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2 Settembre 2001

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Cari amici,
ho trovato questo intervento sui forum di www.ulivo.it e lo riproduco qui in lista con il consenso del suo autore (lorenzo) il quale nel frattempo si e' iscritto alla lista e puo' quindi
partecipare al dibatitto. Sui forum di ulivo.it, come in
gargonza, sono iscritti diessini e non per cui mi pare una
buona occasione di dibatitto "esteso".
Saluti a tutti, Francesco Forti

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Abbiamo l'umana abitudine di considerare i problemi politici solo quando sono messi in evidenza dai risultati elettorali.
Tuttavia i risultati elettorali non nascono sotto le foglie di cavolo, ma "vengono da lontano" (come una volta dicevano i comunisti di se stessi).

Considero i vari residui del PCI come "in via di estinzione" da più di dieci anni, anche quando i risultati elettorali sembravano dire diversamente.

Dico queste cose da uomo di sinistra (non semplicemente di centro sinistra), che si riconosce nell'area del socialismo europeo.

Le dico senza acrimonia, e senza sensi di catastrofe: considero anzi l'estinzione di una certa eredità culturale una specie di passaggio obbligato per la ricostruzione di una cultura di sinistra in Italia.

Sollevo questo problema in questo forum dell'Ulivo (e parallelamente in quello dei DS) perché ovviamente si tratta di un argomento di non poco conto all'interno della sinistra e del centro-sinistra italiani.

Il forum Ulivo è frequentato anche da iscritti ai DS, e credo che un loro contributo sia essenziale per capire il punto in cui è oggi arrivata la sinistra italiana.

Soprattutto dei DS che frequentano il forum Ulivo, perché per questo stesso motivo mostrano di non essere prigionieri della sindrome dell'"angelo sterminatore", che li tiene chiusi dentro le loro sezioni e il loro mondo.


I DS, e anche Rifondazione, sono in via di estinzione perché è estinta (da molto più che dieci anni) la cultura politica che nel PCI si è costruita e sedimentata in 50 anni di dopoguerra, e questo indipendentemente dalle posizioni politiche, passate presenti e future, che da questa comune cultura sono germinate, talvolta anche in modo contrapposto.

C'è una infinità di "luoghi comuni" della politica (che costituiscono la cultura di cui parlo) che sono transitati senza disamina critica sia in Rifondazione, che nel PDS fino ai DS, e che non funzionavano più già da un pezzo.

Talvolta questi luoghi comuni sono transitati mediante un semplice rovesciamento: i "Chicago boys" di D'Alema sono passati dal vituperio del mercato e del capitalismo (notare la "e" congiuntiva: sono due cose diverse), alla sua beatificazione.

La componente illuminista, sempre presente del vecchio PCI, si è tranquillamente evoluta in una forma di vetero liberalismo, talvolta pre-Toquevilliano, in cui la vecchia doppiezza Togliattiana rivive come diffidenza liberale per il "popolo ingannabile dai demagoghi".

Il "ciclo di destra" viene vissuto come inevitabile perché impersonato da una nuova forma di demagogia che fa leva sui bassi istinti delle plebi (compito facile, si sa, perché le plebi sono prone all'inganno).


In Rifondazione continua a vivere la componente stalinista del determinismo economicista, che vede il Kapitale il come motore immobile di tutte le nefandezze, incoercibili e irriducibili, in quanto frutto di "cause prime" (secondo la lettura marxista dell'Accademia delle Scienze dell'Urss).

Guardiamo ora allo "scontro" che si profila dentro i DS. Anzitutto si profila lacerante, tanto lacerante da essere stato per anni rimandato con ogni mezzo.

Anche qui c'è un primo luogo comune duro a morire: il PCI non è mai stato un partito anti democratico, ma nemmeno mai un partito democratico. Ma appena lo si provi a dire, si levano alti lai, e si attivano reazioni sdegnate, segno di una profonda rimozione. Ci si dimentica di quanto a lungo sia rimasto in vigore il Centralismo Democratico, che sta alla democrazia come ci stava la DDR di Honecker (Repubblica DEMOCRATICA Tedesca!).

Risultati di questa rimozione? Un partito incapace di vivere con serenità il dissenso, e che quindi non solo non riesce a ricercarlo (come dovrebbe), ma nemmeno a viverlo, schiacciato come sempre dalle Grandi Storiche Paure: la divisione, l'indebolimento, l'esplosione drammatica, il nemico che ti fagocita approfittando della tua debolezza. Col risultato d'inverarle.

Altro risultato: la fretta con la quale si è proceduto alla omologazione democratica di AN (On. Violante!!!).
Talmente si è sbraitato, sdegnati, contro quelli che chiedevano da anni (fossero essi anche i Craxi) garanzie di una effettiva conversione democratica del PCI (cosa diversa dall'abbandono di principi antidemocratici), e talmente probabilmente sfuggiva la natura reale del problema, che si è voluto di corsa sdoganare personaggi che appena ieri volevano costituire commissioni ministeriali per il vaglio dei libri di testo (tanto per fare uno dei numerosi esempi).

E' evidente che è nell'interesse di tutti avere una destra democratica, ma è altrettanto evidente che quel processo NON POTEVA essere concluso con una semplice dichiarazione di buona volontà, senza alcun processo di maturazione, *senza ricambio di uomini e dirigenti*.
E altrettanto evidente è che, in chiave storica, non si è fatto nessun favore alla destra italiana a procedere con quella fretta.

Ma il problema è proprio qui: si aveva paura che qualcuno pensasse e dicesse: "de te fabula narratur"!

Veniamo ora alla contrapposizione D'Alema-Cofferati (per ridurla giornalisticamente in questi termini). Le citazioni sono tratte dal resoconto sul sito dei DS (http://www.dsonline.it/primopiano/dettaglio.asp?id_doc=4038)

Verrebbe da dare ragione a Cofferati quando affermerebbe: "D’Alema ha indicato ai Ds la prospettiva di diventare uno dei partiti guida della sinistra europea (del socialismo europeo) che si assumono il compito di guidare la modernizzazione dell’Europa, di renderla più competitiva, più avanzata, più mobile socialmente.

Cofferati gli ha risposto che la modernizzazione di per sè non è un valore e che la sinistra, se vuol vivere, deve avere la forza di contrapporre ai valori della competitività e del mercato - che sono dei conservatori - il valore della lavoro e la sua centralità."


Verrebbe da dargli ragione, perché è vero che parlare di "competitività dell'Europa" non è semplicemente di sinistra, ma appunto un discorso da liberale (componente illuminista), se non fosse che anche il discorso di Cofferati è in sospetto invece di trinariciutismo (componente operaista-comunista). La modernizzazione è invece un valore, ed esattamente di sinistra.

Dare servizi moderni, adeguati ai cambiameti storici, rendere lo Stato e la Pubblica Amministrazione trasparenti e controllabili (due aspetti indissolubilmente legati) fa esattamente parte della lunga battaglia che per due secoli la sinistra ha intrapreso in difesa e per lo sviluppo della democrazia.

E' propria della sinistra la visione della storia come fonte di cambiamento, e quindi della politica come azione in grado di gestire il cambiamento promuovendo i necessari adeguamenti nella società ("progressismo").


E se è vero che lo Stato Sociale è stato inventato storicamente dalla Destra (dal Liberale "puro" Bismarck, nel quadro di una visione illuminista, con buona pace di D'Alema), è pur vero che è stato un costante valore della sinistra storica la sua difesa e la sua estensione, come mezzo di riequilibrio sociale e come strumento di accesso alla politica per le classi più subalterne.

E soprattutto, la sua interpretazione in chiave di responsabilità delle classi subalterne, anziché nella chiave illuminista di concessione - appunto - "illuminata".

La modernizzazione non è invece mai stato un valore per la sinistra comunista, per la quale l'unica vera modernizzazione consisteva nell'abolizione del capitalismo, ma questo non vale certo per per la sinistra tout court.
E anche il richiamo alla centralità del lavoro è giusto, basta che si dica cosa si intenda per lavoro.

Non solo il lavoro dipendente, spero, perché allora saremmo al trogloditismo politico. E basta che dietro questo non ci sia la visione pauperista e anche qui trinariciuta del culto "dell'essenziale", del rifiuto della "civiltà dei consumi", del "prima la pancia piena, poi il resto".

Ma altri tic emergono irrefrenabilmente. E non risoparmiano neppure Piero Sansonetti, l'estensore del pur dignitoso, comprensibile e non sfuggente resoconto della Direzione di cui qui stiamo riferendo: "...Cofferati inizia a parlare e subito alza la polemica.

Rinfaccia a D’Alema la "bicamerale" e dice che per motivi di opportunità politica fu messo in second’ordine il rigore (accusa di opportunismo) gli rinfaccia di essere andato a Palazzo Chigi senza un voto popolare (forse è l’accusa più dura, sul piano personale)...".

Il buon Sansonetti non si perita di usare, inconsapevolmente, un frasario da Terza Internazionale ("accusa di opportunismo"). Si rende conto di come può suonare, ad orecchie come le mie, un tale inciso?

Vedremo quando saranno pubblicati gli interventi, ma dubito che saranno chiari sui veri punti, qualificanti politicamente. Perché anche qui c'è un altro dei terribili luoghi comuni della cultura del vecchio PCI, questo qui oggetto di culto unanime, da Rifondazione fino ai DS, passando per il Manifesto: quello di parlare molto, in lingua marziana, per assai poco dire, ma sopratutto niente di impegnativo.


Un esempio? Eccolo (http://www.dsonline.it/ascolto/federazioni.asp): "La categoria di blocco sociale è probabilmente inadeguata nella società della conoscenza e della rivoluzione digitale a tematizzare la difficoltà di rappresentanza e di mediazione di diversi interessi.

Rimane tuttavia, il problema di una rappresentanza politica dei lavori e dei saperi debole e non riconoscibile".
E', questa, la lingua di un animale in estinzione.

(lorenzo seno)


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