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Gianfranco Pasquino, condirettore della "Rivista Italiana di Scienza Politica", è professore (NON insegna!) di Scienza politica nell'Università di Bologna e al Bologna Center della Johns Hopkins University. I suoi libri più recenti sono la Critica della sinistra italiana (Laterza 2001) e Il sistema politico italiano (Bononia University Press 2002). Gianfranco Pasquino Magari, le primarie? 1. Sono previste
elezioni primarie per qualsiasi carica monocratica di rappresentanza e
di governo. Debbono essere richieste da un minimo di cento elettori che
firmano un apposito documento. Premessa.
Dopo tanto protratto e inutile discutere, nell'Ulivo/centro-sinistra,
di primarie che, nella quasi totalità dei casi, si arrestava qualche
tempo prima della decisione, è, forse, venuto il momento di rimettere
in piedi il discorso, in maniera semplice, ma argomentata. Semplice è
il regolamento che propongo in testa a questo articolo. Argomentato è
il ragionamento che ispira la proposta, la giustifica punto per punto
e motiva i vari articoli e le diverse soluzioni prescelte. Anche se, lo
so benissimo, in questo paese il dibattito pubblico è molto raro,
spesso squilibrato, appesantito da massicce dosi di ipocrisia, alla fine
poco incisivo, continuo a pensare che fare opera di chiarezza può
servire ai cittadini, ai partiti e alla democrazia. Forse, qualcuno sarà
poi costretto ad assumersi qualche responsabilità oppure, più
raramente (le famose, famigerate e mai esperite autocritiche), se le assumerà
personalmente. D'altronde, nello spazio di neppure una settimana i lettori
dei maggiori quotidiani sono stati esposti ad un vero tripudio di consensi
(ma, anche, di capziosi "distinguo") a favore delle elezioni
primarie per la scelta quantomeno del prossimo candidato del centro-sinistra
alla carica di Presidente del Consiglio! Prima Massimo D'Alema in un'intervista
al "Corriere della Sera" (venerdì 31 maggio), poi Romano
Prodi in un'altra intervista al "Corriere della Sera" (domenica
2 giugno), poi Piero Fassino in un'intervista alla "Repubblica"
(venerdì 7 giugno) hanno variamente espresso il loro sostegno alle
elezioni primarie per la scelta del candidato a Palazzo Chigi. Prima e
dopo vi sono state affermazioni favorevoli alle primarie da parte di un
po' tutti i dirigenti dell'Ulivo e della Margherita, persino da parte
di Francesco Rutelli. Naturalmente, ci sono le solite obiezioni e c'è
anche da aspettarsi che, con il rinvio che Piero Fassino auspica a dopo
le elezioni europee, subito assecondato da Walter Veltroni, mentre la
leadership dell'Ulivo si sfilaccia, ad un certo punto qualcuno dichiarerà
che non c'è più tempo per farle. A riprova, i Democratici
e, in particolare, Arturo Parisi, dopo averle chieste a gran voce sotto
tutti i governi D'Alema, appena venne il tempo di contrapporre limpidamente
Francesco Rutelli a Giuliano Amato che, in fondo era il Presidente del
Consiglio in carica, affidarono ai sondaggi, fatti da chi?, la scelta
di Rutelli, anche perché, secondo loro, appena otto mesi prima
delle elezioni del maggio 2001, non c'era più tempo per fare le
primarie. Invece, e questo elemento va sottolineato, non soltanto il tempo
c'era eccome, ma primarie limpide, che Giuliano Amato avrebbe dovuto esigere
prima di cedere, mestamente, il ruolo di sfidante a Rutelli, e che lo
stesso Rutelli avrebbe dovuto volere, per non apparire "paracadutato",
avrebbe consentito di creare tensione, ma anche entusiasmo nell'abbacchiato
elettorato dell'Ulivo e di rendere molto visibili le personalità
dei candidati e le loro proposte programmatiche. In assenza di primarie,
la partenza della campagna elettorale dell'Ulivo che, comunque, avvenne
soltanto a metà gennaio 2001 (e tra settembre e dicembre 2000 buone
primarie si sarebbero potute tenere), fu lenta e moscia. Sugli esiti tralascio. Punto primo.
[Tipograficamente mi sembrerebbe efficace ripetere il punto del regolamento]
Le elezioni primarie per la scelta dei candidati alle cariche monocratiche
non sono un feticcio. Esistono diverse alternative che non lasciano il
potere nelle mani di pochi dirigenti a vita di piccole organizzazioni
burocratiche con grandi propensioni a sbagliare. Ad esempio, in qualche
comunità molti riconoscono doti naturali di leadership e di autorevolezza
nonché qualità di competenza e di rappresentanza ad alcune
persone. Sarebbe una vera perdita di tempo fare le primarie con l'esito,
magari, di indebolire quelle particolari candidature. Si possono organizzare
tutt'altro che disprezzabili focus groups dai quali fare emergere il profilo
giusto del candidato vincente per una carica precisa. Qualche volta si
potrebbe, persino, ricorrere ai cosiddetti "saggi", una variante
dei famosi "passi indietro" che i partiti annunciano senza mai
compiere, pur consapevoli del fatto che anche i saggi debbono essere individuati,
reclutati e, poi, ascoltati --e, sicuramente, la capacità d'ascolto
dei dirigenti del centro-sinistra non sembra elevatissima. Infine, poiché
un ritornello classico, ma davvero stucchevole, dei dirigenti del centro-sinistra
è che, fra di loro, molti hanno qualità di leadership, molti
costituiscono "risorse" per la coalizione, si può anche
pensare ad un metodo tutt'altro che inusitato quando si deve scegliere
fra "pari": una bella lotteria, l'estrazione a sorte da un pool
di candidati tutti egualmente apprezzabili. Dunque, è sicuramente
possibile scegliere bene (preciserò poi che cosa intendo con questo
avverbio) i candidati alle cariche di sindaco, di presidente della provincia,
di presidente della regione, di deputato e di senatore e, persino, di
capo del governo. E' possibile, ma, poiché il centro-sinistra non
ha affatto dato buona prova di sé in questa delicata attività,
il problema da risolvere, non soltanto per individuare candidati vincenti,
ma per procurare sostegno convinto (qui siamo già nel "bene"),
è proprio quello delle modalità migliori, e migliori, eventualmente,
delle primarie (come è arcinoto, nessuna di queste è stata
la ragione per le quali si sono tenute bizzarre elezioni primarie per
la scelta del candidato/a sindaco di Bologna. La sconfitta non fu del
tutto inattesa. Stava, in verità, nelle cose, nelle procedure,
nelle manipolazioni e negli errori: Baldini, Corbetta e Vassallo, 2000).
Le affollate tavolate di dirigenti-selezionatori del centro-sinistra hanno
scelto candidati poco rappresentativi, quelli paracadutati, e poco vincenti:
a ciascuno il suo esempio a tutti i livelli. Hanno, dunque, da questa
limitata, ma importante, prospettiva, quella della vittoria, scelto male,
molto male. La procedura -rapporti di forza e esercizio di qualche potere
di ricatto, magari sotto l'egida di pari dignità oppure di rappresentanza
di culture e di identità--, e l'esito, le sconfitte frequenti,
continuano a lasciare moltissimo a desiderare. Infatti, molti, soprattutto
fra i cittadini, desiderano qualcos'altro. Poiché molti elettori
del centro-sinistra ritengono di essere cittadini consapevoli, sono spesso
informati, hanno conoscenze politiche, desiderano partecipare (ITANES
2001) e poiché la partecipazione attiva e incisiva, influente e
decisiva è considerata, in particolare nello schieramento di sinistra,
un valore, le primarie consentono per l'appunto di mettere in pratica
questo valore, di metterlo a disposizione di tutti coloro che lo desiderino.
Dunque è opportuno che i cittadini le attivino loro stessi. Se
nessuno le vuole, pazienza. Potrebbe esserci già un ottimo candidato/a;
un ottimo parlamentare; un ottimo Presidente del Consiglio in carica
Se no, il numero di coloro ai quali va consentita l'opportunità
di attivarle va accuratamente calibrato. Non deve essere troppo basso,
perché diventerebbero troppo facili le candidature folcloristiche
di coloro che vogliono semplicemente farsi un po' di pubblicità,
pur non avendo nessuna chance di ottenere la nomina, oppure che intendono
farsi vedere a futura memoria, cioè per concorrere ad altre cariche,
oppure che entrano in lizza soltanto per acquisire un po' di potere di
contrattazione (tipo: "io rinuncio qui se
"; oppure, "questa
volta ti faccio convergere i miei voti purché tu
").
Non deve neppure essere troppo elevato perché, altrimenti, a raccogliere
un numero elevato di adesioni potrebbero riuscirci soltanto le organizzazioni
partitiche e sindacali. Naturalmente, il numero di firme deve essere commisurato
al numero degli elettori. Qui e negli altri articoli il numero è
quello che ritengo plausibile a livello di una città di tre/quattrocento
mila abitanti. Punto secondo. Non voglio imbarcarmi in una discussione socio-psicologica sugli obiettivi che donne e uomini perseguono per rendere la loro vita divertente, utile, sopportabile, gratificante e così via. E' improbabile, però, che non esistano donne e uomini che non desiderino, quando sono in determinate condizioni sociali, di acquisire un po' di potere politico con motivazioni, a seconda dei casi, molto varie: per mettere alla prova le loro competenze; per rappresentare gruppi; per dare voce ad organizzazioni; per diffondere una visione del mondo; per cambiarlo, il mondo; per, qualunque cosa voglia significare, "spirito di servizio". Bisognerebbe diffidare di coloro che dicono di volere fare politica, ma sostengono di non avere ambizioni personali. Sono proprio gli ambiziosi che offrono qualche garanzia di prestare attenzione ai loro elettori, anzi, a tutti gli elettori, a qualsiasi livello di governo, e lo faranno perché vogliono mantenere/acquisire il consenso indispensabile ad essere rieletti. Tuttavia, sarà bene commisurare le proprie ambizioni ai propri meriti e, pur essendo molto positivo il fatto che si presenti una pluralità di candidati per le primarie, è necessario effettuare una scrematura preliminare fra gli ambiziosi, i carrieristi e i "credenti". Propongo due piccoli meccanismi. Il primo è ancora una volta un numero minimo di firme, per il quale vale il discorso già accennato: mai né troppe né troppo poche, con il punto di equilibrio che va trovato e cercato di volta in volta a seconda delle cariche e dei luoghi. Il secondo è un deposito cauzionarlo non troppo elevato da renderlo irraggiungibile da candidati non danarosi, ma non troppo basso da consentire, non tanto a chiunque, di presentarsi, ma da impedire che vi sia qualcuno che, per una pluralità di ragioni, fra le quali il calcolo di indebolire un candidato che entri in competizione proprio nella sua area politica, finanzi la partecipazione di candidati che pur non potendo vincere, risultano in grado di indebolire/affondare candidature più forti, ma sgradite ai finanziatori danarosi. Almeno paghino per questo loro intervento non del tutto esente da critiche, ma, purtroppo, inevitabile. Il resto lo farebbe, comunque, il confronto fra candidati. Punto terzo.So
già che si parlerà di intollerabile discriminazione, di
vento dell'antipolitica, di malposta critica dei partiti e dei loro poveri,
affannati, affaticati funzionari (ma, non si perda il fatto che questo
vento e questa critica sono anche antisindacali!) che si sacrificano,
a scapito della loro vita personale, per il bene comune, della causa,
del paese e che, tutto sommato sono uomini, molti, e donne, pochissime,
come gli altri, e che, naturalmente, la politica, anche come professione/mestiere,
è un'attività come le altre, anzi, addirittura più
nobile delle altre. Finito il diluvio di banalità, sempre meno
tollerabili quando provengono da un ceto di "garantiti" benestanti
che fanno muro contro qualsiasi cambiamento, e finite anche le più
o meno abili e interessate, ma certamente non gratuite, difese d'ufficio
di alcuni giuristi che sosterranno che questo articolo deve essere addirittura
considerato incostituzionale, nient'affatto intimorito, argomenterò.
Vorrei, anzitutto, chiamare a mio sostegno un padre della scienza politica
che di partiti se ne intendeva. Pertanto, definirò questo divieto
di partecipazione alle primarie dei segretari di partito e di sindacato
e dei componenti delle loro segreterie "la lezione Roberto Michels".
Mi richiamo al classico La sociologia del partito politico e alla "legge
ferrea dell'oligarchia". Chi ha letto Michels (1966), ma tutti fanno
ancora a tempo, dovrebbe sapere che un piccolo gruppo di uomini (e donne)
che dispone di tutto il tempo delle sue giornate di "lavoro",
che occupa una posizione centrale nella rete di comunicazione di un partito
o di un'organizzazione sindacale, che ha segreterie, telefoni, computer,
che decide dell'assegnazione di candidature, di cariche, di risorse finanziarie
e, persino, della scelta degli oratori alle feste dei partiti, è
in grado di fare il bello e il cattivo tempo sia in qualsiasi partito
sia in qualsiasi organizzazione sindacale. E ne approfitta regolarmente.
Dunque, è perfettamente piazzato per rivendicare altre cariche
che, infatti, basterebbe guardare al cosiddetto cursus honorum dei segretari
di partito, ottiene in pratica come e quando vuole, senza nessuna difficoltà,
salvo qualche imprevedibile interferenza degli elettori. Punto quattro. E' davvero una questione di lana caprina chi debba essere autorizzato a votare nelle primarie. Tutti coloro che sono elettori nella zona/collegio/circoscrizione nella quale si terranno le elezioni amministrative e politiche godono automaticamente del diritto di votare nelle primarie, esibendo i soliti documenti: carta di identità o simile e libretto elettorale (quando verrà il tempo anche le impronte digitali) . Non credo molto alle infiltrazioni del nemico, vale a dire di elettori dello schieramento opposto che cerchino di influenzare la scelta del candidato e che riescano a imporre la vittoria proprio del candidato/a che, presumibilmente, il candidato dello schieramento del loro"cuore" avrebbe maggiori probabilità di sconfiggere: davvero una eccellente, ma difficilissima, interpretazione del voto "strategico". Sui piccolissimi numeri questo esito potrebbe teoricamente essere conseguito. Anche allora, però, la responsabilità sarebbe sostanzialmente degli elettori del centrosinistra che non si sono mobilitati. Comunque, l'iscrizione in un registro a disposizione del pubblico, giornalisti compresi, di chi ha votato, il pagamento di una somma che, al momento è simbolica, ma potrebbe essere resa più alta (ma non troppo alta per non favorire quei candidati che potrebbero volerla pagare per gli elettori che dichiarino di volerli votare) e, infine, il facile riconoscimento degli elettori dell'altra parte e la loro esposizione al ludibrio dovrebbero essere misure sufficienti a sventare qualsiasi tipo di manipolazione. Ad ogni buon conto, è un rischio che si può correre. Punto quinto. In linea di massima considero assolutamente improbabile che emergano candidature, anche folcloristiche, di persone che non siano già in qualche modo più o meno note nella zona, nel collegio, nella circoscrizione nei quali si terranno primarie. Salvo casi rarissimi, persino le candidature di outsider, proprio perché curiose, originali, inaspettate, interessanti, attrarranno l'attenzione dei mass media e quindi non resteranno prive di audience. Fra l'altro, le primarie in zone omogenee consentono una rapida circolazione delle informazioni e non impediscono a nessuno di farsi una sana propaganda personale. E, naturalmente,.anche i partiti e i sindacati e le varie associazioni possono organizzare, nelle loro sedi, tutti gli incontri che vogliono con tutti i candidati che vogliono. Partiti, sindacati e associazioni decideranno se rispettare oppure no la parità di condizioni, e i mass media giudicheranno dell'equanimità di tutti loro e dei loro dirigenti (come si vede, una ragione in più per escludere dalle primarie segretari e collaboratori in carica, per non mettere in imbarazzo gli organizzatori degli incontri). In pubblico, però, tutti i dibattiti, preferibilmente pochi, preferibilmente centrati proprio sulla candidatura: vale a dire perché scegliere quel candidato rispetto a tutti gli altri, quindi dibattiti sulle biografie, sulla rappresentanza/rappresentatività e sulle proposte, dovrebbero tenersi in sedi pubbliche offerte dai comuni oppure appositamente affittate. Per non logorare i potenziali elettori, il numero dei dibattiti pubblici dovrebbe essere molto contenuto. Azzardo: non più di tre. Il resto è spreco di tempo, di energie, di denaro e forse produttore di noia e di confusione. Punto sesto.
All'idea di primarie secche: una volta sola in un luogo solo in un colpo
solo, qualcuno contrappone la proposta di un "percorso" articolato
e diluito nel tempo che contempli più passaggi, più riunioni,
più votazioni, addirittura l'elezione di delegati ai vari livelli
fino a culminare in un'assemblea happening, presumibilmente di festosa
(?) incoronazione, probabilmente, se si vogliono evitare stalli, senza
vincolo di mandato: decideranno i delegati come comportarsi una volta
sconfitti e usciti di scena ad un certo punto del percorso i candidati
per sostenere i quali erano stati eletti. Secondo i suoi sostenitori,
il "percorso" avrebbe almeno tre meriti: 1) sarebbe coinvolgente
e quindi farebbe aumentare la partecipazione; 2) diffonderebbe informazioni
sui candidati e più in generale sulla politica e sui programmi;
3) darebbe un impulso comunicativo tale da raggiungere anche elettori
che non partecipino alle primarie. Poiché sono dell'idea che questi
tre potenziali, molto potenziali, meriti siano di gran lunga inferiori
ai rischi, argomenterò, invece, il caso a favore di una unica sede,
una unica votazione, una decisione secca. Peraltro, come si vede dal testo
del mio articolo, la decisione non sarebbe secchissima ma, se nessuno
dei candidati ottiene la maggioranza assoluta, contemplerebbe un ballottaggio
per preparare il quale appare evidente che si dovranno stringere accordi
e, al limite, giungere trasparentemente, fra candidati della stessa area
di preferenze e proposte, a desistenze (chi desiste dovrebbe spiegare
a favore di chi e perché in maniera tale da convincere i suoi elettori
a spostarsi in maniera coordinata e efficace).
Baldini, G., Corbetta, P e Vassallo, S. (2000) La sconfitta inattesa. Come e perché la sinistra ha perso a Bologna, Bologna, Il Mulino. ITANES (2001) Perché ha vinto il centro-destra, Bologna, Il Mulino. Michels,
R. (1966) La sociologia del partito politico, Bologna, Il Mulino (prima
ed. 1911).
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