TITO TETTAMANTI, finanziere
I dollari di Topolino degli Stati indebitati
Parecchi anni fa, con il comico italiano Raffaele Pisu, avevamo progettato nel Mendrisiotto, sulla falsa riga dei parchi Walt Disney, una Pisulino City. Opposizioni insormontabili ci fecero abbandonare il progetto. Ricordo dalle diverse analisi eseguite che una delle fonti di reddito per i parchi Walt Disney era il dollaro di Topolino. Non vi era visitatore, bambino o genitore, che non portasse a casa qualcuno di questi speciali dollari quale ricordo. Ottimo affare per chi li vendeva: si incassava un dollaro vero contro un pezzo di carta che, compresa la stampa, costava qualche centesimo. Il tutto mi è tornato alla mente vedendo come la FED negli USA ma anche altre banche centrali emettono moneta a gogo. Il denaro, sappiamo, è un indispensabile mezzo di scambio, e la moneta, scrive Fergusson («Ascesa e declino del denaro», 2009) deve essere disponibile, accessibile, durevole, tangibile, portatile ed affidabile. Nella storia le monete rappresentavano il valore dell'oro, argento, bronzo, con le quali venivano coniate. L'affidabilità non dipendeva solo dal metallo incorporato, bensì anche dalla credibilità e dalla fiducia riscossa dall'emittente.
Veniamo ai tempi nostri e meglio al 1971. Nixon annulla l'impegno degli USA di cambiare i dollari, moneta di riferimento del sistema, in oro. Sono cose che gli Stati sovrani possono fare, a differenza di noi privati: rimangiarsi la parola. Da quel momento, semplificando, possiamo dire che le singole monete (banconote) si basano esclusivamente sulla fiducia verso lo Stato (o il gruppo di Stati per l'euro) emittente.
Agli Stati - con poche eccezioni - ed alla politica non parve vero di poter promettere l'impossibile per ottenere i favori degli elettori, contrarre debiti per pagare l'impossibile, o perlomeno il molto generoso promesso, il tutto grazie alla facoltà di emettere carta moneta per pagare - si fa per dire - i debiti. Conclusione: Stati super indebitati, quasi tutti, moneta che perde di valore ed una gravissima crisi finanziaria.
Al concretizzarsi della crisi finanziaria nel 2007 e 2008, i Governi la affrontano in modo errato e con i sistemi usati per le recessioni (immissione di liquidità nel sistema, mantenimento di tassi vicini allo zero, interventi di salvataggio massicci, misure di sostegno di dubbio effetto) ma non riescono comprensibilmente nel loro intento, quello di rilanciare l'economia. Una terapia costosa e inadeguata, frutto di una diagnosi errata. Evitiamo le polemiche, ma c'era chi vedeva in questo frenetico interventismo statale la rinascita e conferma di teorie più o meno keynesiane, chi decretava la morte o quasi dell'economia di mercato. Non ci si era accorti che era la politica ad aver portato Stati e privati a super indebitarsi e che la crisi era quella che Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff (This Time is Different, 2009) avevano definito una «grande contrazione» conseguente ad una situazione di super indebitamento.
Quando si è oberati dai debiti la soluzione non consiste nel fare sempre più debiti e stampare sempre più moneta, cercando di dopare l'economia. Gli Stati dapprima salvano (non sempre a ragione) alcune banche (benvenuto il fallimento Lehman, che ci ha fatto capire dove eravamo arrivati). Dopo averle salvate hanno fatto acquisire alle stesse banche miliardi di obbligazioni statali che il mercato avrebbe avuto difficoltà ad assorbire. Successivamente gli stessi Stati fanno i salti mortali per impedire che qualche nazione (vedi Grecia) dichiari bancarotta alfine di evitare una nuova crisi delle banche, dovuta alla perdita di valore delle obbligazioni statali in portafoglio. I Governi sono allarmati perché questa volta hanno meno forza per intervenire. E con tutto ciò non si è risolto il problema di fondo: quello di pagare i debiti.
I debiti si pagano o risparmiando (ma è possibile e ne abbiamo la volontà?) o con un aumento di produttività, quindi lavorando di più (nuovamente siamo disposti?) o con il condono da parte del creditore che si rende conto di non poter recuperare quanto dovutogli. Vi è un'altra strada, quella di una bella inflazione (speciale perché non figlia di scarsità di prodotti) determinata dalla perdita di fiducia nella moneta e nello Stato emittente. Conseguenza: impoverimento dei cittadini, specie risparmiatori e pensionati, praticamente espropriati di una parte dei loro averi. Non dimentichiamo, esaminando le soluzioni, che gli Stati sono storicamente dei cattivi pagatori, lo dicevamo in un commento da queste colonne nel settembre del 2009, mettendo in guardia ancora prima della crisi in Grecia.
Attenti, il vero desiderio di Stati indebitati perché male amministrati è di pagarci con i dollari di Topolino.
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