negli anni. Lo abbiamo visto in passato con il fallimento dei colossi del fotovoltaico americano Solyndra e Optisolar e ora possiamo constatare le stesse dinamiche nel settore eolico. L’industria delle rinnovabili è un castello di carta, pronto a crollare ogniqualvolta si paventi anche soltanto una remota possibilità che il rubinetto pubblico – prenda esso la forma di sussidi, incentivi o credito d’imposta – venga chiuso o quanto meno regolato. E’ vero in America come lo è in Gran Bretagna, e in generale ovunque la green economy è legata a doppio filo alle casse dello Stato.

Non rinnovare il Production Tax Credit e lasciare che molti dei 75.000 imprenditori e lavoratori del settore rimangano disoccupati vorrebbe dire consegnare il loro voto e quello dei familiari al proprio rivale; e in politica, si sa, chi concede troppo al proprio oppositore perde la poltrona. Obama è troppo scaltro per alimentare una simile débacle in dirittura d’arrivo alle elezioni. A pagarne le conseguenze – potete starne certi – sarà il mercato dell’energia, drogato da dei nani che, pompati dalla retorica ambientalista e con lo Stato dalla loro, appaiono come giganti.

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La guerra nel commercio di tecnologia solare

Messaggioda franz il 26/07/2012, 8:03

La guerra nel commercio di tecnologia solare intacca le importazioni cinesi
La Cina minaccia ripercussioni sulle tariffe imposte ai propri pannelli solari.
di Kevin Bullis

La Cina sta avviando un’investigazione sulle possibilità che gli Stati Uniti abbiano sussidiato in maniera sleale materie prime destinate alla produzione di pannelli solari in Cina, o che i fornitori statunitensi abbiano venduto loro queste materie a prezzi maggiorati.

Questa mossa pare sia in risposta alle pesanti tariffe imposte recentemente dagli Stati Uniti ai pannelli solari importati dalla Cina, che costituirebbero una pratica impropria di mercato. Le tariffe avrebbero delle ripercussioni sulle importazioni dalla Cina, che secondo la Coalition for American Solar Manufacturing sarebbero crollate del 45 percento.

D’altro canto, almeno due aziende americane del solare, la Abound e Solyndra, hanno attribuito a pratiche commerciali improprie da parte dei cinesi la causa del proprio fallimento.

http://www.technologyreview.it/?p=article&a=2524
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Re: Il fallimento della green economy

Messaggioda Tyden il 12/09/2012, 10:45

franz ha scritto:Quando all’election day mancano soltanto quattro mesi, sono molte le cose di cui un presidente deve occuparsi per tentare di aggiudicarsi la rielezione. Preoccupato per un’economia tutt'altro che rinvigorita, oltre che per i dati sulla disoccupazione decisamente scoraggianti e la minacciosa impennata nella raccolta fondi dello sfidante Romney, il presidente Obama rilancia portando in pole position i cavalli di fotovoltaico battaglia di sempre: immigrati, Obamacare, automotive e green economy.

In una situazione tanto delicata è facile tralasciare questioni politicamente meno rilevanti, ma un presidente a caccia di rielezione sa bene che ogni dimenticanza ha un peso elettorale. A piantare la grana che Obama farà bene a non trascurare è l’industria eolica americana, tormentata da una scadenza: 31 dicembre 2012, giorno in cui scadrà il Production Tax Credit che da ormai due decenni tiene in piedi la bolla del settore eolico; bolla che l’amministrazione Obama appoggia e contribuisce da quattro anni a gonfiare. Si tratta, in sostanza, di un credito d’imposta di 2.2 centesimi di dollaro su ogni kilowattora prodotto.

Gli imprenditori e i dipendenti del comparto eolico temono che Obama, dalla loro parte in tempi più sereni, ricacci la questione in fondo all'agenda per ragioni di priorità elettorali, aumentando le possibilità che l’agevolazione fiscale non venga rinnovata nel periodo tra l’election day di novembre e la fatidica scadenza di dicembre, provocando un forte calo nella produzione del settore. Molte aziende sostengono di aver già registrato diminuzioni significative degli ordini, e la storia recente sembra dar loro ragione: le uniche tre volte che il Tax Credit non è stato rinnovato per tempo, le installazioni di turbine eoliche sono calate tra il 79 e il 93%. Con previsioni di perdite simili, molte aziende saranno costrette a sottoporsi ad una rigorosa spending review e minacciano di iniziare con un taglio netto dei dipendenti, che potrebbe provocare un downsizing del 50% degli impiegati totali nel settore.


Un fronte bipartisan composto da 18 membri del Congresso, democratici e repubblicani alla loro prima esperienza e in cerca di visibilità e consenso, ha sposato la causa e promette battaglia affinché le ragioni della febbre elettorale non prevalgano sugli interessi della categoria.

Tutto sommato, a consolare Obama c’è la compagnia di David Cameron, anche lui alle prese con le proteste del settore, fermamente contrario ai tagli che i conservatori – con grande sostegno degli elettori britannici – vorrebbero operare a partire dal 2013.

La situazione di stallo dell’intero comparto eolico americano è emblematica per comprendere come la politica, animata da logiche elettorali, non sia in grado di sgonfiare le bolle che essa stessa ha creato e gonfiato negli anni. Lo abbiamo visto in passato con il fallimento dei colossi del fotovoltaico americano Solyndra e Optisolar e ora possiamo constatare le stesse dinamiche nel settore eolico. L’industria delle rinnovabili è un castello di carta, pronto a crollare ogniqualvolta si paventi anche soltanto una remota possibilità che il rubinetto pubblico – prenda esso la forma di sussidi, incentivi o credito d’imposta – venga chiuso o quanto meno regolato. E’ vero in America come lo è in Gran Bretagna, e in generale ovunque la green economy è legata a doppio filo alle casse dello Stato.

Non rinnovare il Production Tax Credit e lasciare che molti dei 75.000 imprenditori e lavoratori del settore rimangano disoccupati vorrebbe dire consegnare il loro voto e quello dei familiari al proprio rivale; e in politica, si sa, chi concede troppo al proprio oppositore perde la poltrona. Obama è troppo scaltro per alimentare una simile débacle in dirittura d’arrivo alle elezioni. A pagarne le conseguenze – potete starne certi – sarà il mercato dell’energia, drogato da dei nani che, pompati dalla retorica ambientalista e con lo Stato dalla loro, appaiono come giganti.

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Questa è la fonte più sicura propbably e verde di energia, ma privo di efficacia.
Ultima modifica di Tyden il 13/09/2012, 7:10, modificato 1 volta in totale.
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Re: Il fallimento della green economy

Messaggioda franz il 12/09/2012, 13:02

Tyden ha scritto:Questa è la fonte più sicura propbably e verde di energia, ma privo di efficacia.

Per prima cosa benevenuto a Tyden.
Ti chiedo se puoi di chiarire meglio il tuo pensiero, perché non è chiaro a cosa ti riferisci.
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Re: Il temporary shop del fotovoltaico — di Lucia Navone

Messaggioda trilogy il 16/10/2012, 11:43

Berlino, 15 ott. (TMNews) - I principali fornitori di energia elettrica tedesca hanno annunciato un aumento del 47% dell'imposta pagata dai consumatori per il finanziamento delle energie rinnovabili, pari a 5,277 centesimi per Kilowattora.

Si tratta di un aumento pari a circa 60 euro all'anno per una famiglia di tre persone: in totale, l'imposta dovrebbe raccogliere circa 20,36 miliardi di euro destinati al sostegno del settore delle rinnovabili.

Secondo un recente sondaggio la maggior parte dei tedeschi è favorevole allo sviluppo delle energie rinnovabili - specie dopo l'uscita dal nucleare decisa l'anno scorso da Berlino - ma teme un possibile aumento delle bollette.

Il 93% degli intervistati ritiene "importante" o "molto importante" lo sviluppo delle rinnovabili, mentre il 74% crede che l'energia "verde" aiuti a garantire un futuro più sicuro alle prossime generazioni. Tuttavia, cresce anche la contrarietà al finanziamento delle rinnovabili attraverso la sovrattassa, il cui aumento a 5 centesimi è ritenuto "eccessivo" dal 51% degli intervistati.

fonte: http://notizie.virgilio.it/notizie/este ... 23391.html
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Re: Il temporary shop del fotovoltaico — di Lucia Navone

Messaggioda mauri il 16/10/2012, 11:48

mi piacerebbe sapere quanto pagano oggi i dedeschi di luce e gas, mi ricordo che una volta pagassero parecchio in meno di noi e hanno stipendi ben più alti dei nostri
ciao mauri
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