RETROSCENA. Il Cavaliere per ora cede. "Ma a marzo serve una soluzione"
Il Cavaliere teme che le mosse del suo ministro puntino al "dopo"
E Giulio minaccia le dimissioni
"Se non mi difendi me ne vado"
di CLAUDIO TITO
"O blocchi subito le polemiche oppure io non posso più stare qui". Di buon mattino Giulio Tremonti aveva letto la prima pagina di "Libero" e aveva capito che qualcosa stava accadendo. Poi era stato avvertito della contestazione in corso tra molti dei "big" del Pdl. Quell'evocazione del "posto fisso" stava insomma scatenando un pandemonio. E il ministro solo in parte se lo aspettava. Allora ha alzato il telefono e ha chiamato Silvio Berlusconi. Minacciando a chiare lettere le dimissioni.
I rapporti tra i due, del resto, sono ormai quelli di due "separati in casa". I "duelli" in consiglio dei ministri si ripetono quasi ogni settimana. Non è la prima volta che il superministro agita l'addio. Lo ha fatto anche nell'ultima riunione di governo. "Preparate le valige - è il refrain che Tremonti ripete come un mantra ai suoi collaboratori - perché tanto da qui ci cacciano". Domenica scorsa, poi, visitando la Fiera del Tartufo a Pecorara, in provincia di Piacenza, si era lasciato andare ad una espressione simile: "Non vedo l'ora di andare in pensione...". Berlusconi, invece, lo segue "con sospetto". Non sopporta quelle riunioni dell'Aspen Institute con tanti, "troppi", esponenti dell'opposizione. Compresa quella fissata per il prossimo 23 novembre a Lecce.
Stavolta, inoltre, le parole del capo dell'Economia sono state colte come una "invasione di campo, una provocazione". Come l'ennesimo tentativo di uno strappo" al di là del merito della questione. Ieri, infatti, la tensione era altissima. Tremonti temeva "l'accerchiamento". Il titolo in prima pagina del giornale diretto da Maurizio Belpietro ha fatto scattare il campanello d'allarme al ministero dell'Economia. E in effetti, il colloquio tra "Silvio e Giulio" non è stato affatto distensivo. "Non capisco - è stato il ragionamento del Cavaliere fatto ad Arcore con i fedelissimi - perché se ne è uscito in questo modo proprio ora. C'è qualcosa dietro?". Il capo del governo teme il tentativo di imporre un'agenda "dialogante" con il centrosinistra. Dopo un giro di consultazioni con Gianni Letta e Paolo Bonaiuti, alla fine ha deciso di ridimensionare con una nota ufficiale la polemica scoppiata nel centrodestra. Ma solo per evitare che "Giulio faccia colpi di testa". Durante la sessione di bilancio, mentre la Finanziaria fa il suo corso in Parlamento, sarebbe troppo rischioso aprire un buco nella gestione della politica economica.
Eppure il "caso Tremonti" resta aperto. Basti pensare che la scorsa settimana, poco prima dell'ultimo consiglio dei ministri, il premier si era sfogato con il sottosegretario Letta - alla presenza di altri ministri - invocando una "soluzione definitiva". Una formula che tutti hanno interpretato come la richiesta di un vero e proprio allontanamento.
E già perché i fattori del conflitto tra Presidenza del consiglio e Via XX Settembre si stanno moltiplicando. Per ultimo lo scudo fiscale. Secondo il Cavaliere è stato confezionato in modo da "penalizzare le banche e il risparmio". Non solo. Il premier ha chiesto di utilizzare subito il gettito proveniente dai capitali "scudati". Ma la risposta è stata un secco "niet". "Non siamo in grado di affrontare altre uscite - è la posizione di Tremonti - non possiamo non tenere conto dell'andamento dei nostri conti pubblici".
Ma quel che più sta facendo montare la rabbia del Cavaliere, è la linea del confronto con il centrosinistra. Una ragnatela di contatti che per il premier sta diventando troppo fitta. Il dialogo con D'Alema, i rapporti con Casini, il feeling ritrovato con Gianfranco Fini. Un quadro che fa aleggiare su Via del Plebiscito uno spettro: che sia già iniziata la corsa al "dopo-Berlusconi". E che anche "l'amico Giulio" si stia attrezzando. Anche perché nella "campagna del dialogo" sta entrando perfino la Cgil di Guglielmo Epifani.
Sospetti che presto potrebbero gonfiarsi. I riflettori verranno puntati sul prossimo convegno organizzato, attraverso Tremonti, dall'Aspen Institute. Il 23 novembre, a Lecce, si terrà infatti un incontro dal titolo "Nuovi paradigmi di progresso e capitalismo". Con una lista di ospiti piuttosto indicativa. I "mediatori" sono Giuliano Amato e lo stesso ministro. Tra gli invitati non c'è nemmeno un esponente del Pdl. C'è però Massimo D'Alema e Guglielmo Epifani. Nel campo della maggioranza c'è solo un leghista, Giancarlo Giorgetti. Poi una sfilza di imprenditori e boiardi di Stato, di banchieri e professionisti. Il direttore generale del Tesoro Grilli e il presidente della Banca Popolare di Milano Ponzellini, l'Ad della Cassa Depositi e Prestiti Verazzani e il presidente di Rcs Marchetti, il garante Catricalà e l'ad di Vodafone Colao, il capo di Fasteweb Parisi e il presidente della Lega delle Cooperative Poletti. Un analogo seminario, tenutosi l'8 ottobre scorso, aveva mandato Berlusconi su tutte le furie.
Forse, allora, non è un caso che di recente si sia attivata la diplomazia di Palazzo Chigi. Contattando alcune cancellerie europee per porre sul tappeto la candidatura dell'Italia alla presidenza dell'Eurogruppo. Una poltrona disponibile a marzo e idonea al ministro dell'Economia. E marzo sarà il mese più adatto per un eventuale "rimpasto". Dopo le regionali qualche altro ministro potrebbe lasciare l'esecutivo per un "Governatorato".
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