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15
Marzo 2002
Oggetto:
appello e iniziativa a Bologna "DIRITTI DEL LAVORO E DIRITTI DI LIBERTA'"
"DIRITTI
DEL LAVORO E DIRITTI DI LIBERTA'":
giuristi, intellettuali e giovani del TPO
promuovono un appello e una iniziativa a Bologna
Un gruppo
di docenti di materie giuridiche, avvocati,
magistrati, assieme a due giovani del TPO (Teatro
polivalente occupato), promuovono a Bologna un
appello e una iniziativa sul tema "diritti del lavoro
e diritti di libertà", in vista della manifestazione
di Roma del 23 marzo e dello sciopero generale.
Nell'appello - al quale si sollecitano altre adesioni
- la difesa dei diritti del lavoro viene fortemente
collegata alle mobilitazioni in atto nel paese sui
temi della difesa della legalità costituzionale:
giustizia, scuola, informazione.
Nel documento si sottolinea il fatto che la lotta per
la difesa dei cardini dello Stato di diritto deve
coinvolgere a pieno titolo anche i temi sociali. La
difesa dei diritti del lavoro non va vista come un
problema di categoria o una pura e semplice questione
sindacale ma come una grande e moderna battaglia di
libertà.
In particolare nel documento si sottolinea che "nella
condizione concreta di lavoro si misura la libertà
effettiva delle persone e dei cittadini. Perciò la
difesa dei diritti del lavoro costituisce, oggi, una
grande battaglia di libertà. La monetizzazione del
potere di licenziamento è una misura odiosa.
L'impatto di tale misura, nelle condizioni date,
sarebbe devastante anzitutto sul piano culturale e
della formazione delle coscienze: non esistono più
veri diritti di libertà e dignità, tutto si riduce a
scambio di merci e di denaro."
L'attacco allo Statuto dei lavoratori, e ad una delle
sue norme cardine, l'art. 18, va visto quindi nella
sua portata politica e simbolica complessiva. Se quel
tentativo riuscisse si determinerebbe un
effetto-slavina che colpirebbe al cuore il nucleo dei
diritti civili e sociali.
Perciò i promotori dell'appello invitano a una
riflessione e mobilitazione specifica sul nesso tra
"diritti del lavoro e diritti di libertà" e promuovono
una pubblica assemblea a Bologna da tenersi prima
della manifestazione della CGIL del 23 marzo.
Hanno promosso
l'iniziativa:
Luigi Mariucci,
Gian Guido Balandi, Rita Tinti,
Giorgio Ghezzi, Stefania Scarponi (docenti di diritto
del lavoro); Susanna Mancini (docente di diritto
costituzionale); Renzo Costi (docente di diritto
commerciale); Maria Vita De Giorgi (docente di diritto
privato); Federico Stame (notaio); Libero Mancuso,
Claudio Nunziata (magistrati); Francesco Berti
Arnoaldi Veli, Alessandro Gamberini, Alberto Piccinini
(avvocati); Federico Enriques (editore); Stefano Benni
(scrittore); Eugenio Riccomini (docente di storia
dell'arte); Federico Martelloni e Gianmarco De Pieri
(disobbedienti); Gian Mario Anselmi, direttore
Istituto Gramsci Emilia Romagna.
(di seguito il testo dell'appello)
Bologna,
6 marzo '02
DIRITTI
DEL LAVORO E DIRITTI DI LIBERTA'
Da Bologna un appello per una iniziativa
Un problema
grande e persino drammatico si pone oggi
in Italia: il governo in carica mette in discussione
lo stesso assetto dei diritti costituzionali. Per
molti aspetti la maggioranza politica al governo si
muove come se essa fosse legibus soluta, vale a dire
indifferente al vincolo dei principi di fondo su cui
si regge il patto costituzionale.
Ciò riguarda i temi della giustizia, della scuola,
dell'informazione.
Ma riguarda anche le politiche del lavoro.
Il disegno di legge delega sul mercato del lavoro e il
"libro bianco" che l'ha preceduto delineano una
strategia di destrutturazione delle relazioni
sindacali e del diritto del lavoro che non ha
precedenti nella storia dell'Italia repubblicana.
In quei testi è scritto che la concertazione è finita,
e ad essa si sostituisce la ricerca dell'accordo "con
chi ci sta", che l'armonizzazione con l'Unione europea
va realizzata al ribasso, che la disciplina unitaria
del rapporto di lavoro va dissolta in una molteplicità
di figure precarie e prive di tutela (dal lavoro a
termine al lavoro "a chiamata"alla liberalizzazione
degli appalti di manodopera). Quei testi costituiscono
il manifesto di una politica iperliberista che non ha
uguali in Europa e che persegue la riduzione
conclusiva del lavoro a merce, a puro indice di costo
aziendale, in totale travisamento dei principi su cui
si fondano il modello sociale europeo e la
costituzione dell'Italia repubblicana.
In questo quadro si spiega la pervicacia con cui il
governo insiste nel proporre la sostanziale
abrogazione dell'art.18 dello Statuto dei lavoratori,
reintroducendo la monetizzazione del licenziamento
ingiustificato. Se tutto si riduce a merce e a un
problema di costi si può fare così: dare quattro o
otto soldi al lavoratore indesiderato, e via.
Non siamo quindi di fronte a una semplice, per quanto
rilevante, questione sindacale, ma a qualcosa che
attiene a problemi più profondi, al nucleo stesso dei
diritti di libertà e di cittadinanza su cui si fonda
l'esistenza di una società libera e democratica, come
i costituenti la disegnarono nel 1948.
La libertà non è una condizione astratta. Si è liberi,
in concreto, quando si è messi in condizione di
esercitare in pieno i propri diritti di cittadinanza.
Come può quindi essere "libero" quel giovane che si
trova soggetto a tempo indefinito a lavori precari, e
che vive nella costante incertezza del proprio futuro,
o quel lavoratore a cui si dice: "d'ora in poi con un
risarcimento potrai essere licenziato anche senza la
prova di alcuna giusta causa".
Nei diritti del lavoro è dunque iscritta la radice più
profonda dei diritti di libertà.
Nella condizione concreta di lavoro si misura la
libertà effettiva delle persone e dei cittadini.
Perciò la difesa dei diritti del lavoro costituisce,
oggi, una grande battaglia di libertà.
La monetizzazione del potere di licenziamento è una
misura odiosa. L'impatto di tale misura, nelle
condizioni date, sarebbe devastante anzitutto sul
piano culturale e della formazione delle coscienze:
non esistono più veri diritti di libertà e dignità,
tutto si riduce a scambio di merci e di denaro. Solo a
partire da una efficace difesa dei diritti del lavoro
si possono rendere più efficaci gli strumenti di
mobilità nel mercato e i meccanismi di avviamento al
lavoro, introdurre sostegni e garanzie a favore dei
lavoratori atipici e dei giovani per cui i nuovi
lavori spesso significano solo precarietà, spingere le
imprese a investire nella formazione, nella ricerca e
nella innovazione tecnologica. Soltanto dalla difesa
delle conquiste maturate in un secolo di lotte sociali
è possibile partire per realizzare nuove garanzie e
nuovi diritti adeguati alle trasformazioni che hanno
investito il paradigma fordista. Riducendo i diritti
del lavoro si riduce invece la libertà per tutti, e si
scopre il fianco alla affermazione di un sistema di
rapporti sociali ancora più ingiusto e selvaggio.
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