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"Temi
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dicussioni chiave degli ultimi 15 giorni.
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In
questa sezione vengono periodicamente messi in evidenza alcuni dei
messaggi piu' interessanti estratti dalle nostre mailing list.
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20
Aprile 2002
Oggetto:
[Gargonza] Perchè Cofferati ha vinto (finora)
Proprio per
andare avanti forse è il caso, dopo lo sciopero di ieri, di
riflettere un attimo. E ripercorrere la storia recente di un Paese che
ha avuto un assetto politico per quarant'anni di un certo tipo, basato
su
un bipolarismo ideologico e sulla conseguente staticità del potere.
Un Paese
percorso da un "muro di Berlino invisibile" che doveva tenere
fuori dal potere (vedi la fine di Moro) i comunisti, ovvero la grande
forza di
opposizione, a tutti i costi. Un Paese che è stato di conseguenza
governato con il danaro pubblico in deficit, in debito per consentire
alla forza
dominante (la Dc) di comprare consenso e voti ancora ad ogni costo. Dove
la staticità del muro ha finito per creare corruzione, appartenenze,
clientelismo. Per distorcere la società e le vite.
Mi piacerebbe
che nei dibattiti politici avessimo tutti il senso di
questo passato, del peso di questo passato.
Negli anni
70 la classe operaia (ovvero il ceto medio dipendente) in
questa società oligopolizzata e statica ha imposto alcuni paletti
giuridici di
autoprotezione. Il ciclo di cambiamento nato nel 68 a livello mondiale
da noi si è scaricato e stabilizzato in Statuto dei lavoratori.
Negli anni
80 il tentativo del Psi di Craxi di creare un'alternanza, rubando voti
al
Pci e alla Dc, è fallito perchè arenatosi e poi sommerso
nella poco evitabile
palude della corruzione e delle appartenenze statiche. Craxi, percorsa
senza successo la strada del consenso mediatico (via la sua creatura
Berlusconi),
ha tentato di divenire il protagonista attivo di questo "sistema",
portandolo al limite, al fallimento economico e politico della Prima
Repubblica (ormai non più funzionale al vecchio bipolarismo imperiale)
avvenuto nel 92.
Da quell'anno,
e per gli otto anni successivi, l'Italia è stata nei
fatti commissariata dalla tecnocrazia della vecchia Banca d'Italia (con
il
breve e fallimentare intermezzo berlusconiano del 94) con l'appoggio delle
forze
politiche residualmente sopravvissute al crollo del 92. Di qui l'Ulivo,
di qui l'emergenza, dall'altro lato, dell'autentico erede di Craxi. E
nella
storia, anche personale, di Berlusconi si può leggere il percorso
di un
imprenditore cresciuto dentro i vincoli e i valori (e i disvalori) del
"sistema" ideologicamente bipolare e statico. Berlusconi non
è stato (e
non è) diverso in questo da tanti altri: ricordiamoci di tanti
potenti
dell'industria di Stato, le varie "razze padrone" che hanno
imperversato
sotto la Dc dominante. E' solo mediaticamente più potente, al limite
del
monopolio sui grandi ripetitori broadcast.
Dal 1992
l'Italia, in fallimento tecnico, subisce una cura da cavallo,
imposta dalla tecnocrazia di controllo (dal pagatore di ultima istanza,
la Banca centrale). Si pagano le tasse (anche le piccole imprese, anche
le
corporazioni professionali, prima di fatto esentate da mamma dc), ci si
autocontrolla nelle relazioni industriali, si decide quanto va in
salario e quanto in profitto al tavolo della concertazione tra Sindacato,
Governo
e Confindustria. Politica dei redditi, quella che il vecchio La Malfa
(scuola Comit-Banca d'Italia) ha predicato per decenni.
Il sistema
Italia trova un suo equilibrio provvisorio: il sindacato
diviene partner della strategia di risanamento, ne paga prezzi pesanti
(il
salario peraio resta di fatto fermo in termini reali per gli otto anni,
e
tuttora lo è) ma comunque è uno dei tre perni della stabilità
(relativa) del
sistema.
Nel 98-2000
la concertazione affronta anche il tema di un mercato del
lavoro italiano irrigidito e inefficiente. Ovvero di una Italia che sta
distruggendo i suoi giovani.
Si trova
la prima soluzione dei contratti di flessibilità, riservati ai
nuovi lavoratori. In termini di temporaneità. Di più non
si può fare:
mancano i soldi per riedificare un welfare moderno, basato
sull'orizzontalità del lavoro (che ormai dilaga nell'autonomo,
semi-autonomo, atipico).
L'Italia
politica statica, conflittuale, ideologica, corrotta,
corporativa ha del resto negli anni precedenti trasformato la società:
l'ha
invecchiata, irrigididita, assestata intorno ai suoi "privilegi acquisiti".
Primo fra
tutti il diritto alla pensione. Lo Stato spende su due voci: interessi
sul debito pubblico e pensioni. Da un lato la società italiana
sviluppa una
enorme capacità di risparmio interno (la ragione per cui non siamo
falliti, perchè il debito pubblico non è andato all'estero,
come in Sudamerica,
ma è stato contenuto nel risparmio, nel grande "materasso"
Italia).
Dall'altro lato questa società risparmiosa e anziana naturalmente
chiede pensioni,
la forma distorta e ineguale di welfare all'Italiana.
Per otto
anni tutti si sgolano su questo punto (Fazio in primis) ma
nessuno riesce, nella sostanza, a combinare nulla. Berlusconi tenta la
spallata
nel 94 e crolla.
Intanto procede,
poco a poco, l'opera di risanamento contabile, via
tasse, un minor grado di corruttela, un maggiore grado di stabilità
nelle
relazioni industriali. Il bilancio degli otto anni di
centrosinistra-tecnostruttura è alla fine positivo: l'Italia si
è salvata dal baratro, è riuscita a riagganciare l'Europa,
ha pagato i suoi prezzi senza traumi
irreversibili, ha ancora una base industriale decente (anche se a tratti,
vedi Olivetti
e High-tech, devastata).
Nel 2000
il centrosinistra è politicamente logorato, da otto anni di
politiche impopolari, anche se necessarie. D'Alema chiude, e maluccio,
questa fase. Berlusconi, via ricapitalizzazione "aiutata" di
Mediaset,
viene di fatto prescelto come alternanza.
Berlusconi
scrive il suo programma. E NON vi mette l'intervento
sull'articolo 18. Lo richiede invece, e a gran voce, la confindustria
di
D'Amato, il giovane imprenditore napoletano che ha rovesciato gli
equilibri confindustriali (Agnelli dominanti nelle attività concertative)
perchè
la Confindustria, esattamente come il sindacato, è uscita logorata
dagli
otto anni difficili. Specularmente al sindacato, che ha visto crescere
i suoi
Cobas (e il processo ha visto persino forme di neoterrorismo), ha perso
adesioni, in particolare nella piccola e media impresa che ha dovuto
pagare parte dell'aggiustamento.
D'Amato riporta
questo malcontento nell'associazione industriale. E
vince, su un programma di attacco: gli otto anni sono finiti, ora si volta
pagina.
Basta con la concertazione, si fa la flessibilità piena del sistema,
all'americana.
Berlusconi
lo appoggia. Ma nel suo programma elettorale, per prudenza,
non mette l'articolo 18. Prevede di essere eletto in una Italia in ripresa,
in una economia mondiale che va, come è andata negli anni d'oro
della New
Economy, il 98-2000. Conta di avere le risorse per lubrificare le
riforme liberiste, compreso (alla fine) l'articolo 18. Partendo però
dal taglio
alle
tasse.
Putroppo
però qualcosa non funziona: lui sì viene eletto (con un
po'
meno di
voti di quanto sperasse, ma comunque molto ben "gestiti" in
sede
elettorale,
e tali da assicurargli la mggioranza assoluta) ma in un contesto del
tutto
diverso dalle sue previsioni.
Nel frattempo,
infatti, il ciclo capitalistico mondiale si è invertito.
La
spinta della New Economy si è prematuramente esaurita (internet
non è
una
macchina per vendere...). Le risorse previste abbondanti si fanno di
colpo
scarse. A livello mondiale le tensioni sfociano in una nuova guerra
fredda
Nord-Sud, in una nuova contestazione no-global, in una strategia
imperiale
di militarizzazione del ciclo economico. E le poche risorse italiane
vanno
subito là, a priorità massima.
Non ci sono
i soldi per finanziare la ripresa immaginata da Berlusconi.
L'avvio delle grandi opere pubbliche moltiplicative, il finanziamento
del
welfare orizzontale (in chiave anche di ridimensionamento sindacale) e
soprattutto la riduzione delle tasse sulle imprese, ormai inferocite.
Nè
ci saranno, almeno a breve-medio termine. Il ciclo recessivo e di
stagnazione sarà lungo, la spesa militare è solo una stampella,
manca il
motore innovativo, produttivo, mobilitante di nuovi investimenti.
Internet
entra in stasi (almeno dal punto di vista capitalistico), il biotec è
troppo
pericoloso e inviso alla pubblica opinione, il nanotec (le
nanotecnologie)
troppo nuove. E il ciclo di investimenti moltiplicativi sul Nord-Sud è
bloccato dai conflitti politico globali a cui assistiamo dall'11
settembre
in poi.
In questa
situazione di blocco i fragili conti publici italiani
rischiano di
andare a picco. Tremonti si inventa la scusa del "buco" lasciato
dall'Ulivo,
ma serve a poco. Il sistema delle imprese urla e scalpita: si era
aspettata
un governo "amico" e invece si ritrova un Governo che consente
alle
Regioni
di aumentare ulteriormente le tasse (per finanziare gli sbilanci dovuti
alla
pressappochistica privatizzazione delle Sanità locali....). Che
stringe,
invece di allentare il torchio. Mentre, dall'altro lato, i consumi e i
redditi calano.
Berlusconi,
a rischio ravvicinato di perdere la sua base elettorale
d'impresa, allora si gioca la carta dell'articolo 18. Non costa nulla,
dò un
segnale (anche simbolico) e i sindacati sono divisi. Ma fa il suo primo
grande errore: lega i provvedimenti sull'articolo 18 al "superamento"
della
concertazione. Ovvero: niente più sindacati tra i piedi, la recessione
ce la
gestiamo noi. E direzioniamo la sua forza distruttiva proprio sul
sindacato,
per ridimensionarlo e (possibilmente) toglierlo dal gioco.
Questo messaggio
politico è quello che ha portato allo sciopero di ieri.
Perchè irricevibile (parola oggi di moda). E perchè è
irricevibile?
Perchè
13 milioni di italiani lo hanno rifiutato?
Semplice.
Perchè ci aspettano altri otto anni di vacche magre. Perchè
il
capitalismo all'americana, bello e efficiente nella sua flessibilità
innovativa, ma crudele e disumano nel suo egoismo sociale, ha chiuso un
altro ciclo. Perchè il prossimo dovrà vedere di nuovo un
riequilibrio,
costoso e magari anche sanguinoso, ma un riequilibrio.
E allora
meglio andare a questo riequilibrio con la concertazione, con
il
sistema che bene o male ha funzionato in questi otto anni duri. Senza
i
trucchi sul nuovo debito pubblico via "Patrimonio Spa" (vedi
l'articolo
di
domenica scorsa di Scalfari). Ma in un quadro di controllo e
auto-controllo
reciproco, senza troppe urla e isterismi, sia di piazza che
confindustriali.
La recessione
lunga la si gestisce, non la si trasforma in Far West.
Questo
è il messaggio che Cofferati ha capito, e su cui ha vinto. La recessione
lunga la si affronta su un piano di minima fiducia reciproca, e non di
delegittimazione avventurista e radicale.
Le riforme
si contrattano, si adattano, si calibrano nelle condizioni
storiche vigenti. Lo so: è deprimente, noioso, duro per chi da
un lato
si
culla nei sogni tardo-rivoluzionari e dall'altro lato per chi agogna la
catarsi anticomunista, la grande vendetta sui rossi sindacali, la grande
liberazione dell'Italia, tutta a misura d'impresa e di mercato.
Ma il mercato,
il nuovo Moloch-Baal dotato di supposta intelligenza
suprema
e di provvidenziale mano invisibile, non ha funzionato (o ha funzionato
a
rovescio) dal marzo 2000 a oggi. E almeno fino a tutto il 2004 andrà
così.
Poi magari qualcosa si rimetterà in moto. Se (ma ci vogliono soldi
per
la
ricerca e l'innovazione) partiranno le nuove frontiere industriali
(celle
solari e a combustibile, idrogeno, nanomateriali, nanocomputer,
nanomedicina, maturità di internet....).
Nel frattempo
Berlusconi deve rassegnarsi a un sano ritorno alla vecchia
e
maledetta concertazione. Facendo le riforme possibili, economicamente
e
socialmente accettabili.
Che senso
ha infatti fare oggi in Italia la prateria del far west di
mercato
quando infuria la tempesta? Dove si cavalca? Nella "piova e nel vento"?
Consiglio
a Berlusconi, Fini e colleghi di riavviare la concertazione
dal
vero punto debole italiano: dal suo cervello di ricerca che sta andando
a
Patrasso (o a Princeton, in rari casi). Rifacendo l'Università,
rimettendo
risorse sulle frontiere della tecnologia pacifica, non invasiva, non
minacciosa. Come l'energia, per esempio, che ci costa enormi risorse
annue.
In termini di petrolio anche insanguinato.
Ciao (e scusate
la prolissità) Beppe Caravita
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