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La guerra al terrorismo non è una pura metafora come la guerra alla fame e la guerra alla povertà. Ma nemmeno è guerra alla lettera. Per definirla «guerra» occorrerebbe ridefinire la guerra. In attesa la domanda è: di quale guerra stiamo parlando? E la risposta è che stiamo parlando di atti di guerra, di uso della forza militare, e contestualmente di uno stato di emergenza (di pericolo interno) che coinvolge limitazioni di libertà (come sempre in guerra). Sono tutte cose, queste, che sono ricomprese nel concetto di guerra, ma che ne sono soltanto una parte, e una parte minore. Chi è spaventato dall’uso, e anche abuso, della parola guerra si rassicuri. Non ci sarà nessuna terza guerra mondiale, e nemmeno una nuova guerra tipo Vietnam. Non ci saranno, cioè, eserciti che attaccano o difendono un territorio. I terroristi che ci attaccano non ci invaderanno e non assaltano obiettivi militari. La loro è una guerra fideistica contro il «grande Satana», contro un mondo corrotto e impuro di infedeli o di cattivi fedeli. Ma il loro obiettivo prioritario non è di conquistare altri Paesi ma di conquistare l’Islam. In prima istanza i terroristi si propongono 1) di estremizzare sempre più il fondamentalismo islamico, 2) di renderlo egemone, e quindi, per converso, 3) di indebolire e distruggere l’Islam moderato. Questa è la partita, questa è oggi la posta in gioco. Bisogna capirla per giocarla bene. La regola aurea dell’arte della guerra e di ogni battaglia è di non fare mai la mossa che l’avversario desidera, la mossa che l’avversario si aspetta. Gli americani perseguono due intenti: punire i colpevoli e, secondo, prevenire e proteggersi meglio da attacchi futuri. Il secondo intento - che è di scoprire e smantellare la rete terroristica annidata tra noi - è di gran lunga il più importante. Però richiede tempo e pazienza. Pertanto l’intento immediato e più sentito è quello della punizione. Ma punire è anche entrare in un campo minato. Punire chi e come? Il presidente Bush chiede la consegna di Bin Laden. Gli viene opposto che per l’estradizione occorrono prove «inconfutabili». Sono prove che non esistono quasi mai. Forse Bin Laden potrebbe essere dimostrato colpevole oltre ogni ragionevole dubbio da un regolare processo. Ma chiedere prove sicure che siano precostituite al processo è avviare un girotondo. L’alternativa al prendere Bin Laden «vivo o morto» è di colpirne le basi, di colpirne la macchina di guerra. E qui sta il nodo del problema. Se l’attacco americano non sarà attentamente mirato e circoscritto, allora rischia di fare molto più male che bene. Israele insegna. La rappresaglia che uccide bambini, donne e civili è una rappresaglia controproducente che moltiplica l’odio e il terrorismo. È la rappresaglia che i terroristi vogliono. A loro la carne macellata - propria o altrui - fa buon gioco. Ci vanno a nozze. Facendo un
passo indietro nel tempo, vale ricordare che gli americani hanno perduto
la guerra del Vietnam alla televisione, in funzione della televisione.
Quella guerra è stata la prima guerra «vista». Ora, qualsiasi guerra è
sempre orribile e inevitabilmente «sporca». E chi la fa vedere come guerra
sporca, è chi la perde. Non è vero - come diceva Walter Cronkite, il primo
grande commentatore televisivo - che l’immagine «non mente». In realtà
l’immagine mente quanto le parole e con molta più efficacia delle parole.
Chi ricorda la guerra del Vietnam ricorda la fotografia di un colonnello
sudvietnamita che spara alla tempia di un prigioniero inginocchiato. Il
mondo occidentale ne restò inorridito. Ma quella immagine era un primo
piano che non faceva vedere, intorno, i corpi di donne e bambini uccisi
e mutilati dai Vietcong. Era dunque un’immagine falsante perché cancellava
il contesto dell’evento. E la mobilitazione dell’odio islamico si impernia
da anni su una analoga «visione» falsante e distorcente degli eventi.
Da anni ai musulmani di tutto il mondo vengono fatti vedere bambini iracheni
che muoiono di fame per colpa - dicono le didascalie - delle sanzioni
americane. È falso. Quei bambini sono affamati da un sanguinario tiranno
che spende tutto per armarsi e che è felicissimo di avere bambini morenti
da esibire. Del pari, oggi il mondo islamico è infiammato da mattina a
sera dalle immagini dei palestinesi barbaramente uccisi dagli israeliani.
I morti esistono, s’intende, anche in Israele; ma quei morti sono «giust
i» e dovuti. Dunque le immagini non raccontano nessuna verità. Nel combattere
militarmente il terrorismo gli Stati Uniti dovranno ricordare la lezione
del Vietnam: che le guerre si combattono anche in televisione. Una incursione
riuscita può essere fatta fallire da una fotografia «collaterale» di troppo.
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