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Roma
23 marzo / Il discorso di Cofferati
La nostra risposta
Donne e uomini che siete qui, compagne e compagni, la vostra
presenza oggi è la risposta più efficace alla follia del
terrorismo, è
la risposta più forte in difesa della democrazia e delle sue regole.
Il
terrorismo è tornato a colpire. Lo ha fatto, come in altre occasioni,
scegliendo con cura il suo bersaglio. Il professor Marco Biagi era
un uomo di cultura, che aveva messo il suo sapere al servizio dello
Stato, che lavorava per definire merito e regole dei rapporti
sociali. Lo hanno ucciso, come prima avevano fatto con Massimo
DAntona, con il professor Tarantelli, con il professor Ruffilli.
A noi non
sfugge che la follia del terrorista cerca sempre la
componente simbolica. Nei loro atti criminosi il simbolo vale,
trasferisce messaggi; nella simbologia è evidente anche lattacco
alle politiche di coesione, al loro valore in questa società: si
vuole
intimidire chi svolge la propria preziosa funzione di consulenza,
dunque svolge una delicata funzione sociale.
Il terrorismo
però interviene per la prima volta direttamente nelle
relazioni sociali, punta a stravolgerle, a dettare lui lagenda di
merito e i tempi: questa novità terribile non ci sfugge e non deve
sfuggire a nessuno. Le relazioni sociali tra parti che rappresentano
interessi diversi sono una componente vitale della democrazia
formale e di quella sostanziale. Ecco perché sconfiggere il
terrorismo è necessità e compito di tutti, ancor più
di sempre, di
tutti i democratici, di chi ha a riferimento lo Stato che la lotta di
Resistenza e di Liberazione ha consegnato agli italiani. Non deve
sfuggire a nessuno però laltra novità della follia
terroristica:
lomicidio è stato consumato mentre cresceva la mobilitazione
dei
lavoratori e dei cittadini a sostegno delle loro legittime e vitali
esigenze, mentre cresceva un movimento vasto, determinato, che
agisce secondo le più consolidate regole e prassi della sua essenza
democratica. Lomicidio avviene a poche ore da questa
manifestazione. Penso che lobiettivo dei terroristi sia più
subdolo
e profondo, ma non posso qui ignorare la circostanza e la scelta
dei tempi.
Agli inquirenti
e alle forze dellordine spetta ora fare luce piena su
quanto è accaduto, catturare i criminali, fare luce sulle tante
zone
dombra, sulla solitudine nella quale è stata lasciata una
persona
minacciata.
La nostra
risposta è quella di sempre, democratica, forte: siete voi
la nostra risposta. Partecipiamo naturalmente al dolore della
famiglia. Ma nel contempo metteremo in atto tutto ciò che una
forza di rappresentanza sociale come la Cgil può fare per
contrastare con fermezza ogni violenza, non avendo mai accettato
né la violenza praticata, né quella teorizzata, nemmeno
quella che
gli altri apparentemente sopportavano. Nellesercizio delle nostre
funzioni saremo come sempre fermi, non accetteremo
condizionamenti.
Affermare,
come è stato fatto, che la violenza dei terroristi è il
frutto di un clima di odio creatosi nella società italiana non
è
soltanto una tesi priva di qualsiasi fondamento, ma è anche il
goffo
tentativo di demonizzare la libertà di critica e la naturale dialettica
sociale. Poco importa se quel tentativo è rivolto a cittadini,
a
intellettuali, a sindacati. E, per la nostra parte, chi ci accusa di
essere componente di questo clima ci offende, offende la nostra
storia e lintelligenza dei cittadini italiani. Quella storia di
donne e
di
uomini che hanno lottato a viso aperto contro il terrorismo,
sempre.
Una storia
così presente nella memoria, nella cultura, negli occhi di
tutti da non avere bisogno, oggi, di nessuna parola da parte mia. È
una storia che nessuno può ignorare o negare. Così come
non ci
soffermeremo più di un istante per chiedere a loro se possono tutti
affermare la stessa cosa verso il terrorismo, di qualunque matrice
ideologica.
Dunque risponderemo
sostenendo e difendendo il difficile lavoro
degli inquirenti, a partire da quello dei magistrati, esposti ancora
una volta e ancora di più anche in questo difficile e pericoloso
compito. Saremo dalla parte delle forze dellordine. Faremo scelte
responsabili in ogni atto quotidiano del vivere civile e delle nostre
funzioni. Per queste ragioni manifestiamo oggi e torneremo a farlo
nella prossima settimana in tutte le città italiane insieme a Cisl
e
Uil.
Siamo convinti
che nella conferma del giudizio di merito su
politiche, anche contingenti, non condivise e nelle iniziative di lotta
a sostegno delle nostre rivendicazioni cè la risposta giusta
al
terrorismo. Perché così si ripristina la normalità
e non si subisce
leffetto dei violenti e degli omicidi. Sono intatte le ragioni che
ci
avevano portato a chiedervi di venire oggi a Roma. Quella di oggi
non è la giornata di festa che avevamo previsto. Abbiamo mutato
i
nostri obiettivi: abbiamo messo, ancora una volta, al centro della
risposta di milioni di persone la lotta contro il terrorismo, per la
democrazia.
E lo facciamo
con la compostezza, la fermezza, la serenità che qui
è dimostrata da voi. Guardino queste piazze coloro che hanno
sollevato non critiche di merito ma giudizi ingiuriosi verso di noi.
Staremo in
campo nei prossimi giorni con le nostre valutazioni sullo
stato di questo paese, sullandamento della sua economia,
uneconomia che ha subìto un brusco rallentamento, più
forte della
congiuntura internazionale: si rischia l'interruzione del ciclo positivo
innescato negli anni passati dal risanamento. Leconomia era
tornata a crescere, il lavoro era diventato un obiettivo raggiungibile
per tante ragazze e ragazzi, anche nel Mezzogiorno. Il
rallentamento ci preoccupa: siamo convinti che una parte
consistente delle difficoltà delloggi siano da attribuire
a politiche
inefficaci per sostenere la crescita e ancor più inefficaci per
rovesciare il suo rallentamento. Abbiamo criticato per tempo
interventi aselettivi su unofferta priva di qualità. Abbiamo
criticato
scelte che deprimevano la domanda. Abbiamo detto senza
infingimenti la nostra contrarietà alla scelta del modello neoliberista
che questo governo ha portato a Barcellona, al confronto con le
altre forze economiche, sociali e politiche dellEuropa, in
opposizione allo sviluppo delleconomia della conoscenza che era
stato individuato in precedenza a Lisbona.
Noi ci siamo
sempre battuti senza incertezze perché questo paese
entrasse nellEuropa nel gruppo di testa, perché facesse parte
di
chi avrebbe dotato lEuropa di una moneta; così oggi insistiamo
perché si arrivi rapidamente a una Costituzione dellEuropa,
con
una carta dei diritti integrata alla stessa. LEuropa deve allargarsi,
lallargamento deve dare possibilità a milioni di cittadini
di avere
disponibili protezioni sociali, diritti, di riaffermare cioè in
concreto
quel modello sociale che storicamente lEuropa ha consolidato,
perché questo modello diventi un punto di riferimento in tutte
le
sue componenti anche nella sfida della globalizzazione. Regolare il
mercato, offrire certezze a chi vuole un futuro più sereno non
è
soltanto necessario, è possibile, se la politica lo vuole.
E qui, oggi,
da noi in coerenza con il modello che era stato
definito a Lisbona, quello di una crescita che guarda alla qualità
di
quel che si produce, di come lo si produce, che considera
linnovazione un motore importante, valorizza le persone e i loro
saperi in coerenza con quel quadro di riferimento è possibile
dare impulso al sistema produttivo, renderlo competitivo
ancorandolo unidea alta di qualità.
Bisogna orientare
di conseguenza gli interventi verso il
Mezzogiorno, creando in loco le condizioni di ambiente
economico e sociale per attrarre investimenti. Come si fa a non
considerare il Mezzogiorno una delle priorità della politica
economica di un paese come il nostro? Ma se si guarda ai
provvedimenti del governo, quelli varati nei primi cento giorni e
quelli contenuti nella legge finanziaria si scopre che non cè
traccia
di intenzioni efficaci e positive in quelle politiche; mentre si
asseconda la richiesta delle imprese di sostegno a un modello di
competizione bassa, destinato a portare il sistema produttivo
italiano in unarea marginale nel mercato e inevitabilmente a
produrre rotture sociali. È così perché quando non
si rende
disponibile qualità, quando non si orienta la propria attività
verso le
esigenze fondamentali delle stesse imprese e invece si risponde
con scelte di collateralismo antico alla parte che ha costruito le sue
fortune lucrando sulla svalutazione e sui cambi flessibili, si costringe
il paese ad arretrare.
Questa è
la prima ragione della nostra contrarietà. Noi
proponiamo una sfida competitiva che abbia al suo centro la
qualità, linnovazione, la valorizzazione della persona. Loro
ci
rispondono affacciando sempre ed esclusivamente ipotesi che
portano alla riduzione dei costi, che aggrediscono e
ridimensionano tutto ciò che ha un costo: le prestazioni sociali,
le
tutele, i diritti. Abbiamo detto di non condividere questa
impostazione, labbiamo detto in esplicito.
Così
come abbiamo detto e dobbiamo dire anche alla politica, ai
partiti, che siamo preoccupati per la scelta delle deleghe. Non
mettiamo in discussione la legittimità di uno strumento previsto
dal
nostro ordinamento. No, è unaltra la cosa che ci preoccupa.
Il
fatto che nello stesso arco di tempo si utilizzino deleghe su temi
come le normative ambientali, la scuola, il fisco, la previdenza, il
mercato del lavoro e i diritti: la delega è legittima ma esautora
e
impoverisce il confronto. Occorre riflettere su questo metodo
anche nella gestione dei rapporti tra le forze politiche e non
soltanto tra quelle sociali.
E poi ci
sono le nostre contrarietà di merito, non solo quelle legate
alla forma, alle modalità (ma spesso sapete come la forma sia
sostanza). Abbiamo detto della nostra contrarietà alle intenzioni
del governo in materia di scuola: il ricorso alla delega sui temi
dellistruzione e della formazione è sorprendente. Questo
governo
nessuno di noi lha dimenticato appena insediato ha
sospeso
quella riforma dei cicli che il governo precedente aveva varato
anche con il nostro consenso. Lha sospesa affermando che quella
riforma era poco conosciuta, poco discussa e dunque poco
condivisa dal mondo della scuola. Ha per questo annunciato il
coinvolgimento di tutta la società civile, ma sè capito
subito quale
sarebbe stata la realtà: quelle migliaia di studenti che hanno
nei
mesi scorsi circondato e isolato gli Stati generali del ministro non
hanno soltanto svelato la debolezza di un disegno tutto mediatico;
hanno resa chiara la scelta del governo.
Una scelta
regressiva sul terreno della qualità dellistruzione e della
formazione, che allontana il nostro paese dallEuropa, che mette
in
discussione un modello di sviluppo fondato sulla qualità. Non
sorprende allora il taglio delle risorse per listruzione, per la
formazione, per la ricerca. Non sorprende che in nessuna delega si
trovi traccia della formazione continua come diritto della persona
ad apprendere per tutta la vita; che non si trovi traccia
delleducazione degli adulti come opportunità nel lavoro e
oltre il
lavoro per arricchire la propria vita.
È
evidente ai nostri occhi il disegno di indebolire, impoverire e
rendere marginale il ruolo della scuola pubblica in questo paese.
Una scuola pubblica più debole può facilmente arrendersi
alla
logica del mercato e persino a una visione cinica della vita: i più
forti possono proseguire negli studi, i più deboli devono essere
incanalati in una formazione professionale di seconda serie, in
quella precoce penalizzazione a tredici anni cè la pura e
cinica
registrazione dei destini sociali di ciascuno.
Ma è
questa la prospettiva di vita che i padri possono indicare ai
loro figli? Noi non labbiamo mai pensato. E per questa ragione
abbiamo indicato nella sostanza dei provvedimenti precedenti un
merito condiviso e osteggiamo le scelte che sono in campo con
quella delega.
E che dire
delle decisioni in materia di fisco? Si affaccia lidea di
superare la progressività e dunque di ledere il principio che chi
ha
di più paga di più: una delle ragioni fondamentali della
solidarietà;
si affaccia unipotesi di redistribuzione iniqua. Si dice ai cittadini:
vi
faremo pagare meno tasse, senza dire né come né perché,
ma non
gli dice che il calo del gettito priverà il welfare di risorse
fondamentali: gli si nega la verità e si spingono i cittadini e
le
famiglie verso la privatizzazione di prestazioni che sono
fondamentali per loro. Basterebbe guardare a quello che già è
capitato per la sanità, dopo che progressivamente è stato
erosa e
distrutta una riforma importante che aveva trovato nella sua
costruzione la nostra partecipazione e il nostro consenso.
E per quanto
riguarda le pensioni, la decontribuzione immaginata
mette in crisi la previdenza che è stata riformata qualche anno
fa
con senso di responsabilità e ancora una volta con la
partecipazione del sindacato. Il venir meno di quei contributi
provoca un danno per i giovani e per gli anziani: i giovani non
avranno più la pensione attesa; gli anziani si troveranno di fronte
a
istituti previdenziali incapaci, per mancanza di risorse, di garantir
loro il reddito attuale e i rendimenti di oggi.
E poi, il
mercato del lavoro e i diritti, così come sono stati scritti
nella delega: cè una riduzione delle regole che inevitabilmente
produce conflitto e non efficienza del sistema produttivo. È
esplicita in quella delega lintenzione di ridurre tutte le tutele
collettive, per affermare, si dice, il principio della libertà.
Ma una
persona più sola, priva di tutele legislative e contrattuali non
è più
libera: è solo più debole e dunque può essere condizionata.
La nostra
priorità è unaltra: noi pensiamo allestensione
dei diritti,
alla loro modulazione per i nuovi lavori, per quelle tante ragazze e
quei tanti ragazzi che oggi non hanno né tutele né diritti
riconosciuti. Pensiamo a una riforma anche delle tutele, a partire
dagli ammortizzatori sociali, intrecciandoli con la formazione in
modo tale da dare a tutti la possibilità di restare nel mercato
del
lavoro, di rientrare quando vengono espulsi per una ragione
oggettiva.
Pensiamo
a un sistema universale di diritti, che valga per chi è nato
qui e per chi, essendo nato altrove, decide liberamente di venire a
vivere e lavorare qui, con lidea delluniversalità dei
diritti, con
lidea dellesercizio solidale.
Ma
ci siamo chiesti è credibile un sindacato che si batte per
queste priorità se nel contempo accetta di togliere o di alterare
diritti antichi e fondamentali per altre persone? La risposta vi è
nota. È no. Si perde la propria credibilità. Non si può
affermare di
voler dare ai giovani come noi pensiamo indispensabile dei
diritti universali e nel contempo accettare lidea di toglierli ai
padri.
Ci sono note
le caratteristiche delle proposte che il governo ha
affacciato anche a proposito della modifica dellarticolo 18. Non
cè sfuggito nulla, neanche gli aspetti più subdoli
e maliziosi.
Sappiamo benissimo che quel provvedimento agisce in parte sulle
persone che hanno già unoccupazione e un sistema di diritti
consolidato. E agisce in maniera ancor più rilevante su coloro
che
vorrebbero avere dei diritti e oggi ne sono privi, oppure su coloro
che entreranno successivamente nel mercato del lavoro.
A chi dice
quotidianamente alle persone che lavorano, che sono
tutelate, che hanno diritti: "Ma di che cosa ti preoccupi, non ci
stiamo occupando di te, vogliamo agire per rendere possibile un
lavoro per i giovani", ebbene, a chi affaccia questa idea noi
rispondiamo così: "Non cè nessun rapporto, non
cè mai stato, tra
la possibilità per unimpresa di licenziare senza una ragione
e la
possibilità per la stessa impresa di assumere delle persone".
E
aggiungiamo: "Ma qual è la prospettiva che offrite alle persone
più
deboli?" Pensate alle donne e agli uomini che lavorano in attività
sommerse, prive di tutele legislative e di tutele contrattuali. Quando
quellazienda emerge e finalmente per queste persone si apre la
prospettiva della normalità, che cosa gli prospettano? La
possibilità di essere licenziati senza giustificato motivo. Come
si fa
a sostenere che questa sia una prospettiva positiva, tale da
stimolare anche comportamenti virtuosi, in grado di favorire
lemersione?
Sappiamo
che la loro intenzione è subdola. Quello che loro
prospettano è un patto neocorporativo a quelli che sono nel
mercato del lavoro: "A voi non tocca ricaduta immediata". Lo
dicono per le pensioni, ma è facile smentire anche questa
affermazione. Lo dicono per i diritti. Perché lo fanno? Chiedono
consenso a chi è garantito a discapito di chi vorrebbe avere un
lavoro e diritti riconosciuti.
Perché
la loro cultura la loro, non la nostra è quella che
ha a
riferimento il capitalismo compassionevole, la filantropia. Noi
siamo figli dellidea della solidarietà. Nella nostra storia
chi
lavorava si batteva per acquisire diritti e lasciarli alle generazioni
che sarebbero venute dopo. Loro propongono lesatto opposto:
chiedono silenzio a chi lavora per negare diritti a chi entrerà
nel
mercato del lavoro successivamente.
Siamo stati
criticati perché, a proposito della nostra difesa
dellarticolo18, della sua efficacia, abbiamo utilizzato lespressione
"dignità negata". Non labbiamo mai fatto a caso:
né chi vi parla e
neppure nessuno delle donne e degli uomini della Cgil. Labbiamo
fatto perché non si tratta di chiedere a una persona di rinunciare
a
una condizione materiale. Non si tratta di chiedere a una persona
di rinviare nel tempo il soddisfacimento di un bisogno. Si tratta di
chiedere a una persona di essere privata del reddito e del lavoro
senza una ragione, dunque di provvedimenti che ledono la dignità
della persona.
Nel 1966,
esattamente il 27 aprile, il compagno Ugo Spagnoli
pronunciava il suo discorso nel dibattito parlamentare a
conclusione di una lunghissima, difficile, delicata discussione che
portò allintroduzione nellordinamento legislativo italiano
del
vincolo alla giusta causa nei licenziamenti. Concludeva così il
suo
intervento il compagno Spagnoli: "Tutto ciò che ci si chiede
nel
momento in cui facciamo questa legge, tutto ciò che si è
chiesto a
noi per tanti anni senza avere alcuna risposta, è la tutela di
quella
dignità umana che la dottrina cattolica considera principio e
fondamento ontologico di ogni valore umano, la più alta
prerogativa di ogni persona umana, e che per noi è il fondamento
di una concezione delluomo che vogliamo ricondurre a se stesso,
liberandolo da ogni alienazione e da ogni sfruttamento".
Io non trovo
parole migliori per dire oggi, a distanza di oltre 35
anni, delle nostre ragioni per difendere quella dignità, quella
che
passa dallaffermazione dei diritti del cittadino nei luoghi di lavoro,
quella che supera la rottura di ogni divario tra lo stato di cittadino
e
quello di lavoratore. La rivendicazione di un diritto che è sancito
dalla nostra Costituzione. Noi ci batteremo perché si estendano
questi diritti fondamentali dai padri verso i figli.
Il nostro
obiettivo in questa lotta è quello di sempre, quello che un
sindacato ha storicamente davanti a sé: il nostro obiettivo è
un
accordo che sia positivo per le persone che rappresentiamo. Con
questo spirito noi ci presentiamo sempre alle trattative, agli
incontri, ai confronti negoziali. Con lo stesso spirito, quando non ci
sono le condizioni e si interrompe una trattativa, rispondiamo con
la lotta. Perché è in questa dinamica la sostanza della
funzione più
alta del sindacalismo confederale italiano.
Un sindacalismo
che si fa carico dei problemi di molti, li
rappresenta, li media con i suoi strumenti. Un sindacalismo che per
questa ragione non ha paura dellaccordo come non ha mai avuto
paura della trattativa. E così non ha paura di ricorrere allo
strumento dello sciopero generale come faremo nei prossimi
giorni. Le nostre condizioni, le nostre richieste sono nette ed
esplicite. Se si creeranno le condizioni per il negoziato le
preciseremo ulteriormente.
Ci presenteremo
agli incontri dei prossimi giorni riconfermando il
nostro interesse a una discussione concreta che produca
cambiamenti positivi per le persone che rappresentiamo. Non
troviamo elementi condivisibili in molte delle politiche che abbiamo
contestato. Quel confronto ha una condizione di partenza: il
governo deve sapere ed è atto di responsabilità riconfermare
anche oggi qui la nostra scelta che un confronto, una trattativa
sui temi del mercato del lavoro può essere iniziato soltanto se
vengono stralciate le norme che cancellano i diritti legati allarticolo
18.
La vostra
presenza oggi è straordinaria. Sono qui tantissimi
giovani, lavoratrici, lavoratori, pensionati, tanti cittadini che non
hanno un rapporto diretto con noi, non sono rappresentati dal
sindacato. Ma sono persone che conoscono il valore dei diritti,
sanno quanto sia importante in una società avere disponibili
politiche di protezione, di tutela, che promuovano sviluppo e
occupazione, avere diritti universali, indivisibili, come sono nella
Carta dei diritti europei. I diritti sono sostanza della libertà,
della
coesione sociale e dunque della democrazia. Perciò la democrazia
si difende anche come facciano noi oggi, difendendo i diritti e la
loro universalità.
Ai tanti
che sono qui, diversi da noi, agli intellettuali, dico: "Non vi
preoccupate se vi aggrediscono. Rispondete con fermezza, come
avete fatto". Ai tanti giovani, alle ragazze e ai ragazzi dei movimenti
della pace, a coloro che vogliono regole nella globalizzazione, a
quelli che hanno a cuore,come tanti altri, le tematiche ambientali,
dico: "Continuate a rappresentare le vostre idee e le vostre istanze.
Non fatevi intimidire. Dalla Cgil avrete sempre attenzione e
rispetto. Non fatevi affascinare dallidea di rappresentarvi
autonomamente in politica. Stimolate i partiti, costringeteli a
guardare a voi, alle vostre istanze".
Tonino Guerra,
poeta romagnolo che ci è caro, ha voluto anche in
questa occasione indicarci delle belle parole per la manifestazione
di oggi. Le ha prese a prestito da un antico, sconosciuto, anonimo
poeta indiano che scrisse: "Il corpo del povero cadrebbe subito in
pezzi, se non fosse legato ben stretto dal filo dei sogni". Nei nostri
sogni cè un paese moderno e civile, con una democrazia forte
e
una società più giusta. Con il vostro coraggio, con la vostra
passione civile, quella che ci dà forza, sono sicuro che li
realizzeremo.
(23 marzo 2002)
da
http://www.rassegna.it/2002/speciali/sciopero-generale/cofferati23marzo.htm
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