Tesi n° 32
Finanza sana per uno Stato sano
Nell'ultimo quindicennio si è avuto un aumento senza precedenti dell'interdipendenza fra
sistemi economici nazionali, determinato dalla globalizzazione dei mercati finanziari e
dall'abbattimento delle barriere commerciali. Il mercato unico accentua, e rende
irreversibile, la spinta all'integrazione delle economie europee. La partecipazione
all'Unione Europea impone un processo di convergenza alle condizioni prevalenti nelle
economie più forti e più stabili. In conseguenza, si riducono gli spazi di autonomia
delle politiche macroeconomiche nazionali: i tentativi di espansione economica attraverso
politiche monetarie e di bilancio in un solo paese non sono sostenibili; cresce
l'importanza delle politiche microeconomiche; una crescita sostenibile richiede inflazione
bassa, cambio stabile e assenza di squilibri strutturali di finanza pubblica, e
credibilità delle politiche economiche.In Italia, l'inflazione è stata più alta e variabile, il
cambio si è deprezzato, il debito pubblico ha raggiunto limiti allarmanti. Questa
devianza non trova compensi in una crescita più elevata, in un miglioramento nella
dotazione di infrastrutture, in una riduzione delle disuguaglianze sociali e territoriali,
in una minore disoccupazione. Il debito e la spesa per interessi irrigidiscono la finanza
pubblica; impongono oneri alle nuove generazioni; rappresentano un costo per le imprese.
In conseguenza, in Italia i gradi di
libertà delle politiche macroeconomiche sono ancor più esigui. Il controllo
dell'inflazione e la prosecuzione dello sforzo di risanamento della finanza pubblica
rappresentano due vie obbligate, dalle quali non si può deviare. Queste costrizioni non
derivano solo dai vincoli del Trattato di Maastricht per l'adesione all'Unione Economica e
Monetaria. Un'inflazione elevata e variabile è comunque dannosa. Un allentamento della
guardia sul fronte della finanza pubblica produrrebbe comunque più alti tassi d'interesse
e il rischio di crisi finanziarie. Una nostra estraneità al processo di convergenza verso
l'Unione Monetaria aumenterebbe questi costi: restare ai margini della costruzione
europea, di cui l'Unione Monetaria costituisce una tappa, provocherebbe danni
irreversibili alle possibilità di sviluppo e alla stabilità economica.
Il controllo dell'inflazione deve essere
conseguito attraverso l'uso congiunto di tre strumenti.
Deve essere proseguita la politica dei
redditi impostata con gli accordi del 1992 e del 1993, che ha consentito di contenere i
costi della svalutazione in termini di inflazione. La prassi della concertazione con le
parti sociali deve restare a fondamento della politica per la stabilità monetaria. Essa
non implica che il governo abdichi alle sue responsabilità; consente piuttosto di
ottenere soluzioni cooperative, che, attraverso la convergenza negoziata di comportamenti
liberamente adottati dalle parti, producano esiti desiderabili ma non raggiungibili
altrimenti.
L'indipendenza della Banca centrale nel
perseguire l'obiettivo di disinflazione deve essere mantenuta e, semmai, rafforzata.
Quanto più una banca centrale è credibile, tanto minore è il costo di una politica
monetaria che assuma come fine preminente la stabilità dei prezzi: gli scomposti attacchi
mossi in passato contro la Banca d'Italia hanno certamente reso più difficile l'opera
delle autorità monetarie.
Si deve portare a termine nei prossimi due
anni il risanamento della finanza pubblica, per persuadere i mercati che le esigenze di
bilancio non interferiranno con l'autonomia della politica monetaria.
La finanza pubblica italiana ha intrapreso
dal 1992 un cammino di risanamento: al netto degli interessi, il bilancio del settore
statale e quello delle pubbliche amministrazioni ha un avanzo strutturale; dal 1994 la
spesa pubblica si riduce in quota del prodotto interno lordo. Il Documento di
Programmazione economico-finanziaria prevede che con una manovra di bilancio da 32.500
miliardi per il 1996 e con ulteriori interventi per 27mila e per 25mila miliardi (poco
più dell'1% del PIL), nei due anni successivi l'indebitamento netto delle pubbliche
amministrazioni verrà riportato al di sotto del limite del 3% del PIL, richiesto dal
Trattato di Maastricht, entro il 1998.
E' molto, ma non è abbastanza per entrare
in Europa: l'esame del rispetto delle condizioni di convergenza avverrà nel 1998 e avrà
dunque come riferimento il 1997; é virtualmente certo che gli obiettivi del Governo per
il 1996 verranno mancati, perché gli effetti della manovra saranno inferiori a quelli
previsti e soprattutto perché la spesa per interessi è sottovalutata nei documenti
ufficiali. Per poter vantare un buon diritto di ammissione all'esame europeo del 1998,
occorre anzitutto un intervento aggiuntivo per il 1996; potrà manifestarsi necessario nel
1997 un intervento più pesante di quello previsto.
Si tratta di un compito non facile e che
richiede grande rigore, poiché la pressione fiscale è già a livelli assai elevati e
superiori a quelli europei, mentre i tagli operati hanno già ridotto la spesa in alcuni
settori ben al di sotto dei livelli europei.
In questa situazione, un governo
responsabile, che non voglia vendere promesse inesigibili di prosperità, deve impegnarsi:
- a mantenere la pressione fiscale
invariata nel prossimo triennio rispetto ai livelli del 1995;
- a reperire risorse tramite
l'intensificazione della lotta all'evasione fiscale;
- ad assicurare una riduzione della quota
della spesa pubblica sul prodotto interno lordo di due-tre punti percentuali.
L'urgenza del compito non può impedire
che ad esso si faccia fronte con riforme strutturali e in una prospettiva di lungo
periodo.
In materia di entrate proponiamo una
riforma tributaria fattibile che poggia su: semplificazione; forma cooperativa di
federalismo fiscale; riforma dell'imposizione sui redditi, personali, da attività
finanziarie e societarie; riforma dell'amministrazione finanziaria e dell'accertamento. Un
maggior gettito, richiesto dall'invarianza della pressione fiscale, è reso compatibile
con i principi di semplicità, di trasparenza e di equità, che devono ispirare un moderno
sistema tributario.
Il contenimento della spesa pubblica deve
avvenire con scelte ragionate, e non con tagli operati in base al solo criterio di
minimizzarne il costo politico, senza riguardo alle conseguenze negative di lungo periodo.
Una prima opportunità di contenimento
della spesa deriva dalla coerente applicazione del principio di uno Stato leggero, con il
ritiro della presenza pubblica da quei settori ove essa non sia giustificata dall'esigenza
di provvedere a servizi non altrimenti ottenibili, di garantire uguaglianza di
opportunità, di assicurare le condizioni per un impiego produttivo delle risorse nelle
aree meno favorite del Paese. Una seconda e ampia opportunità di contenimento si rinviene
in un miglioramento dell'efficienza e nella razionalizzazione della spesa: non si tratta
in questo caso di tagliare l'offerta di servizi e di beni pubblici, ma di ridurne il
costo, conferendo autonomia, attribuendo responsabilità e imponendo severi vincoli di
bilancio ai centri di spesa. I primi tentativi seri di riforma dell'amministrazione
centrale si sono mossi in questa direzione. Si muove in questa direzione il federalismo
fiscale che noi proponiamo: trasferendo ai livelli inferiori di governo funzioni e
possibilità di prelievo, anche volto a specifiche finalità che si manifestano a livello
locale, decentramento e federalismo coniugano autonomia di decisioni e più diretta
responsabilità per la gestione e per le scelte di impiego delle risorse di fronte ai
cittadini destinatari dell'offerta di beni e servizi pubblici.
L'opera di risanamento della finanza
pubblica sarà resa più facile se un governo stabile la considera esplicitamente un suo
compito prioritario. Un tale impegno, quando sia reso credibile da atti di amministrazione
e di legislazione, viene compensato da una riduzione dei tassi d'interesse richiesti sui
titoli pubblici e dunque del costo del debito e della spesa per interessi: la differenza
fra tassi italiani e tassi tedeschi, oggi di 5 punti e mezzo, potrebbe ridursi di due -
tre punti. Maggiore è lo sforzo iniziale, maggiore è il rendimento che se ne ottiene in
termini di diminuzione del disavanzo. Una riduzione dell'onere di interessi più rapida di
quanto un'opportuna cautela suggerisce di mettere in conto potrà consentire in parte una
più corposa riduzione del disavanzo, in parte un alleggerimento della pressione fiscale. |