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11 Dicembre 2001

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archivio gargonza >>

[Gargonza] Laeken: cosa c'e' in gioco?

Cari amici, recentemente le Camere hanno approvato a larghissima
maggioranza una risoluzione sul futuro dell'Unione Europea, che
costituisce la presa di posizione del Governo e del Parlamento italiano
per il prossimo vertice di Laeken (Bruxelles), previsto per venerdi' 14.

Il documento e' rintracciabile sul sito della Camera:
http://www.camera.it/_aveur/it_Sezione/.

Ci sembra di fare cosa utile analizzando con un certo dettaglio i punti
principali del documento, in modo tale da inquadrare quali sono le vere
sfide di Laeken.

Una considerazione introduttiva: e' indubbiamente positivo che il
Parlamento italiano abbia approvato un documento di queste
caratteristiche con una maggioranza cosi' ampia (si sono chiamati fuori
solo Verdi e RC, che attualmente non fanno parte ne' del governo ne' del
principale gruppo d'opposizione).

La famosa "bipartisanship" e' benvenuta quando in gioco vi sono
questioni strategiche di un impatto cosi' significativo sul futuro del
nostro paese. La scelta strategica dell'Italia per l'Unione Europea e'
definitiva ed irrevocabile: la stragrande maggioranza delle forze
poltiche nazionali e' pro - europeista, e cio' corrisponde
ad una chiara volonta' in questo senso del popolo italiano. Al massimo
possono esistere nel nostro paese dubbi od incertezze su determinati
aspetti specifici, ma salvo limitatissime eccezioni nessuno mette in
discussione l'opportunita' di condividere il nostro futuro con gli altri
membri dell'Unione Europea.

In questo senso, sin dagli inizi del processo d'integrazione l'Italia si
e' sempre situata nel gruppo dei paesi piu' europeisti, e anche nel
quadro di relativo "euro - pessimismo" successivo al Trattato di
Maastricht, questa posizione non ha subito alterazioni significative.

Tuttavia, l'Italia degli anni novanta, in preda ad una vorticosa crisi
sistemica interna (causata anche dalla nostra appartenenza all'Unione),
ha abbassato di molto il profilo del suo contributo al dibattito sui
grandi temi strategici dell'Unione, in particolare a quello sul
dopo-completamento dell'Unione Economica e
Monetaria e sulla grande sfida dell'allargamento. In altri
paesi si e' sviluppato un vivace dibattito sulla materia, dall' Italia
veniva solo un assordante silenzio, interrotto solo recentemente dagli
interventi di Amato e Ciampi.

E' quindi un buon segnale che finalmente le nostre Camere abbiano
partecipato al dibattito fornendo il contributo che i soci si aspettano
da un paese come l'Italia, membro fondatore e di peso dell'UE.

Purtroppo, lo sviluppo positivo e' stato immediatamente controbilanciato
dalla folle presa di posizione del Governo sul mandato d'arresto
europeo: non possiamo usare la parola "incomprensibile" per
definire la posizione che il Governo impone al paese, perche' sappiamo
tutti quello che c'e' dietro. Il rifiuto dell'importantissima proposta
UE e' invece "ingiustificabile", ma in linea con una serie di altri
provvedimenti, dapprima esclusivamente interni, poi internazionali (la
vergogna delle protocollo addizionale al trattato con la Svizzera) e ora
anche comunitari. Il disegno e' chiaro a chiunque voglia leggere la
realta' con un minimo d'obiettivita' ed informazione (cioe' a tutti
all'estero e a chiunque in Italia non si faccia abbindolare dalla
propaganda insensata del Polo).

L'Italia ha quindi fatto, mediante la risoluzione comune, un bel passo
in avanti in termini di credibilita' internazionale, e poi ne ha fatti
subito due indietro.

L'accordo "bipartisan' e' stato possibile sulle questioni di fondo (e'
gia' qualcosa), diviene pero' impossibile quando si passa allo
specifico, e gli interessi di bottega di corto respiro tornano alla
superficie.

Ma veniamo a Laeken: il dibattito sul futuro dell'UE si e' aperto nel
momento stesso in cui si concludeva il processo di ratificazione del
Trattato di Maastricht che, oltre a completare il processo di UEM, aveva
dato vita ad un Unione a tre pilastri: 1. Mercato Unico + UEM con moneta
unica (dimensione economico - commerciale) 2. Politica Esterna e di
Sicurezza Comune 3. Affari Interni e Giustizia.

Se le regole del gioco nel primo pilastro (totalmente comunitario) erano
ormai divenute chiare, il secondo ed il terzo, nel quale prevaleva
ancora il metodo intergovernativo obbedivano a regole molto meno fluide.
Di fatto, nel corso degli anni novanta, il secondo ed il terzo pilastro
hanno funzionato molto meno del primo, il che potrebbe far pensare che
il metodo comunitario e' molto piu' efficiente di quello
intergovernativo.

La grande sfida dell'allargamento a 13 nuovi paesi rendeva poi
necessaria una seria revisione del funzionamento dell'UE: senza
snellimento delle regole l'UE non potra' mantenere la propria velocita'
di crociera, e men che meno proporsi nuove sfide. Il dibattito sulle
riforme istituzionali, lungi dall'essere meramente tecnico, propone
invece serie riflessioni sul futuro politico dell'Unione che vogliamo.

Il Trattato di Amsterdam e quello di Nizza dettero risposte parziali e
limitate ai due problemi di fondo, anche se certi progressi furono
registrato in entrambi i casi. Dobbiamo peo' sottolineare come Nizza sia
stata una risposta per molti versi frustrante e di corto respiro
rispetto alle dimensioni della sfida esistente. A fronte della grande
domanda su che Europa vogliamo e con che ruolo nel mondo, i nostri
governi risposero con una triste logica ragionieristica da "perdite -
profitti": tutti, forse con l'eccezione italiana, analizzarono Nizza col
bilancino da farmacista per contabilzzare dove avevano vinto o perso "in
quanto paese", senza rendersi conto che quello che si perde con questa
logica e' l'obiettivo di fondo, quello del progetto europeo nella sua
globalita'.

Un progetto europeo che, non dimentichaimolo, proprio perche' condiviso
e di ampio respiro ha trasforamto in maniera irrevocabile il nostro
continente, portando pace, prosperita' e progresso ai nostri paesi.

Ma viviamo anni nei quali pare persa la visione progettuale di un futuro
possibile, e nei quali un po' ovunque ci si occupa solo di "guadagnarci
a breve". Ma del futuro dell' Europa non si puo' parlare solo in questi
termini, e la generazione di leaders che porto' avanti il progetto
europeo sino agli anni novanta lo sapeva bene (anche perche' aveva
visuto
la guerra in prima persona).

Se Amsterdam e Nizza non furono sufficienti, perlomeno divenne chiaro
che il dibattito sulle questioni di fondo non poteva essere
ulteriormente ritardato: nel contesto della globalizzazione e
dell'allargamento, non possiamo permetterci il lusso di stare fermi
vivacchiando, perche' di fatto torneremmo indietro, e tutti noi europei
ne saremmo pregiudicati.

A Nizza quindi si approvo' una Dichiarzione sul futuro dell'Unione che
menzionava espressamente quattro temi da trattare in una futura
occasione (il vertice di Laeken appunto):

1. Una piu' precisa delimitazione delle competenze tra Unione e Stati
membri che rispecchi il principio di sussidiarieta';
2. lo status da dare alla Carta dei Diritti fondamentali dell'unione
Europea (la cosiddetta Costituzione europea);
3. la semplificazione dei trattati al fine di renderli piu' chiari e
meglio comprensibili senza modificarne la sostanza;
4. il ruolo dei Parlamenti nazionali nell' architettura europea.

A Laeken non dovranno essere risolti tutti questi nodi, ma dovranno
essere definiti calendari e modalita' per la trattazione di questi temi.
Fermo restando che il processo dovra' concludersi entro il 2004, quando
dovrebbe prodursi la prima fase dell'allargamento ai nuovi membri.

Alcuni paesi pensano che il processo costitutivo da avviare a Laeken si
debba centrare solo sui quattro temi di cui sopra. Altri, tra cui la
presidenza belga responsabile di presentare una proposta ai soci,
pensano che sia opportuno trasformare il dibattito in una vera e propria
discussione su un progetto globale per l'Europa.

Il governo belga suggersice quindi di aggiungere alla discussione i
seguenti temi:

- le modalita' di finanziamento dell'Unione;
- le procedure decisionali;
- l'architettura istituzionale;
- il ruolo delle regioni;
- la modernizzazione del metodo comunitario ed il dialogo con le parti
sociali.

Da parte sua, la risoluzione approvata dal Parlamento Italiano propone
di aggiungere anche questi altri temi:

- riorganizzazione e costituzionalizzazione dei Trattati (si riprende un
tema gia' presente nell'agenda, ma insistendo sulla necessita' di dare
una dimensione costituzionale ad un certo numero di norme fondamentali);
- estensione del voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio;
- estensione del metodo comunitario al terzo pilastro (gia' a Amsterdam
e Nizza si avanzo' in questo senso, si tratterebbe di completare il
processo);
- rafforzamento della capacita' decisionale dell'Unione nel settore
della cooperzione giudiziaria e degli affari interni (strettamente
legato
al punto precedente);
- possibilita' d'elezione diretta del Presidente della Commissione;
- razionalizzazione dei lavori del Consiglio;
- estensione del potere di codecisione del Parlamento Europeo;
- creazione di un governo dell'economia;
- coerenza ed efficacia dell'azione esterna dell'Unione.

L'Italia e' quindi favorevole ad un allargamento del dibattito a tutte
le questioni di fondo sul futuro dell'Unione: questo e' senza dubbio uno
sviluppo positivo, che viene a rompere con il relativo allontanamento da
cuore del dibattito che ci aveva contraddistinto negli anni novanta.

Per discutere l'agenda che sara' definita a Laeken (ristretta o piu'
vasta), esiste gia' un accordo sula convocazione di una Convenzione che
sara' composta da 16 rappresentanti del Parlamento Europeo, 30
rappresentanti dei Parlamenti nazionali (due per paese), 15
rappresentanti degli Stati Membri, un rappresentante della Commissione.

Alla Convenzione parteciperanno come osservatori rappresentanti del
Comitato Economico e Sociale e del Comitato delle Regioni.

Parteciperanno alla Convenzione, con un ruolo consultivo, anche
rappresentanti dei paesi candidati, secondo la stessa ripartizione
vigente per i paesi membri (1 rappresentante dell'esecutivo e due del
legislativo).

Allo stato attuale, la Convenzione dovrebbe svolgersi nel 2004: l'Italia
propone di anticipare l'inizio dei lavori al 2002 in modo da concluderli
entro fine 2003, in modo da evitare che i suoi lavori coincidano con la
campagna elettorale per le prossime elezioni europee (giugno 2004, con
partecipazione dei paesi dell'allargamento), con la conclusione dei
negoziati d'adesione dei nuovi membri e con la scadenza del mandato
dell'attuale Commissione (giugno 2004).

Ma (ri)cominciamo dai punti giá previsti nella Dichiarazione
sul futuro dell´ Unione allegata al Trattato di Nizza.

1. Definizione di una piú precisa delimitazione delle
competenze tra Unione e Stati membri, che tenga conto
del principio di sussidiarietá.

Si tratta di una questione - chiave, ma il difficile é
trovare una soluzione che soddisfi tutte le esigenze
in campo, spesso contrastanti.

Il principio di sussidiaretá implica la presa in
considerazione nella ripartizione delle competenze
anche del livello subnazionale, il che é del tutto
necessario nell´ambito di un federalismo che si voglia
davvero tale.

Non si tratta quindi solo di delimitare il campo tra
comunitario e nazionale, ma piuttosto d´elaborare un
quadro armonico in grado di massimizzare l´efficacia
dell´azione comunitaria.

Le diverse culture amministrative e realta´ locali
esistenti in Europa non facilitano l´elaborazione di
un tale quadro d´insieme, ma il livello
d´interpenetrazione della dimensione comunitaria nei
paesi dell´UE é tale che l´integrazione si vede
ostacolata nel suo funzionamento concreto se gli
organismi subnazionali non sono in sintonia con i
governi centrali. Da qui, e dalla necessita´ di
avvicinare sempre piú l´Europa ai cittadini, la
necessita´di puntare sulle collettivita´ locali come
fattore essenziale dell´integrazione europea.

In termini generali, la storia dell´integrazione
europea é stata caratterizzata, fino agli anni
novanta, da una tendenza alla crescita delle
competenze comunitarie a scapito di quelle nazionali,
facilitata anche dalla giursprudenza della Corte
Europea.

Questo processo si é peró arrestato proprio quando si
é venuto a completare il primo grande progetto
europeo, quello del mercato unico (1993). Al momento
del lancio dell´UEM, gli Stati membri intraprendono un
processo di erosione o perlomeno di congelamento della
tendenza preesistente.

L´apparizione dell´Euro é il suggello del processo
d´integrazione economica: gli Stati membri (ed i
cittadini europei) capiscono che se non si pone un
freno alla dimensione comunitaria, gettando un pó
d`acqua gelata sugli entusiasmi europeisti, gli stati
-nazione sono destinati a vedere assottigliate sempre
piú le loro prerogative.

Da qui che il secondo ed il terzo pilastro di
Maastricht privilegino la dimensione intergovernativa:
paradossalmente, al successo del comunitario nella
sfera economica (in quarant´anni si crea uno spazio
economico comune dotato d´una sola moneta in un
contesto di straordinario aumento della prosperita´
continentale), si risponde abbandonando questo modello
per riproporre quello classico dell´intergovernativo,
a propulsione indubbiamente minore.

Se una certa paura dei ceti politici nazionali e delle
opinioni pubbliche nei confronti dell´immanenza del
comunitario puo´ giustificare questo sviluppo, é peró
curioso che si sia scelto d´abbandonare un modello che
funziona, per privilegiarne uno molto meno efficiente.

Nel caso della PESC (Politica Esterna e di Sicurezza
Comune), essa fa i conti giornalmente proprio con
questa contraddizione: se essa non é cosí deficitaria
come spesso si dice, é anche vero che in caso di crisi
il suo funzionamento rimane indubbiamente al di sotto
del potenziale che l´UE ha nel mondo.

Nel caso della cooperazione in affari interni e
giustizia, la situazione é simile, salvo che recenti
sviluppi (Nizza) fanno giá intravedere un
rafforzamento del metodo comunitario a scapito
dell´intergovernativo: quando si voglioni risultati
concreti, c´e´ bisogno del lavoro di una Commissione
che proponga ed una volta che il Consiglio (ed il
Parlamento) hanno adottato una decisione, si occupi
dell´esecuzione di tali decisioni. Se non si vuole
avanzare, l´intergovernativo va invece benissimo.

Naturalmente, un´Unione dalle competenze sempre piu´
vaste non dovra´necessariamente adottare le stesse
modalitá di funzionamento in tutti i suoi ambiti.

Credo che questa sia in realta´la risposta piú
adeguata alla sfida esistente: un approccio flessibile
che eviti estremismi ideologici e cerchi, nella
pratica, la soluzione piú efficace perche´una
determinata politica dispieghi i suoi effetti a
beneficio dei cittadini europei.

L´esperienza peró insegna che il comunitario funziona
meglio: ferma restando la necessita´di prevedere tutti
gli opportuni meccanismi di controllo, é necessario
che l´intergovernativo si permei sempre piú di
comunitario, e che il PE ed i Parlamenti nazionali
siano implicati sempre piú strettamente nel processo
di decisione. Ma il ruolo della Commissione
nell´implementazione é necessario. L´UE ha bisogno di
una Commissione forte, un suo indebolimento é
funzionale solo agli interessi conservatori di chi
vuole fermare il treno per difendere il proprio
potere.

La sussidiaretá vale poi come principio generale:
anche in questo caso é necessaria una certa
flessibilitá. Non tutti gli enti locali funzionano
allo stesso modo, anche all´interno di un singolo
paese. Tutte o quasi le politiche comunitarie giá oggi
vedono la collaborazione attiva delle regioni, non
potrebbe essere diversamente. Perché peró la
democrazia europea funzioni correttamente é importante
che i cittadini siano in grado di visualizzare ad ogni
momento a chi compete una determinata azione (o chi é
responsabile per eventuali carenze): non serve
attaccare Bruxelles se é la mia regione che ha omesso
di agire nell´ambito della sua competenza, non serve
attaccare il sindaco se egli si vede impedito d´agire
da eventuali ritardi nella definizione del consenso in
ambito comunitario o da carenze del governo nazionale.

Stabilire un quadro chiaro di regole non é semplice,
ma aiuta i cittadini a chiarire le responsabilitá di
ciascuno. É quindi necessario per aumentare il tasso
di democrazia europea. Ma non é affatto un problema di
"tecnocrazia oscura", piuttosto di mancanza di volontá
politica di chiarire i nodi della questione.

É ora di farlo una volta per tutte.

2. La formulazione di una Carta dei Diritti
Fondamentali dell´UE é un´esigenza che é appare
evidente da una decina d´anni a questa parte. Dal
momento dei dubbi tedeschi in materia di conformitá
con la Legge Fondamentale della RFT del Trattato di
Maastricht, apparve chiaro che, tenendo conto del
grado d´intensitá raggiunto dalla nostra integrazione,
era divenuto necessario elaborare una Costituzione
Europea.

L´eterodossa posizione britannica, dovuta al fatto che
questo paese non possiede una Costituzione scritta,
portó all´assurda conclusione di Nizza, che adottó il
principio d´una Carta "senza valore giuridico".
L´avete mai vista una Costituzione che abbia solo
valore politico? Una contraddizione in termini.

Pare che a Laeken si sia avanzato su questo punto:
sempre per questioni di chiarezza e trasparenza é
necessario che agli europei sia fornito un testo che
riprenda i diritti fondamentali garantiti da tutte le
nostre Costituzioni nonché dalle Convenzioni
Internazionali (Nazioni Unite) sottoscritte dai nostri
paesi. Tutti noi ci guadagneremmo dal fatto che sia
l´Unione a garantire tali diritti: questo tra l´altro
impedirebbe certe derive unilaterali preoccupanti
(caso austriaco od atteggiamento italiano sul mandato
di cattura europeo), molto piu probabili di eventuali
derive dell´ Unione come tale, spesso evocate come
possibili ma nella pratica assai poco probabili.

Tale Costituzione non sostituirebbe ma integrerebbe il
corpus costituzionale nazionale.

I cittadini non avrebbero che da guadagnare da questo
sviluppo.

3. La semplificazione dei Trattati.

Un´ altra necessitá: consultare i Trattati di oggi,
frutto di modificazioni successive sul testo del
Trattato di Roma, richiede un grado di conoscenza
della materia molto superiore, per esempio, a quello
necessario per consultare la Costituzione Italiana.

La cosa migliore sarebbe riscrivere tutto, nella linea
della proposta formulata l´anno scorso dai saggi
europei: prevedere una prima parte di norme essenziali
di natura costituzionale, modificabile solo
all´unanimitá, ed una seconda parte di diritto
materiale, in cui prevarrebbe senza eccezioni il
principio di codecisione (Parlamento Europeo) e la
maggioranza qualificata.

Questa soluzione avrebbe il grande vantaggio di
aumentare di molto la trasparenza, oggi complicata di
molto dall´esistenza di molteplici procedimenti
decisionali.

Da notarsi che il Trattato di Nizza é peró andato
nella direzione contraria, complicando e non
semplificando i procedimenti di decisione.

4. Innalzare il ruolo dei Parlamenti nazionali nel
processo di decisione: io m´accontenterei di
omogeneizzare il ruolo del Parlamento europeo nel
processo di decisione, creando poi dei raccordi tra
questo ed i Parlamenti nazionali. Implicare questi
ultimi nel processo decisionale complessivo potrebbe
rendere tale processo interminabile, specie in un
contesto a 27.

E´senz´altro positivo che i Parlamenti nazionali
"dicano la loro", come l´ha fatto l´italiano prima di
Laeken, ma penso che la prioritá vada accordata al
rafforzamento del PE ed al miglioramento qualitativo
sia del suo funzionamento che della sua composizione
(maggiore visibilitá, maggiore importanza da dare alle
elezioni europee, che porterebbe anche ad una migliore
selezione del personale politico europeo, oggi spesso
davvero impreparato).

Per il momento interrompo qui, con altro intervento parleró
delle questioni che il nostro Parlamento propone di
aggiungere all´agenda di lavoro della Convenzione.


Ciao a tutti.


Stefano Gatto


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