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19
Gennaio 2002
[Gargonza]
Il ritorno del sadismo sociale - il DDL 795 sull'immigrazione
Invio alla lista questo articolo
di Marco Revelli (redazione@vita.it)
Ho letto
e riletto più volte il disegno di legge n. 795 sulla Modifica
della normativa vigente in materia di immigrazione e di asilo, con
la
volontà esplicita di farmi del male.
Ho voluto lasciare che quel testo mi entrasse ben dentro, con un senso
crescente prima di disagio, poi di rabbia, infine di vergogna. Perchè
lì, in quegli atti ufficiali, in quelle pagine con nell'intestazione
il simbolo
della nostra Repubblica è contenuto, in linguaggio
neppur tanto
burocratico, ben chiaro nero su bianco, l'attestato della nostra
inadeguatezza civile: dell'incapacità del nostro sistema politico
e
sociale, ma anche del nostro universo culturale, di affrontare i temi
chiave del
tempo, le reali emergenze umanitarie, le sfide di un mondo unificato.
Il decreto
legge che porta le firme congiunte del presidente del
Consiglio, Berlusconi, del vice presidente del Consiglio, Fini, del ministro
del
Lavoro e delle politiche sociali, Maroni, del ministro degli Affari esteri,
Ruggiero (con buona pace di chi vorrebbe farne una bandiera di civiltà),
del ministro dell'Interno, Scajola, del ministro per le Riforme
istituzionali e la devoluzione, Bossi e del ministro per le Politiche
comunitarie,
Buttiglione, di concerto con tutti gli altri ministri, è un monumento
di
egoismo nazionale e sociale.
Il segno
di quanto quella guerra contro i poveri che si va combattendo
silenziosamente nel mondo, sia penetrata tra le pieghe della nostra
democrazia, inquinandola profondamente.
Tre esempi.
Intanto la filosofia di fondo che influenza l'intero impianto: la
necessità, proclamata expressis verbis, di far fronte a un pericolo
incombente di invasione da parte di popoli a crescita demografica
sproporzionata rispetto alla nostra. Non l'esistenza di una seria
questione sociale da affrontare con logica di sistema. Non l'emergere
di
disuguaglianze inaccettabili nel medesimo spazio sociale (il
Mediterraneo, la grande periferia d'Europa, le aree transcontinentali
congiunte dalla
globalizzazione). Ma la necessità di contrastare i
flussi in arrivo
come si contrasterebbe un nemico. Di filtrarli
lasciando passare solo ciò
che può esser utile; solo quanto ci serve.
Ed è
questo l'altro pilastro del provvedimento: la centralità del ruolo
lavorativo, del lavoro come tale, nella sua accezione più brutalmente
economica e privatistica, non come attributo della persona, ma come
bisogno dell'impresa. Come mera funzione produttiva. Al cuore della politica
migratoria delineata dal disegno di legge c'è l'istituto inedito
del
Contratto di soggiorno per lavoro, un istituto negoziale privato,
siglato tra datore di lavoro e immigrato in un ufficio pubblico e assunto
come
condizione sine qua non per ottenere il permesso di soggiorno (la
possibilità di esistere sul nostro territorio). Un
contratto di lavoro
(tra privati) come condizione per il riconoscimento (pubblico) dello
status di persona. La persona trasformata in appendice della funzione
produttiva.
La logica dei rapporti servili inserita nella modernità contrattuale.
Un
feudalesimo post moderno, nel quale al padrone, pardon, al
datore di
lavoro, spetterà anche, per legge, di fornire alloggio e, in caso
di
rescissione del contratto, di provvedere al rimpatrio del migrante onde
evitare che rimanga, appunto, come anima morta sul territorio.
Per chi non
avrà il privilegio di essere incorporato come mezzo
produttivo in un'impresa, o per chi perderà per qualche ragione
questo privilegio,
l'espulsione. Che il disegno di legge prevede immediata, con
accompagnamento forzato alla frontiera, abbattendo buona parte delle garanzie
giuridiche finora previste, compreso il diritto di attendere le motivazioni
del
provvedimento in caso di ricorso. Un abbattimento che diventa feroce nel
caso del diritto d'asilo, per i cui richiedenti è previsto, nel
caso di
domande che appaiano ex origine manifestamente infondate (chi
lo
giudica?
Chi lo decide?), l'internamento nei Centri di permanenza provvisoria (i
famigerati luoghi di detenzione arbitraria introdotti dalla legge 40
Turco-Napolitano).
Tecnocrazia,
si potrebbe dire. Ritorno a una visione patrimonialistica
della sfera pubblica, certo. Con in più, però, un tocco
di sadismo sociale,
una voglia di maramaldeggiare sui più deboli, che va oltre la normale
disumanizzazione contemporanea. Si consideri ad esempio il caso degli
aggravi di spesa che la stretta repressiva, gli accompagnamenti alle
frontiere, soprattutto il prolungamento a 60 giorni dei tempi massimi
di
detenzione nel Centri di permanenza provvisoria, e l'accresciuto numero
di persone che vi saranno segregate (si calcola nell'ordine di 36mila
all'anno) comporteranno: quasi 58 milioni di euro.
Bene, come
li reperiranno Berlusconi, Fini, Bossi (non più Ruggiero)?
Secondo la
dettagliatissima Relazione finanziaria, potranno far fronte
al maggiore esborso grazie «all'articolo 15 del presente disegno
di legge,
che ha soppresso la facoltà per i lavoratori extracomunitari di
richiedere
la liquidazione dei contributi versati in loro favore, nel caso in cui
cessino l'attività lavorativa in Italia e lascino il territorio
nazionale. Tali
somme sono versate dall'Inps all'entrata del bilancio dello Stato per
essere riassegnate allo stato di previsione del ministero dell'Interno».
Marco Revelli
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