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9 Gennaio 2002

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Oggetto:[Gargonza] La notte della democrazia

Da:www.repubblica.it/online/politica/sme/dambrosio/dambrosio.html (9 gennaio 2002)

"Ormai non c'è più limite è la notte della democrazia"

di CINZIA SASSO

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MILANO - "È il momento più delicato della storia della nostra giovane
democrazia dal dopoguerra ad oggi. È davvero la notte della democrazia".
Così Gerardo D'Ambrosio, procuratore di Milano, interpellato sugli ultimi
sviluppi del caso Sme.

Procuratore, che cosa vuol dire questa decisione del ministro della
Giustizia?
"È una presa di posizione veramente incredibile, una nuova
manifestazione della pervicace volontà di fermare questo processo. Quando l'ho saputo sono rimasto di sale[85] no, non è possibile, mi sono detto. E ancora adesso quasi non ci credo".

Pare che si vada verso l'applicazione, e che dunque il processo
continui.
"Che ne sanno loro, a Roma, se si farà l'applicazione? Oggi il giudice
Brambilla dovrà presentarsi nel nuovo ufficio, una volta che il ministro ha deciso
così non c'è altra strada, pena la decadenza dall'impiego. Solo una volta che
avrà preso servizio potrà mettersi in moto la procedura per la richiesta
dell'applicazione. Ma ciò che è stupefacente è che il ministro non abbia
tenuto in conto quella che è un'esigenza primaria, e cioè la continuazione di
un processo. Mi preoccupa l'interferenza, ma ancora di più quello che
dimostra".

Che cosa dimostra?
"Che non c'è più limite. Avrebbero potuto sanare, regolarizzare quella
proroga.
E invece quello che hanno scelto di fare non è che l'ulteriore conferma
della volontà dell'esecutivo di non far celebrare questo processo. Ne ho viste
tante, ma è la prima volta che si verifica un'interferenza così pesante da
parte del potere esecutivo nell'amministrazione della giustizia".

"Autorevoli fonti", dice un'agenzia, ritengono che il processo sia
destinato a ricominciare da capo.
"Autorevoli chi? Magari si tratta dei difensori degli imputati, che fino
ad ora le hanno inventate tutte per difendersi dal processo, invece che nel
processo.
Non c'è stata alcuna difesa all'interno del dibattimento, dopo due anni
non si è ancora entrati nel merito, si è parlato di tutto fuorché dei fatti di
causa".

Lei crede che sabato si potrà celebrare l'udienza?
"Non è detto che sabato l'udienza salti. Deve accadere tutto all'interno
del Palazzo di giustizia. Bastano due letterine di poche righe e un semplice
provvedimento di applicazione. Ci vuole più tempo a dirlo che a farlo,
ed è una prassi costante".

Ma lei legge nella sequenza che si è svolta finora la volontà di non far
andare avanti questo dibattimento.
"Io dico che finora ho visto il ricorso a tutti i cavilli possibili e
immaginabili. Qui si deve motivare tutto, ogni questione richiede una
camera di consiglio e la confezione di un'ordinanza ben motivata. Non basta, come
accade in Inghilterra, che il giudice picchi il martello sullo scranno e dica
semplicemente "respinto". E vedo che da parte dei difensori, da parte
degli imputati che si sono costituiti e ora anche da parte dell'esecutivo, ne
sono state inventate di tutte - perfino le leggi - per non far andare avanti
il dibattimento".

La citazione manzoniana è banale: "Questo processo non s'ha da fare". È
il suo pensiero?
"Sì, sì, è così. E nell'ipotesi che si faccia, ci si guardi bene dal
condannare, perché sennò non sono giudici di Berlino, sono giudici comunisti. Sono
allibito".

Quello che accadrà sabato all'udienza è dunque avvolto nell'incertezza.
"Mi pare che una sola cosa appaia con chiarezza: che si sta creando un
braccio di ferro incredibile, attaccandosi a tutto, pur di non entrare nel
merito. La lotta non è per dimostrare l'innocenza, ma per non entrare nemmeno
nell'aula.
Questo è un comportamento che urta contro i principi dello Stato
democratico, sfiora i limiti dell'illegittimità costituzionale".

Lei appare molto amareggiato.
"No, guardi, non c'è niente di personale. Io sono un magistrato che ha
giurato fedeltà alla Costituzione e parlo perché l'indipendenza della
magistratura è la garanzia dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Se non si rispettano le regole, si sconfina nella dittatura; questi non sono
problemi del palazzo di giustizia, sono problemi della stessa democrazia".

Ha parlato di notte della democrazia. È un'espressione forte.
"Un atteggiamento così intimidatorio nei confronti del potere
giudiziario io non lo avevo mai visto e mi sembra che abbiamo toccato il fondo. Ora bisogna darsi un colpo di gambe, riemergere: nel '92 la gente si indignò, oggi
vedremo. Forse questa può essere la goccia che fa traboccare il vaso, che fa sì che la gente si renda conto di quello che accade. Lo ripeto: non si tratta di difendere i magistrati, qui in gioco c'è il rispetto della Costituzione".

(9 gennaio 2002)



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