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3 Novembre 2001

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archivio gargonza >>

Re: [Gargonza] "I too am a Yankee!"
Non capisco che cosa abbiano questi tempi che renda inopportuno o magari colpevole il sarcasmo, o l'ironia o altri stili di espressione.

Io uso il sarcasmo perché ci sono argomenti ai quali il
sarcasmo si attaglia secondo me perfettamente.
E anzi colgo l'occasione per accennare ad un clima che si è generato dopo
la tragedia di NY e che si ritrova qui in lista come anche in molti
reportages e servizi televisivi - un atteggiamento compunto, una diligente
seriosità, che poi contrasta con il fatto che la festa dintorno continua
come sempre, si compra e si vende, si lavora e si va in gita più o meno come
sempre.
Allora cos'è, solo il"sarcasmo" risulta fuori luogo? E in particolare il
sarcasmo, l'ironia che vengano percepiti come "pacifisti"?
Io direi che sarebbe bene lasciare che ciascuno usi gli stili che
preferisce, e non alimentare più di tanto l'onda lunga del conformismo che
da diversi anni va trovando la propria revanche - un'onda lunga alla quale i
fatti di NY offrono una sponda imprevista, ma altamente rivelatrice.

Veniamo alla faccenda delle "soluzioni"
Io credo che ciascuno di noi abbia - in generale nella vita,
non solo qui in lista - il diritto e il dovere di essere se stesso, il che
significa seguire la propria vocazione, dire ciò che realmente pensa, essere
ciò che è, senza immaginare di essere - per esempio - un capo di stato
maggiore, un presidente, un talebano, un americano, un palestinese, un
banchiere o un pilota di B52.

Io non ho soluzioni: ho sensazioni, idee, ipotesi, le più svariate, ma non
ho "soluzioni".
Per avere soluzioni - sul piano pratico, specifico, per proporre progetti,
disegnare alternative - bisogna avere informazioni, dati, conoscere i mezzi
a propria disposizione, e in definitiva essere pienamente "dentro" i
meccanismi e le istituzioni che hanno la facoltà di cercare e trovare
"soluzioni".
Come ho detto altre volte, insomma, mi sentirei un po' ridicolo a giocare a
monopoli con le bandierine del mondo, e a fare la parte del piccolo
presidente americano o del piccolo arafat.

Io credo che, sia nella politica ordinaria, sia nei momenti di emergenza,
sia opportuno fare ciò che si è capaci di fare meglio e più compiutamente:
se non abbiamo il potere e le facoltà per trovare "soluzioni", possiamo però
ragionare, e un popolo che ragiona, discute, mostra di avere attegiamento
critico, partecipativo, è esattamente quanto ci si aspetta da una deocrazia,
ed è esattamente quello che distingue una società democratica da una società
di sudditi-soldati.

Io francamente sento sempre una certa stranezza, quando aleggia lo spettro
delle "critiche costruttive", e mi ricordo di aver letto con soddisfazione
un articolo di Scalfari, due o tre anni fa, in cui si ribellava alla
cantilena appunto con cui si usa invocare la "critica costruttiva" - e
peggio ancora, dico io, quando si parla addirittura di "soluzioni" .

E poi, comunque, soluzione di che? Della guerra? Della povertà? Del
terrorismo in generale? Dell'integralismo islamico? Del ruolo dell'Italia,
dell'Europa? Sul come acchiappare Bin Laden?
Quando parlo del "ragionare", di fare ciò che possiamo utilizzando le
facoltà che abbiamo e non quelle di ruoli virtuali e illusori, parlo di

ragionare per cercare di capire innanzi tutto quale sia il cuore del
problema (e forse prima ancora il problema in sé, o il lato della situazione
che ognuno giudica essenziale), e quale sia il parametro, per così dire il
"modello" sul quale ciascuno giudica l'esito al quale comunque si arriverà:
che
senso ha parlare infatti di soluzioni, se non si chiariscono almeno questi
punti?
Noi , come cittadini, come intellettuali, o come quello che siamo, proprio
questo (soprattutto questo, se non esclusivamnte) possiamo e dobbiamo fare:
ragionare, capire, non solo per dovere intellettuale, per esigenza morale,
ma perché questo è l'unico modo per giudicare, accettare o rifiutare con la
miglior possibile cognizione di causa le "soluzioni" che saranno trovate, o
che sono in corso di effettuazione.

Naturalmente, se noi - intendo io, o Francesco Forti, o Flavio, Rolando,
Alexis,
etc - fossimo per ipotesi nel ruolo di ministri, o di colonnelli, potremmo
discutere per ore o per settimane, ma dovremo comunque prendere una
decisione, fare cose, trovare (o ipotizzare di aver trovato) una soluzione:
saremmo lì per quello, ne avremmo il potere e la responsabilità.
Che cosa faremmo, che cosa farei io personalmente?
Non lo so.
Come dicevo, sul piano puramente tecnico avrei la facoltà di esaminare una
gamma di dati, di informazioni, di opzioni che attualmente, ovviante,
ignoro.
Sul piano più generale, per trovarmi in uno di quei ruoli avrei dovuto
essere inserito in un meccanismo politico, in una carriera, che implica
rappresentanza, intrecci, antefatti e prospettive, punti di vista e rapporti
, tali che di fatto mi realizzerebbro come persona diversa da ciò che ora
sono.

Ma alla fin voglio seguire come posso il tuo invito, e dare la mia
"soluzione", evidentemente molto generica ed evidentemente lasciando da
parte
antefatti e altre considerazioni globali.
E' necessario perseguire i terroristi e il terrorismo in modo estremamente
mirato - sul piano operativo.
Sul piano politico, bisogna evitare di non solo i fatti, ma anche
l'apparenza di un'aggressione indiscriminata, che faccia anche una sola
vittima innocente.
Accentuerei, invece che limitare, la trasparenza e l'informazione sulle
azioni intraprese.
In particolare, non mi sognerei neppure di ricorrere a bombardamenti, a
spiegamento di forze plateale: invece che un'esibizione di forza, mostrerei
serietà, fermezza, e - per così dire - "potere", autorità, organizzazione,
e la maggior quantità possibile i serenità.

Non so se questo che ho detto somigli a una "soluzione", e non so neppure
eventualmente soluzione di che cosa - e non so neppure, se è una soluzione
di qualcosa, se questo qualcosa corrisponda al qualcosa che tu, o Alexis, o
Flavio o Francesco si aspettano.
Ma in realtà io credo che sia implicito tutto ciò che ho detto, nel momento
in cui critico i bombardamenti cui si è deciso di ricorrere: eh sì, perché
la faccenda è che non si sta parlando in un club, dove ciascuno propone la
propria "soluzione", ma si sta parlando mentre ci sono decisioni che sono
state già prese, e dunque si sta parlando di "fatti".
Non è la nostra "soluzione" che dev'essere messa ai voti, ma semmai

dev'essere giudicata la soluzione che altri (o meglio, noi stessi per potere
delegato) stanno realizzando.

Pace e bene.

= Piero DM



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