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17 Maggio 2002

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Oggetto: Re: [Gargonza] Socialismo e riformismo

Forse non guasterebbe, nella discussione che si è sviluppata, una messa
a punto filologica dei significati delle parole che sono usate nel
dibattito in corso. Aiuterebbe a individuare la posta in gioco. "Socialismo"
significa, a partire dal Manifesto del 1848, "socializzazione dei mezzi
di produzione". Poiché si ritiene, giustamente, che il mercato generi una
ineguale distribuzione delle risorse e poiché si ritiene, con Marx, che
è cruciale, a questo fine, il controllo dei mezzi di produzione, tutto il
dibattito della seconda metà dell'800, quello della Prima e della
Seconda internazionale, ruota attorno a questo tema. Ed è in questo dibattito
che si apre una prima divisione tra "socialismo" e "comunismo". Ambedue le
correnti di pensiero pensano che occorra arrivare al controllo pubblico dei mezzi
di produzione, perché è l'unica soluzione radicale del problema della
distribuzione equa delle risorse. Ambedue pensano che se il mercato
genera le disuguaglianze, si arriva sempre troppo tardi e male a sanare le
disuguaglianze. Perciò bisogna mettere sotto controllo il mercato nel
suo punto critico, là dove si producono i beni. Dunque, occorre controllare
la produzione, se si vuole garantire realisticamente un'equa distribuzione.
Ed è a questo punto che si apre la divaricazione: perché i comunisti
ritengono che pervenire a questo controllo non sia possibile attraverso una lunga
costruzione del consenso democratico, che porti il movimento operaio a
mettere le mani sul potere politico e sullo stato. Pensano che occorre
arrivarci attraverso la dittatura del proletariato: partito unico,
monopolio della forza ecc. I socialisti, viceversa, investono sul lavoro
parlamentare, sulla conquista della maggioranza per via di pacifica. Si ricordi il
"Programma di Gotha". Il fine è identico: la socializzazione dei mezzi
di produzione. La via per arrivarci è diversa. La Seconda internazionale è
socialista, la Terza internazionale è comunista. Per i comunisti la via
è quella della dittatura del proletariato, per i socialisti sono le
nazionalizzazioni, l'intervento dello stato in economia. Fino agli anni
'80 del '900 questo è rimasto il discrimine. Si pensi al programma di
Mitterrand del 1981. Ma si pensi, prima, al programma dei socialisti nel
centro-sinistra.
La caduta del sistema dei paesi comunisti nel 1989 ha posto fine a
questa utopia: quella della socializzazione dei mezzi di produzione, sia nella
forma "forte" della dittatura del partito unico e del controllo totale
dello stato, sia nella forma "debole" sostenuta dalle socialdemocrazie
nordiche e dai partiti eurocomunismi.
Quella strada non ha generato un'equa distribuzione delle risorse, ha
prodotto un blocco dello sviluppo delle forze produttive, ha costruito
società invivibili o, comunque, in declino, minacciate dalla crisi
fiscale, dall'ascesa esponenziale del debito pubblico, dalla burocratizzazione
costosa e inefficiente del Welfare.
In questo senso è finito tanto il comunismo quanto il socialismo. I
quali non sono delle belle tavole di valori valide in ogni tempo (per cui si
può dire che Gesù Cristo era socialista!), ma sono fini+mezzi, sono progetti
concreti di società. Se il socialismo è, rigorosamente, socializzazione
dei mezzi di produzione, è finito nell'89 insieme al comunismo. Se è l'
aspirazione alla libertà, alla giustizia, all'equità, evidentemente non
è finito, ma solo nel senso che si ritrae nel paradiso terrestre dei fini.
Resta come etica, ma come filosofia politica e come strategia il
comunismo e il socialismo sono defunti per sempre.
Ovviamente restano i problemi: che il mercato non realizza
spontaneamente né l'equità, né la libertà, né la giustizia. Come costruire un meccanismo
che rispetti le libertà, le differenze, le alternanze e, tuttavia, sviluppi
le forze produttive e introduca elementi crescenti di equità, di libertà
effettiva per tutti, questo è il rebus che da varie parti si tenta di
risolvere. Finché non si sarà trovata la soluzione (che non consiste
nella necessaria, ma insufficiente predicazione dei fini) la sinistra non
troverà né pace né patria. Ed è esattamente il periodo storico che stiamo
attraversando, fatto di esperienze di governo, di elaborazioni teoriche,
di tentativi, di arretramenti e fughe in avanti. Sarà lunga, temo.
Nè basta parlare di "riformismo", occorre ammettere! Le riforme le hanno
fatto tanto i comunisti quanto i socialisti. Una volta preso il potere,
per via rivoluzionaria o per via parlamentare, ci hanno provato. Ma la cosa
è fallita...

giovanni cominelli (giocom)




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