Percorso:
24 Gennaio 2008 ore 15.00 Intervento delle del Presidente del Consiglio
Romano Prodi al Senato

Signor Presidente del Senato, Signore Senatrici, Signori Senatori,

sono qui a riferire al Senato sulla crisi politica che si è aperta qualche giorno fa e sulla quale sono già intervenuto alla Camera ricevendo la fiducia.

Come avevo detto nell’Aula di Montecitorio, questa doveva essere l’occasione per parlare di giustizia, tema al quale si è intrecciata negli ultimi giorni la vicenda politica che ha spinto una forza della maggioranza ad aprire la crisi.

Su quella vicenda mi sono già espresso sia sul piano personale che istituzionale, assumendo l’interim di un Ministero che ha operato con grande competenza, e correttezza nei primi 20 mesi di questo Governo. Ma è giusto ribadire anche qui, e davanti allo stesso ex ministro Mastella, la solidarietà mia e del governo verso il senatore Mastella e contro le strumentalizzazioni che si sono moltiplicate con vergognoso opportunismo.

La relazione sullo Stato della Giustizia, frutto del rigoroso lavoro del dicastero e condivisa pienamente dal Consiglio dei Ministri l’avete letta ed è a vostra disposizione, ma lasciate che ribadisca, ancora una volta, l’importanza di un testo che mette in evidenza le luci e le ombre della giustizia italiana nella difficile fase storica che stiamo vivendo; che dà forte sostegno ai giudici, ai quali come potere e come ordine va l’apprezzamento e la riconoscenza del Paese. Una relazione che chiede alla classe politica e al Parlamento un eccezionale impegno.

La Relazione sullo stato della Giustizia è a vostra disposizione così come lo sono le mie comunicazioni dell’altro giorno alla Camera. Vorrei però soffermarmi sulle ragioni politiche e costituzionali che mi hanno portato al Senato oggi.

Si parla molto e da molto tempo di riforma costituzionale. Ed è vero che le istituzioni della politica - nelle norme costituzionali, ma anche nella legge elettorale e nei regolamenti parlamentari – sono tra le cause prime della paralisi dell’azione di governo e del pericoloso distacco tra cittadini e classe politica. Mi si permetta di osservare che è però prima di tutto necessario rispettare e applicare la nostra Costituzione.

Voglio dire di più: sarebbe necessario innanzitutto rileggere la nostra Costituzione con lo spirito con cui i padri costituenti la scrissero. Non vi troveremmo, se la rileggessimo così, la debolezza dell’Esecutivo che paralizza chiunque segga a palazzo Chigi; non l’ammissibilità di voti di sfiducia individuali nei confronti di singoli ministri; né la prassi delle crisi extraparlamentari; né l’asservimento dell’informazione pubblica al potere politico.

Torniamo dunque con rispetto alla Costituzione del 1948: ecco un’altra degna celebrazione del sessantennio che ricorre in questi giorni.

La nostra prassi costituzionale, la nostra stessa lettura della Carta del 1948, è rimasta quella che si era formata in un’epoca che va sotto il nome di prima repubblica: vera sede del potere erano i partiti; la continuità indispensabile a un esercizio efficace del potere era fondata sull’assenza di alternanza; i governi erano scelti non dai cittadini, ma da strutture di partito sottratte al controllo e ai rischi di un voto popolare; la composizione dei governi era stabilita dalle segreterie dei partiti.

Oggi, in un’epoca di alternanza e di affidamento agli elettori della scelta del governo, quelle prassi sono residui del passato che impediscono al sistema politico di operare in modo efficace al servizio dei cittadini.

Tutte le istituzioni dello Stato devono allora impegnarsi innanzi tutto a stabilire prassi costituzionali e modi di funzionamento dell’Esecutivo e del Legislativo più coerenti con le esigenze dell’oggi e, ne sono convinto, corrispondenti alla volontà dei padri costituenti.

Anche per questo ho deciso di essere qui oggi e di chiedere un voto esplicito e motivato, a ciascuno di voi.

Nessuno può sottrarsi, nel momento in cui si adopera per far cadere un governo, al dovere di indicare, nella sede stessa da cui il Governo trae la sua legittimazione, quale altro Governo, quale altra maggioranza, quale altro programma intende istituire al posto di quelli che - in conseguenza di una scelta fatta dagli elettori - sono legittimamente in carica.

Un dibattito come questo deve essere un momento di costruzione, non può e non deve essere solo un possibile momento di distruzione.

Io sono qui oggi, dopo il voto alla Camera che ha riconfermato la fiducia al Governo, per assumermi di fronte a voi tutte le responsabilità che mi competono ma anche per chiedervi di giudicare il lavoro svolto da questo esecutivo con pari senso di responsabilità.

Il Paese ha, più che mai, bisogno di essere governato; ha bisogno di continuità nell’azione di governo; non può permettersi un vuoto di governo.

L’Italia ha infatti di fronte a sé tre emergenze.

C’è una emergenza sul piano delle istituzioni, con la necessità innanzitutto di riformare la legge elettorale. Ho più volte ribadito il mio impegno affinché ci sia il tempo per evitare al Paese di ricadere in un voto che lo condanni all’ingovernabilità.

C’è un’emergenza sul piano della politica internazionale, scenario sul quale abbiamo finalmente cominciato a muoverci con coerenza e rispetto e nel quale siamo impegnati con alte responsabilità.

E c’è un’emergenza sul piano dell’economia, perché anche i grandi risultati ottenuti possono essere vanificati rapidamente se non si persegue con rigore la strada giusta.

L’Italia ha un grave ritardo da recuperare e, dopo due anni di crescita soddisfacente, rischia di trovarsi in una congiuntura mondiale avversa nella quale tutto può farsi più difficile: l’instabilità finanziaria e l’aumento dei prezzi internazionali, il rallentamento della crescita del mercato mondiale e le tensioni protezionistiche.

Queste difficoltà noi le affrontiamo con strutture economiche ancora da irrobustire, con scuole e università inadeguate ai tempi, con il peso enorme del debito pubblico, con uno stato sociale incompleto e con disuguaglianze inaccettabili.

In venti mesi abbiamo fatto tangibili progressi nel porre rimedio a queste carenze; arrestare per mesi l’azione di governo è un lusso che l’Italia non si può permettere.

Per questi motivi vi chiedo la fiducia assicurandovi che sono ben consapevole che il Governo stesso dovrà rafforzare le sue capacità decisionali, snellire le sue procedure, migliorare la sua resa, forse ridefinire le sue strutture e la sua medesima composizione.

In una parola: chiedo a ciascuno di voi, Onorevoli Senatrici e Senatori, fiducia per riprendere con rinnovato slancio e con nuova consapevolezza un processo riformatore di portata amplissima di cui il Paese ha urgente bisogno.

Replica delle ore 17:45

Signor Presidente del Senato, Signore Senatrici e Signori Senatori,

ho ascoltato con rispetto e attenzione il dibattito dell’Aula, traendone la conferma più importante. E cioè quanto fosse giusto essere qui oggi per confrontarci. Questa è la democrazia!

Come ho già detto questo pomeriggio, sono qui per il rispetto che nutro per il Parlamento e per il vostro impegnativo ruolo. Sono qui per testimoniare ancora una volta le molte cose fatte dal nostro Governo e ribadire la necessità di continuare ad operare per un futuro di riforme e di sviluppo.

Essere in quest’aula oggi, dunque, non è un gesto di testardaggine. Si chiama semplicemente coerenza.

Coerenza per il lavoro svolto e verso gli impegni presi, da tutta l’Unione, per un patto di legislatura che facesse ripartire il Paese e lo disincagliasse dalle secche dell’immobilismo.

Sono qui perché, come ho già detto e ripetuto, ogni crisi deve essere affrontata a viso aperto e non nei corridoi. Perché c’è il luogo dove questo deve avvenire. Questo luogo si chiama Parlamento, sede della rappresentanza democratica dei cittadini.

Ho profondo rispetto per le istituzioni. E ce l’ho a tal punto da mettere di fronte al vostro giudizio non solo l’operato di un Governo che ha conseguito risultati progressivamente positivi sul piano economico e internazionale, ma anche la stessa coerenza politica che ha accompagnato questi anni di mio impegno diretto e totale.

Il nostro è un Governo votato dai cittadini sulla base di un patto di legislatura e di un Programma sottoscritto convintamente da tutte le forze dell’Unione.

Siamo a meno di metà di quel cammino e i risultati sono convincenti. Abbiamo rimesso in piedi il Paese, facendolo uscire dalle emergenze economiche e internazionali. Da due anni la nostra crescita si attesta sui livelli massimi dell’ultimo decennio, abbiamo ripristinato l’avanzo primario, il debito cala costantemente. E abbiamo cominciato, in modo onesto e responsabile, a redistribuire risorse alle famiglie, ai lavoratori e ai pensionati.

Grazie a una politica estera e di sicurezza coerente, abbiamo saputo chiudere senza sbavature l’avventura in Iraq e guidare il processo che ha portato alla missione di pace in Libano. Lavoriamo per la pace su molti scenari difficili e alla pace abbiamo dedicato gran parte del nostro impegno, operando con successo per la moratoria sulla pena di morte.

Stiamo combattendo con efficacia la criminalità organizzata, abbiamo cominciato a far pagare le tasse a chi non lo faceva, impegnandoci contro la precarietà, la disoccupazione e le ingiustizie sociali.

Abbiamo saputo lottare contro i corporativismi e a favore delle liberalizzazioni, investito sulla ricerca e restituito certezze sul senso di equità e di giustizia.

L’elenco delle politiche a favore delle famiglie e dei giovani, il nostro vero futuro, sarebbe lungo. Voglio soffermarmi su un bene primario come la casa: abbiamo tagliato l’Ici, lanciato un grande piano di edilizia popolare, agevolato gli affitti per le coppie e gli universitari.

Il nostro è un Governo che vuole tutelare l’ambiente senza demagogie o preconcetti. Affrontando le emergenze senza addossare come sarebbe facile le colpe al precedente governo, ma assumendosi responsabilità serie.

Aver combattuto i privilegi e tagliato i costi della politica non è stato un gesto per cercare il consenso verso un’opinione pubblica offesa da quegli eccessi di casta che non vogliamo ci appartengano. Solo dando l’esempio si ottengono risultati per tutti.

Questo è un Governo che, dopo i sacrifici della prima Finanziaria, obbligata dalla gestione dissennata di chi ci ha preceduto, ha risanato i conti pubblici e tagliato la spesa e adesso, con la legge Finanziaria 2008 e dopo il grande accordo sul welfare votato da cinque milioni di lavoratori e di pensionati, è pronto a diminuire le tasse e aumentare i redditi dei lavoratori garantendo anche un aumento della produttività, come testimonia il recentissimo accordo per il contratto di lavoro dei metalmeccanici.

Ecco, questa è la sintesi dell’attività di Governo che presento con soddisfazione anche a voi, come ho fatto alla Camera ottenendo un largo voto di fiducia.

Ma non sono qui solo per raccontarvi cosa è stato fatto, anche se la strada da compiere è molta e le prospettive sono positive.

Come ha giustamente osservato il Presidente della Repubblica ieri parlando alle Camere riunite per celebrare il sessantesimo anniversario della nostra Carta fondamentale, c’è bisogno di riforme. Riforme che non guardino ai personalismi o alle opportunità contingenti ma che abbiano il respiro alto della politica “per”, non dell’accordo “contro”.

Come ho più volte ripetuto, è mia convinzione profonda che l’attuale legge elettorale abbia inferto un colpo decisivo alla governabilità del Paese. Per questo motivo ho accolto e condiviso la sollecitazione del Presidente della Repubblica per una riforma che eviti al Paese di andare ancora una volta al voto con la legge elettorale vigente.

Questo tanto più in presenza della richiesta di referendum popolare abrogativo.
Siamo dunque di fronte a una scelta da compiere senza titubanze. Proprio quest’Aula, in questi 20 mesi, ha mostrato troppe volte all’Italia e al mondo il volto di una contrapposizione senza limiti. Nonostante il lavoro infaticabile di tutti voi, maggioranza e opposizione, siete stati costretti dagli eventi a dare spesso l’immagine di un’arena più che quella dello scrigno della democrazia.

Questo non è giusto e non è accettabile. Non lo è per me, per voi, ma soprattutto per il Paese. Abbiamo il diritto e il dovere di mostrare ai nostri figli e alle nuove generazioni la strada per il futuro, una strada fatta di risorse, di opportunità ma anche e soprattutto di regole.

In queste ultime ore ho letto e ascoltato ricostruzioni fantascientifiche e scenari medievali. Si è parlato di ricatti, di minacce, di profferte. Tutto questo è fango puro non su di me o su altri esponenti politici. E’ fango sull’Italia e sulla democrazia!

Dobbiamo smetterla di pensare alla politica come a un “mestiere”. La politica è impegno, servizio, dovere. Solo così sapremo e potremo togliere questo fango ingiusto da tutti noi. Solo così potremo restituire alla parola politica il suo senso più alto, quello della partecipazione.
Per questo, signor Presidente e signori senatori sono qui oggi. Perché non si fugge davanti al giudizio di chi rappresenta il popolo. E perché questo popolo ci guarda.

L’Italia, ne sono fermamente convinto, ha bisogno di proseguire il suo virtuoso cammino di riforme economiche e sociali, affiancando ad esse un deciso percorso di riforme istituzionali che, nel solco della Costituzione, punto di riferimento del nostro agire, sia all’altezza delle sfide che ci attendono.

Anche per questo, soprattutto per questo, chiedo a ciascuno di voi il voto di fiducia.