la riforma del lavoro«Il Jobs act non vale per gli statali»E’ scontro aperto nel governo
Se si vuole affrontare il tema c’è la legge delega sulla Pubblica Amministrazione, dice il ministro del Lavoro. Ma il sottosegretario Zanetti (Scelta civica) replica: «Sconcertante»di Redazione Online
E’ scontro aperto nel governo sul Jobs act e sulla sua applicabilità ai dipendenti pubblici. Secondo il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, le nuove regole [
non?, NdR]* valgono anche per i lavoratori del pubblico impiego, «perché tutta la discussione sulla legge delega è stata fatta sul lavoro privato e quindi non è applicabile al pubblico impiego». Confermando quanto detto già dal ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, Poletti aggiunge: «Se si vuol discutere del lavoro pubblico in Parlamento c’è una legge delega sulla Pubblica Amministrazione». Una posizione che smentisce quanto sostenuto dal giuslavorista Pietro Ichino (Sc), che ha contribuito alla stesura del testo: secondo Ichino, l’assenza di un riferimento esplicito all’esclusione degli statali si traduce in un loro coinvolgimento. Sbotta il sottosegretario al Mef e deputato di Sc Enrico Zanetti: «Trovo francamente sconcertante questo affannarsi di alcuni ministri nel negare l’applicabilità del Jobs act al pubblico impiego». E
spiega:«
Come si fa a non capire che certi distinguo non rappresentano giuste rassicurazioni per il pubblico impiego, bensì ingiuste discriminazioni per i dipendenti del settore privato?». Critico pure il senatore di Ncd Roberto Formigoni, che parla di «riformismo di Renzi piccolo piccolo»: «E così il Jobs Act non vale per i dipendenti pubblici, il settore che ne aveva più bisogno».
Il nodo degli ammortizzatori socialiQuello della validità o meno del Jobs act per i dipendenti pubblici era solo uno dei nodi rimasti aperti dopo l’approvazione dei decreti attuativi della riforma del lavoro nel consiglio dei ministri del 24 dicembre scorso.La prima partita si gioca sul nuovo ammortizzatore sociale destinato ad assorbire progressivamente i precedenti Aspi e mini-Aspi e a mandare in pensione la cig in deroga. Il decreto attuativo è stato infatti approvato «salvo intese», in assenza cioè della bollinatura finale della Ragioneria generale dello Stato e l’individuazione certa delle coperture. Al momento l’unico importo scritto nero su bianco è quello inserito nella legge di stabilità che ai nuovi ammortizzatori destina 2,2 miliardi per ciascun anno 2015 e 2016 e 2 miliardi di euro per gli anni a seguire a partire dal 2017. Le risorse potrebbero però non bastare: nel 2013, ad esempio, - anno, è vero, di crisi profonda, non necessariamente destinato a replicarsi - secondo i dati Inps, Aspi e mini-Aspi sono costati ben 7,5 miliardi di euro. Anche senza arrivare a quelle cifre, comunque, il problema risorse resta, tanto che già nel corso dell’esame della legge di stabilità le minoranze del Pd avevano chiesto ulteriori stanziamenti.
La questione dei licenziamenti collettiviC’è poi la questione dei licenziamenti collettivi. Inaspettatamente il decreto prevede infatti che le regole sui licenziamenti individuali valgano anche per quelli di almeno cinque lavoratori. Una regola che forse è servita per placare gli animi più bellicosi all’interno della maggioranza ma che ha mandato su tutte le furie i sindacati. Non solo la Cgil, già pronta a nuovi scioperi e a ricorsi giudiziari contro tutto il pacchetto, ma anche la finora più cauta Cisl. Proprio l’ex sindacalista Cesare Damiano promette il suo impegno, invitando anche ad apprezzare quello che finora è stato ottenuto. Sicuramente, in qualità di presidente della Commissione Lavoro della Camera, si batterà per ricondurre la norma ai soli licenziamenti individuali, ma nel frattempo, sottolinea, l’importante è essere riusciti a disinnescare alcuni «pericoli», come il cosiddetto «opting out», voluto fortemente da Ncd, che avrebbe permesso al datore di lavoro di «aggirare» l’impossibilità di un licenziamento ritenuto illegittimo attraverso il pagamento di un mega indennizzo. Qualsiasi sia il parere che le Commissioni parlamentari invieranno al governo, l’esecutivo non sarà comunque obbligato a tenerne conto, visto che sulle deleghe le indicazioni parlamentari non sono vincolanti.
http://www.corriere.it/economia/14_dice ... 3684.shtmlNota: (*) Il [non] l'ho aggiunto io perché senza la frase è contraddittoria.
Nel merito pero' mi sembra surreale che ministri litighino sull'applicabilità di una norma. La Legge è legge e se scrivono male i testi, o in modo non abbastanza chiaro, non spetta ai ministri dare chiavi interpretative.
Spetta eventualmente alla magistratura, in caso di conflitto di interpretazione. In uno stato di diritto.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)