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Temi Caldi" le dicussioni chiave degli ultimi 15 giorni.
In questa sezione vengono periodicamente messi in evidenza alcuni dei messaggi piu' interessanti estratti dalle nostre mailing list.

I Temi ... precedenti.

10 Luglio 2001

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archivio gargonza >>

Il problema attuale della globalizzazione - direi
il suo carattere principale e la sua pericolosità - è che di fronte ad essa l'impegno dei singoli è destinato ad infrangersi. Certo, vi sono le tute
bianche, le tute blu, le tute rosse: tutti bravi ragazzi che rischiano
manganellate e lividi e anche peggio per affermare la propria contrarietà ad
un governo del globo impersonato da una diecina di mostri inafferrabili e
tetragoni ad ogni controllo. Ma il buon cittadino comune, quello che passa
tutta la vita a pagare il mutuo e poi schiatta nella casa di proprietà con
quattro autovetture nel garage, osserva alla televisione gli scontri e
commenta dentro di sé "che gente...". Gli importa poco dell'elettrosmog,
perché usa il telefonino allegramente da anni e vorrebbe "avere campo" anche
in cima alla più sperduta collina del Chianti; gli frega poco del fatto che
bambini di dieci, sei anni confezionino le scarpette da ginnastica o le polo
che indossa, perché quando le compra vuole un prezzo sempre più basso, e le
vuole possibilmente di marca; gli frega poco della sofisticazione alimentare
perché per lui il vero problema è pagare sempre meno al supermercato; e
anche sapere che il clima tra cento anni sarà radicalmente modificato, con
sconvolgimenti tali da portare irrimediabilmente alla fine del mondo che
conosciamo, gli interessa poco: infatti anche gli enormi progressi medici
non gli fanno sperare in una lunghezza di vita che preveda la sua esistenza
tra cento anni. Quindi sono cazzi di chi resta. Consumare, consumare,
consumare, questo desidera il cittadino medio, cioè la maggioranza della
popolazione. E se il consumo porta ad inquinamento, modifica dei valori in
senso edonistico, scomparsa del senso di responsabilità per quelli che
devono ancora venire ad abitare su questa terra, beh, ci sarà sempre una
bella trasmissione televisiva pronta a giustificare, allarmare bonariamente,
tranquillizzare "che la scienza sta lavorando".
Il cardine del processo di globalizzazione è proprio l'utilizzo della
scienza, in senso lato, come motore di ogni controllo e risolutore di ogni
danno, anche permanente. Le foreste pluviali amazzoniche stanno scomparendo
al ritmo di una Toscana all'anno? La scienza troverà una soluzione. Le
calotte polari si stanno sciogliendo? La scienza troverà una soluzione. I
mari si innalzeranno di un metro (o più, la scienza non lo sa o non lo dice)
nei prossimi cento anni? La scienza troverà la soluzione. La scienza, la
scienza, la scienza. Ormai ciò che era la religione e la provvidenza, è
diventata la scienza. Così come Dio era stato creato a immagine e
somiglianza degli uomini, anche la scienza lo è stata inevitabilmente, e ad
essa deleghiamo, come a Dio un tempo, la risoluzione dei nostri problemi.

La politica, abituata a usare I mezzi della razionalità, ormai da anni, da
quando l'immaginazione propositiva ha perso piede, è muta di fronte a questa
offensiva concentrica del "mercato" (come valore assoluto) e dei mezzi di
informazione (come strumenti di rappresentazione del reale, nel senso che
solo ciò che appare su di essi è tale). Si gingilla con il mito del
controllo democratico, senza pensare che tale controllo ha sempre avuto
bisogno di sedi certe e di confini stabiliti all'interno dei quali una
sovranità avesse valore, delle leggi fossero efficaci, una polizia potesse
intervenire. Oggi, il controllo democratico sarebbe obbligare Bush a
modificare le sue scelte in materia di politica ambientale e industriale, e
obbligarlo da parte di tutti I popoli della terra (e con lui Giappone e
Unione Europea e le tante tigri economiche all'interno delle quali le
politiche ambientali hanno il valore di un ostacolo allo "sviluppo") ;
sarebbe obbligare il Brasile a cessare la sua politica di deforestazione per
recuperare le risorse del sottosuolo; sarebbe cambiare la politica di
consumo e di sviluppo dei pasi sviluppati, abbassandone il tenore di vita,
inevitabilmente, per portare anche I Paesi in via di sviluppo ad un livello
accettabile senza provocare un collasso delle risorse del pianeta.
Ecoterrorismo, questo? Ebbene, anche il più semplice modello matematico
dimostra che, date due parti, se una di essa consuma il 75% delle risorse di
un insieme e occupa il 25% di un insieme (la terra), il restante 75% non
potrà mai consumare la stessa quantità.

La follia della "globalizzazione" è che essa vive giorno per giorno, non ha
un "piano", quindi non può essere atttaccata con gli strumenti della
"politica": vive giorno per giorno, si alimenta delle modificazioni che essa
stessa produce, caoticamente, anarchicamente, con la parvenza della
razionalità del mercato che, come insegnava Smith, è governato da spiriti
animali, non da coscienti filosofi raziocinanti. Essa si occupa di cosa farà
tra tre mesi, di come alcuni dei suoi attori riusciranno ad espandersi nel
giro di un anno, quali mercati raggiungeranno, di quello che accadrà tra
venti anni non gliene frega nulla, perché nulla frega a quelli che la
governano, si chiamino Nike, United Brand, General Electric o che altro. Un
mercato borsistico vive cinque giorni la settimana, e nel giro di una
giornata sperimenta crisi e follie, entusiasmo e depressione; che cosa
volete gliene freghi di programmare lo sviluppo per i prossimi trenta,
quaranta anni?

Io conosco Prodi ormai da qualche anno, e l'ho sempre sentito parlare, in
pubblico e in privato, contro il pericolo di un "governo che non c'è", che
poi è quello della globalizzazione imperante. Presiede un organo, la
Commissione, nei confronti dei quali le aspettative sono enormi, ma I poteri
reali di tale organo sono molto limitati; l'Europa, come "civil power", è
sicuramente oggi uno degli spazi in cui maggiore è la coscienza dei danni
della globalizzazione, ma è anche il luogo in cui maggiore è la cattiva
coscienza di ciò che è stato fatto nel passato (e per passato intendo i
cinquanta, sessanta anni trascorsi); e sicuramente l'Europa è anche il luogo
in cui il processo di integrazione economica ha mostrato di come una
diminuzione del potere politico di uno stato nei confronti degli altri, a
causa di un processo integrativo, debba per forza dare luogo ad un altro
potere politico, superiore ai vecchi e, possibilmente, "democratico".

Due anime quindi stanno in Europa: l'anima del superamento del modello del
dominio economico incontrollato e incontrollabile, e l'anima del controllo
democratico, del primato della politica sulle dinamiche economiche, e si
tratta del luogo in cui più forte è tale confronto, perché più forte è la
considerazione per la politica come strumento di interpretazione e dominio
del reale (negli USA, tanto per fare un esempio, tale dicotomia è
assolutamente sbilanciata a favore dell'economia, anche perché la politica
non può dire la sua su sanità, ambiente, scuola e istruzione, e in un'altra
quantità di settori riservati al "mercato" e alle sue dinamiche).
> >>>
Tutto sta a vedere se il rappresentante della sovranazionalità, cioè Prodi,
avrà modo con I suoi colleghi della Commissione di fare due cose: erodere e
strutturare istituzionalmente e definitivamente quei poteri che già oggi la
Commissione ha in pectore, diventando così il reale "governo" dell'Unione
(affiancata ovviamente da un Parlamento che sia tale anche di fatto e non
solo di nome); imporre così una politica economica ed estera che indichi un
sistema di governo e di controllo della globalizzazione trasformandola, in
questo modo, in quello che dovrebbe essere: un processo di futuro
sostenibile e non di progresso a qualsiasi prezzo.

PSG
--
Piero S. Graglia


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