Lei è stato tra i promotori delle precedenti
campagne referendarie, quella del '91 sulla preferenza unica
e del '93 sulla legge elettorale, in cui era stato promesso
il cambiamento del sistema politico. Perché dunque tornare
a raccogliere le firme per un nuovo referendum elettorale?
Per riprendere il cammino delle riforme che
si era aperto con i referendum precedenti e che è stato
vanificato dall'azione delle forze politiche. Faccio un solo
esempio: il maggioritario riduce il numero dei partiti e noi
ne abbiamo più di 40. La legge elettorale della Camera
approvata dopo il referendum ha istituito il doppio voto, per
la coalizione nel collegio uninominale e per la lista di partito
nella quota proporzionale. Questa disparità incentiva
la moltiplicazione dei partiti. Il meccanismo del finanziamento
pubblico ha fatto il resto: mettere su un partitino è
diventato un affare anche dal punto di vista economico. Con
questa nuova raccolta di firme ci proponiamo perciò di
rafforzare il bipolarismo, garantire la stabilità di
governo che ancora oggi è messa in pericolo dal potere
di ricatto dei partiti (si pensi alla crisi di governo provocata
da Rifondazione lo scorso autunno), eliminare la proliferazione
dei partiti tutelando tuttavia la presenza delle minoranza che
si vedrebbero assegnati il 25 per cento dei seggi sulla base
dei "secondi candidati più votati". Ha torto chi teme
un'inflazione di liste locali e "fai da te", attirate dalla
possibilità di poter aggiudicarsi qualche seggio con
il recupero dei quozienti: il voto degli elettori sarebbe radicalizzato
tra i due schieramenti più forti.
C'è chi dice che l'unico vero collante
di un comitato promotore molto composito al suo interno sia
l'ostilità al processo di riforma messo in piedi dalla
Bicamerale...
Il comitato promotore, almeno nella maggior
parte dei suoi componenti, non è ostile in linea di principio
al lavoro della Bicamerale. Il famoso "patto di casa Letta"
non fa parte dei compiti della commissione, è solo un
brutto accordo tra partiti, una cattiva premessa per cattive
riforme: quello che noi vogliamo evitare. Aggiungo anzi che
il nostro referendum potrebbe rendere più facile il consenso
degli elettori alla revisione della Costituzione, mentre in
caso di risultato non coerente con il referendume ci potrebbe
essere una reazione di rifiuto.
Le giro una provocazione di Nando dalla Chiesa:
i promotori del referendum si impegnino fin da ora a candidarsi
solo nella propria città di origine. Non si è
assistito, in questi anni di applicazione del maggioritario,
a troppi candidati sconosciuti "paracadutati" dalle segreterie
di partito nei collegi cosiddetti sicuri?
È un'obiezione legittima che apre la
prospettiva di elezioni primarie con cui gli elettori di un
territorio possano scegliere in anticipo il candidato del loro
schieramento. Le primarie non sono facili da organizzare, specie
in un paese come l'Italia dove non esiste una tradizione in
tal senso. Certamente vanno fin da ora elaborate proposte convincenti,
si tratta di uno strumento in più per restituire centralità
al cittadino.
Lei sostiene che i più interessati ad
aderire alla campagna referendaria dovrebbero essere i sostenitori
dell'Ulivo? Perché?
Oggettivamente il referendum gioca a favore
della crescita dell'Ulivo come soggetto politico autonomo, distinto
dai partiti che fanno parte della coalizione. L'Ulivo attuale
è una coalizione di partiti e sono legittime tutte le
prudenze e le preoccupazioni. Noi non siamo contro i partiti,
siamo per nuovi partiti, più legati ai programmi, più
attenti alla selezione della classe dirigente: è una
prospettiva di lungo periodo.Ma a chi teme questo processo vorrei
chiedere cosa sarebbe oggi l'Italia senza il sistema maggioritario
e senza il governo dell'Ulivo. Ora siamo chiamati a proseguire
in questa direzione. L'alternativa non è restare fermi,
ma un ritorno al passato.