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6
Agosto 2001
[Gargonza]
LE CONSEGUENZE DELLA FLESSIBILITA'
Anche se il termine flessibilita si riferisce a molti aspetti del
rapporto di lavoro, in quanto segue per comodita usero' l'espressione
"piu' flessibilita'" come sinonimo di "piu facilita'
per l'impresa di licenziare anche senza giusta causa o giustificato motivo
i dipendenti
con contratti a tempo indeterminato"...
di questo
si tratta in buona sostanza nelle discussioni recenti...
a me le opzioni
di fondo sulla flessibilita' sembrano sostanzialmente
tre (con varianti e posizioni intermedie):
1 piu' flessibilita'
e basta ...
2 piu' flessibilita'
e piu' ammortizzatori sociali a carico della
fiscalita' generale ...
3 ridefinizione
dell'intervento pubblico sul mercato del lavoro, piu
ammortizzatori sociali ed estensione delle garanzie di stabilita
occupazionale alle altre tipologie di contratto ed alle imprese con meno
di 15 dipendenti...
l'opzione
1 e 2 tengono banco sui giornali e nel dibattito
una prima
riflessione sulle prime 2 opzioni (per la parte comune che
riguarda la flessibilita') e' che cadono in un contesto di forti
incentivi al lavoro a tempo determinato ed all'assunzione di
disoccupati...
in questo
contesto, rischiano di provocare un elevato tasso di
sostituzione fra lavoratori stabili e precari, con le potenziali
conseguenze negative sulla formazione di capitale umano e sulla
produttivita' del lavoro di cui si abbiamo parlato io e Melosi in
messaggi precedenti (trascuro per semplicita' altre conseguenze negative
sulla distribuzione dei redditi, sulla coesione sociale e sulla qualita'
della vita dei lavoratori)..
se poi si
considerano _in questo contesto di incentivi_ gli
ammortizzatori sociali dell'opzione 2, si deve ragionevolmente temere
o
una esplosione della spesa sociale per indennita' di disoccupazione
(immagino che i lavoratori licenziati sarebbero prevalentemente anziani
e poco qualificati - esposti ad una maggiore durata della
disoccupazione) oppure (se si risparmia sull'importo e sulla durata
delle indennita' di disoccupazione) conseguenze negative in termini di
poverta'...
la cosa piu'
probabile e' che, per evitare il collasso della finanza
pubblica e mantenere possibile la riduzione delle tasse, si eviti come
la peste la generosita' estrema dei benefici per i disoccupati (quella
che eviterebbe aumenti della poverta') e si adotti una micragnosa
elemosina...
il che significa
un aumento della poverta' e della diseguaglianza nella
distribuzione dei redditi...
un bell'obiettivo
per dei riformisti...
mi sembra
anche molto discutibile l'idea di porre a carico della
fiscalita' generale l'intero costo degli ammortizzatori sociali da
introdurre...
quello che
propone l'opzione 2 e' infatti di accollare alla
collettivita' il costo della sostituzione dei lavoratori "garantiti"
con
i lavoratori "precari"...
si fa un
grosso favore alle imprese e si pongono i costi a carico del
contribuente (senza essere affatto sicuri che li voglia pagare)...
esattamente
come si e' fatto negli anni '80, quando si sono messi a
carico del bilancio pubblico (debito pensionistico incluso) i costi
della ristrutturazione industriale (alludo all'uso massiccio di pensioni
di anzianita' e CIG come ammortizzatori sociali)...
ma anche in un contesto piu' generale (diverso da quello italiano) gli
effetti della flessibilita non sono necessariamente positivi, anzi
si puo
mostrare con solidi argomenti di teoria economica che una
eccessiva liberta di licenziamento per le imprese puo peggiorare
i
risultati complessivi del sistema economico
siccome e
una tesi sorprendente e direttamente opposta a quella
avanzata dalla Confindustria, vale la pena dare un riferimento
bibliografico
cliccando
sul link che segue si puo scaricare in formato pdf un paper
recente (den Haan et al. Job destruction and propagation of shocks,
NBER working papers n.6275) sugli effetti macroeconomici dei
licenziamenti (1,8 megabyte)
http://papers.nber.org/papers/W6275.pdf
nel paper
si dimostra che la distruzione di posti di lavoro (quando le
imprese sono per ipotesi libere di licenziare se gli conviene farlo)
amplifica lintensita e la durata delle recessioni
in altri
termini, la liberta di licenziamento aggrava le recessioni e,
di conseguenza, riduce il tasso di crescita di lungo periodo
quindi, come
conclusione, a pag. 33 del paper si puo leggere che le
politiche che rafforzano i rapporti di lavoro (cioe quelle che limitano
le possibilita di licenziare) hanno effetti positivi in termini
di
welfare e di prodotto
anche alla
luce di questi recenti risultati della teoria economica
confermo che dovremmo opporci alla richiesta di piu flessibilita
(semmai, ce ne vuole di meno per i contratti temporanei)
ha fatto
quindi bene Rutelli ad opporsi seccamente, senza aperture o
concessioni, allipotesi di Fazio
(che abbia
anche lui cominciato a dubitare del riformismo debole?)
a mio avviso
il centrosinistra dovrebbe proporre (come futuro programma
di governo):
- una riorganizzazione
degli incentivi pubblici all'occupazione (meno al
lavoro temporaneo e piu' al lavoro a tempo indeterminato)
- l'introduzione di ammortizzatori sociali finanziati in buona misura
dalle imprese che licenziano e/o non rinnovano i contratti a tempo
determinato
- l'aumento delle garanzie di rinnovo dei contratti per i lavoratori
temporanei
- l'introduzione di un consistente credito d'imposta per i redditi da
lavoro piu' bassi (tipo l'earned income tax credit statunitense) che
avrebbe il pregio di ridurre il costo del lavoro per le imprese e/o
aumentare i redditi disponibili dei lavoratori meno qualificati, di
incentivare la ricerca di un lavoro, attenuando cosi' i problemi di
"trappola della disoccupazione" inevitabilmente associati agli
ammortizzatori sociali (e questo significa minori spese sociali totali)
e, infine, di far emergere una parte del sommerso...
Marco Di
Marco
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