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04-01-2002 - L'Espresso Giampaolo Pansa

Le tangenti della nuova era

Era uno dei potenti di Torino il dottor Luigi Odasso, 52 anni, medico, direttore generale dell'ospedale delle Molinette. Poi, la mattina di mercoledì 19 dicembre, il suo impero gli è cascato addosso mentre incassava una tangente di quindici milioni, in banconote di piccolo taglio. La dazione, per usare un termine dipietrista, si era compiuta nel suo ufficio, spiato da due micro-telecamere collocate dalla Guardia di finanza per ordine della procura torinese. Una scena che ricorda l'arresto del socialista Mario Chiesa, quasi dieci anni fa. Ma allora l'ambiente era quello della piccola Baggina, mentre lo sfondo del dottor Odasso è di una grandiosità che lascia turbati: le mitiche Molinette, ospedale universitario, quasi seimila dipendenti, 98 reparti, 1.537 posti letto, uno dei motori economici della capitale subalpina.

Alla guida di questo colosso, Odasso era arrivato per le sue doti, prime fra tutte un decisionismo in apparenza positivo e una formidabile capacità di lavoro. Ma di certo gli aveva giovato anche il pedigree politico: democristiano, figlio del sindaco dicì di Nizza Monferrato, quindi iscritto a Forza Italia e fedelissimo di Enzo Ghigo, il governatore forzista del Piemonte. Era stato Ghigo a volerlo in quell'incarico, nell'ottobre 1998, con l'avallo dell'assessore regionale alla Sanità, Antonio D'Ambrosio, di An. L'Ulivo, più volte, s'era azzardato a domandare chiarimenti sull'attività di Odasso. Ma la giunta di centro-destra aveva sempre fatto quadrato. Oggi Ghigo si dice «esterrefatto» e «tradito». E spiega che con il capo delle Molinette «c'era un rapporto di fiducia da parte di tutta la maggioranza».

Bisogna annotarle e ricordarle, queste cosucce. Soprattutto all'alba di un 2002 che vede il centro-destra presentarsi come l'impero del bene, contrapposto a quello del male, zeppo di comunisti e di giudici complottatori. Ma qui di complotti non c'è traccia. Il dottor Odasso ha confessato la tangente ripresa dalle telecamere e anche altri malloppi. E così, ai suoi sponsor politici, non è rimasto che appigliarsi alla speranza della pecora nera in un gregge tutto bianco. Intervistato dalla "Stampa", un Ghigo depresso ha risposto: «Una nuova Tangentopoli? Mi auguro di no. Certo, ci troviamo di fronte a un brusco risveglio. È un brutto episodio, ma credo che si tratti di un fenomeno isolato».

Il presidente Ghigo, persona perbene, non me ne vorrà se dico che la sua risposta ricorda maledettamente quella di Bettino Craxi dopo l'arresto di Chiesa: «È un mariuolo isolato, e questo fatto grave non può deturpare l'immagine socialista». Parole pronunciate il 27 febbraio 1992, mille anni fa. Sì, mille anni e non dieci: un tempo immenso, che ha invaso di nebbia nerastra la memoria di tanta gente. E quando la memoria fa cilecca, accade che, anche su giornali specchiati, giornalisti altrettanto specchiati rifilino ai loro lettori giudizi stupefacenti.

Mi ha lasciato stupefatto quello contenuto nel fondo della "Stampa" di giovedì 20 dicembre, scritto da Pierluigi Battista. A sentir lui, la tangente odassiana «sbriciola in un istante la mitologia del rogo purificatore, la retorica di Mani pulite come nuovo inizio, azzeramento del passato, sradicamento della corruzione». Sino a «rendere ancor più inautentica la leggenda che molti hanno voluto raccontare agli italiani: quella di un bagno detergente affidato all'iniziativa giudiziaria più che alla volontà dei cittadini. Come se delegare ai giudici la missione dei vendicatori, fosse sufficiente all'intera società per mondarsi dei propri peccati e riscattarsi da un passato impresentabile».

Obiezione, vostro onore! Punto primo: non era l'intera società italiana a mangiare alla greppia tangentizia, bensì soltanto i partiti e gli imprenditori che campavano grazie al sistema del malloppo. Ricordate il vecchio adagio sul potere mafioso? Quando si comincia col dire: tutto è mafia, si finirà per sostenere che niente è mafia. Punto secondo: che cosa poteva fare «la volontà dei cittadini» contro quell'andazzo sempre più devastante che durava da anni? Assolutamente niente, tranne che accumulare rancore e disprezzo per il sistema partitico. Non restavano che i magistrati. Per fortuna si mossero, sia pure con enorme ritardo. E tentarono una pulizia che durò lo spazio di un mattino, due anni o poco più.

Il «rogo purificatore» diventò presto un cumulo di cenere. E questo avvenne, ecco il terzo punto, perché i partiti più forti, i vecchi e i nuovi, volevano la morte rapida di Mani pulite. Mille anni fa l'ho visto con i miei occhi quell'assassinio a più mani: al centro, a destra e a sinistra, la nomenklatura politica, sia pure con intensità diversa, odiava i giudici «purificatori», li voleva al tappeto, spasimava per chiudere la faccenda e tirare avanti al solito modo. Esiste una prova-regina di questo: dal 1992 in poi, nessun governo ha voluto condurre in porto delle vere leggi anti-corruzione.

L'aria che spira oggi è ancora più fetida. Le procure sono viste come covi di talebani sanguinari. C'è il politico, per esempio Silvio Berlusconi, che lo grida. E c'è quello che si limita a pensarlo. Nel frattempo, è andato al potere un ceto nuovo, che comincia a secernere i suoi Odasso. Il caso di Torino è il primo di questa nuova era. E non sarà di certo l'ultimo.

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