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2 Settembre 2001
Cari amici,
------------------------------------------------------------------------------ Considero i vari residui del PCI come "in via di estinzione" da più di dieci anni, anche quando i risultati elettorali sembravano dire diversamente. Dico queste cose da uomo di sinistra (non semplicemente di centro sinistra), che si riconosce nell'area del socialismo europeo. Le dico senza acrimonia, e senza sensi di catastrofe: considero anzi l'estinzione di una certa eredità culturale una specie di passaggio obbligato per la ricostruzione di una cultura di sinistra in Italia. Sollevo questo problema in questo forum dell'Ulivo (e parallelamente in quello dei DS) perché ovviamente si tratta di un argomento di non poco conto all'interno della sinistra e del centro-sinistra italiani. Il forum Ulivo è frequentato anche da iscritti ai DS, e credo che un loro contributo sia essenziale per capire il punto in cui è oggi arrivata la sinistra italiana. Soprattutto dei DS che frequentano il forum Ulivo, perché per questo stesso motivo mostrano di non essere prigionieri della sindrome dell'"angelo sterminatore", che li tiene chiusi dentro le loro sezioni e il loro mondo.
C'è una infinità di "luoghi comuni" della politica (che costituiscono la cultura di cui parlo) che sono transitati senza disamina critica sia in Rifondazione, che nel PDS fino ai DS, e che non funzionavano più già da un pezzo. Talvolta questi luoghi comuni sono transitati mediante un semplice rovesciamento: i "Chicago boys" di D'Alema sono passati dal vituperio del mercato e del capitalismo (notare la "e" congiuntiva: sono due cose diverse), alla sua beatificazione. La componente illuminista, sempre presente del vecchio PCI, si è tranquillamente evoluta in una forma di vetero liberalismo, talvolta pre-Toquevilliano, in cui la vecchia doppiezza Togliattiana rivive come diffidenza liberale per il "popolo ingannabile dai demagoghi". Il "ciclo di destra" viene vissuto come inevitabile perché impersonato da una nuova forma di demagogia che fa leva sui bassi istinti delle plebi (compito facile, si sa, perché le plebi sono prone all'inganno).
Guardiamo ora allo "scontro" che si profila dentro i DS. Anzitutto si profila lacerante, tanto lacerante da essere stato per anni rimandato con ogni mezzo. Anche qui c'è un primo luogo comune duro a morire: il PCI non è mai stato un partito anti democratico, ma nemmeno mai un partito democratico. Ma appena lo si provi a dire, si levano alti lai, e si attivano reazioni sdegnate, segno di una profonda rimozione. Ci si dimentica di quanto a lungo sia rimasto in vigore il Centralismo Democratico, che sta alla democrazia come ci stava la DDR di Honecker (Repubblica DEMOCRATICA Tedesca!). Risultati di questa rimozione? Un partito incapace di vivere con serenità il dissenso, e che quindi non solo non riesce a ricercarlo (come dovrebbe), ma nemmeno a viverlo, schiacciato come sempre dalle Grandi Storiche Paure: la divisione, l'indebolimento, l'esplosione drammatica, il nemico che ti fagocita approfittando della tua debolezza. Col risultato d'inverarle. Altro risultato:
la fretta con la quale si è proceduto alla omologazione democratica
di AN (On. Violante!!!). E' evidente
che è nell'interesse di tutti avere una destra democratica, ma
è altrettanto evidente che quel processo NON POTEVA essere concluso
con una semplice dichiarazione di buona volontà, senza alcun processo
di maturazione, *senza ricambio di uomini e dirigenti*. Ma il problema è proprio qui: si aveva paura che qualcuno pensasse e dicesse: "de te fabula narratur"! Veniamo ora alla contrapposizione D'Alema-Cofferati (per ridurla giornalisticamente in questi termini). Le citazioni sono tratte dal resoconto sul sito dei DS (http://www.dsonline.it/primopiano/dettaglio.asp?id_doc=4038) Verrebbe da dare ragione a Cofferati quando affermerebbe: "DAlema ha indicato ai Ds la prospettiva di diventare uno dei partiti guida della sinistra europea (del socialismo europeo) che si assumono il compito di guidare la modernizzazione dellEuropa, di renderla più competitiva, più avanzata, più mobile socialmente. Cofferati gli ha risposto che la modernizzazione di per sè non è un valore e che la sinistra, se vuol vivere, deve avere la forza di contrapporre ai valori della competitività e del mercato - che sono dei conservatori - il valore della lavoro e la sua centralità."
Dare servizi moderni, adeguati ai cambiameti storici, rendere lo Stato e la Pubblica Amministrazione trasparenti e controllabili (due aspetti indissolubilmente legati) fa esattamente parte della lunga battaglia che per due secoli la sinistra ha intrapreso in difesa e per lo sviluppo della democrazia. E' propria della sinistra la visione della storia come fonte di cambiamento, e quindi della politica come azione in grado di gestire il cambiamento promuovendo i necessari adeguamenti nella società ("progressismo").
E soprattutto, la sua interpretazione in chiave di responsabilità delle classi subalterne, anziché nella chiave illuminista di concessione - appunto - "illuminata". La modernizzazione
non è invece mai stato un valore per la sinistra comunista, per
la quale l'unica vera modernizzazione consisteva nell'abolizione del capitalismo,
ma questo non vale certo per per la sinistra tout court. Non solo il lavoro dipendente, spero, perché allora saremmo al trogloditismo politico. E basta che dietro questo non ci sia la visione pauperista e anche qui trinariciuta del culto "dell'essenziale", del rifiuto della "civiltà dei consumi", del "prima la pancia piena, poi il resto". Ma altri tic emergono irrefrenabilmente. E non risoparmiano neppure Piero Sansonetti, l'estensore del pur dignitoso, comprensibile e non sfuggente resoconto della Direzione di cui qui stiamo riferendo: "...Cofferati inizia a parlare e subito alza la polemica. Rinfaccia a DAlema la "bicamerale" e dice che per motivi di opportunità politica fu messo in secondordine il rigore (accusa di opportunismo) gli rinfaccia di essere andato a Palazzo Chigi senza un voto popolare (forse è laccusa più dura, sul piano personale)...". Il buon Sansonetti non si perita di usare, inconsapevolmente, un frasario da Terza Internazionale ("accusa di opportunismo"). Si rende conto di come può suonare, ad orecchie come le mie, un tale inciso? Vedremo quando saranno pubblicati gli interventi, ma dubito che saranno chiari sui veri punti, qualificanti politicamente. Perché anche qui c'è un altro dei terribili luoghi comuni della cultura del vecchio PCI, questo qui oggetto di culto unanime, da Rifondazione fino ai DS, passando per il Manifesto: quello di parlare molto, in lingua marziana, per assai poco dire, ma sopratutto niente di impegnativo.
Rimane tuttavia,
il problema di una rappresentanza politica dei lavori e dei saperi debole
e non riconoscibile". (lorenzo
seno)
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