Per tutto L'Ulivo


La storia de L'Ulivo: I Comitati

Relazione di Romano Prodi all'Assemblea Nazionale dei Coordinatori Regionali dei Comitati per L'Italia che Vogliamo
Roma, 14 Febbraio 1996

E' passato un anno dall'inizio della nostra attività politica e, proprio alla scadenza di questo anniversario, sono accaduti avvenimenti che ci obbligano ad una profonda riflessione sia sul cammino percorso che sulla strada da intraprendere per il futuro.

Per fare questo è necessario prima di tutto pensare alle scelte fondamentali che sono state alla base del nostro lavoro a partire dal 2 febbraio 1995.

Come in tutti i disegni di ampio respiro, le basi intellettuali e le linee strategiche sono estremamente semplici.

Il punto di partenza era da un lato la consapevolezza che occorresse avviare un processo di grande trasformazione del Paese, con un piano organico di riforme culturali ed istituzionali ormai non più rinviabili, dall'altro la constatazione dell'impossibilità di raggiungere questi obiettivi a causa di quella permanente instabilità politica che ha consentito, in meno di cinquant'anni di storia democratica, la formazione di più di cinquanta governi, pregiudicando gravemente la possibilità di ricostruire le fondamenta della nostra vita civile.

Di conseguenza occorreva dare al governo una forza ed una durata che permettessero di affrontare le grandi riforme necessarie per completare il cammino della democrazia e per riportare l'Italia ad un dignitoso confronto con gli altri Paesi europei.

Quest'osservazione portava ad una seconda constatazione, che cioè non vi era nessuna possibilità di un passaggio alla democrazia compiuta se non sulle basi di una reale e concreta alternanza nel governo del Paese.

Ne derivava la necessità di creare una formazione di centro-sinistra che, nel momento terribile dello sbandamento dell'inizio del 1995, potesse costruire la base della costruzione del più grande raggruppamento riformista che mai vi era stato in Italia.

Il programma è apparso subito così normale e comprensibile da suscitare un immediato coro di approvazioni e un'insperata valanga di adesioni.

Anche perché lasciava trasparire per la prima volta la caduta di un altro steccato che aveva reso difficile le necessarie forme di collaborazione del campo riformista, e cioè l'antica separazione tra cattolici e laici. Se un raggruppamento di centro-sinistra doveva nascere, esso doveva quindi mettere insieme le tradizioni e le forze del socialismo democratico (di cui in PDS era ormai il principale erede) del cattolicesimo democratico, del liberalismo europeo, dei repubblicani e degli ambientalisti.

Una coalizione difficile, come era difficile la sfida che ci stava davanti, ma una coalizione assolutamente necessaria per la salvezza del nostro Paese.

Questi obiettivi hanno trovato immediato riscontro nelle manifestazioni di consenso popolare che hanno accompagnato i nostri sforzi, quasi a volere confermare la coincidenza tra le nostre intuizioni e le attese di larga parte degli italiani.

Mentre questo disegno si andava delineando con sempre maggiore precisione, nascevano infatti in Italia con moto del tutto spontaneo, i "Comitati per l'Italia che vogliamo", con lo scopo preciso ed esclusivo di mettersi al servizio di questo disegno, che, ricordiamo, si riassume nella creazione di una coalizione riformista e nella preparazione di una alternanza democratica, attraverso la collaborazione di forze politiche che avevano fin allora agito in modo autonomo.

I comitati, pur con un ovvio diverso livello di visibilità e di capacità operativa, si sono diffusi in tutto il Paese, fini a raggiungere l'incredibile numero di 3.800.

Essi sono presenti, anche se con diversità di accentuazione, in tutte le province italiane e, pur nella diversità degli stili e dei comportamenti, hanno portato avanti in modo straordinariamente efficace la bandiera della coalizione democratica.

L'aspetto più emozionante di questa avventura, del tutto nuova per il nostro Paese, è stato quello di constatare come la coalizione che si voleva costruire non era per nulla astratta o artificiosa, ma ripetiamo corrispondeva ad un modo di sentire profondamente diffuso e condiviso.

Con un'osservazione, che è poi diventata per noi un felice slogan, era diventato facile constatare come si mettevano spontaneamente a servizio della coalizione migliaia e migliaia di persone che avevano da tempo desiderato l'abbattimento del "muro di Berlino", sia che vivessero da un lato che dall'altro del muro stesso.

Nella maggior parte dei casi l'esperienza ha fatto emergere una profonda condivisione di valori e di disegni politici ed ha permesso veramente di costruire qualcosa di nuovo e di inedito per l'Italia.

Ma c'è di più: in un Paese in cui sembravano ormai definitivamente esauriti i luoghi diretti o indiretti della formazione politica (ed è questo che ha potuto far emergere una classe politica completamente estranea ai nostri problemi e alla nostra realtà) all'improvviso si andava delineando un movimento spontaneo che non solo riproponeva il gusto dello studio, e della discussione, ma che per la prima volta poneva i cittadini stessi al centro di tale confronto.

Si sono avute decine di migliaia di riunioni precedute da relazioni preparatorie, attività formative e aperture culturali con le più diverse componenti di tutta la società italiana.

Abbiamo avuto tanti convegni ma anche feste, iniziative sociali, interventi ed azioni nelle comunità dove si trovavano ad operare i comitati.

Si sono toccati i grandi problemi generali, ma anche gli aspetti settoriali e specifici della realtà politica, sociale ed economica.

La maggior parte di coloro che hanno partecipato a questa attività non avevano avuto alcuna esperienza politica precedente. In molte e ripetute occasioni è stato proposto da alcuni di cogliere il risultato di questa grande partecipazione attraverso la creazione di una aggregazione politica che si avvicinasse progressivamente alla natura di un partito, anche perché vi erano persone naturalmente e comprensibilmente sensibili ai sondaggi di opinione che attribuivano percentuali non trascurabili al nostro inesistente partito.

Queste 'tentazioni" sono state respinte proprio in vista di un disegno di più ampio respiro e cioè la coalizione di centro-sinistra.

I comitati hanno acquisito identità sempre più forte insieme alla consapevolezza di essere il cemento della coalizione e non una struttura che cresceva nell'attesa di diventare partito.

Oggi, un anno dopo, non posso che rinnovare il mio profondo senso di gratitudine per coloro che a livello centrale, regionale, provinciale e locale hanno portato avanti questo processo di maturazione e di novità della cultura politica italiana, perché sono perfettamente consapevole che tutto ciò ha comportato un senso di sacrificio e di disinteresse che ha ben pochi precedenti nella storia politica del nostro Paese.

Questi elementi di rinnovamento, questo diverso modo di fare politica e di sentirsi protagonisti di un disegno comune, hanno costantemente avuto una positiva influenza nella competizione elettorale delle elezioni locali.

Dovunque si è presentato l'Ulivo (anche se come realtà di fatto e non ancora come simbolo)i risultati sono stati positivi e, comunque, migliori rispetto ad ogni previsione e questi consensi continuano a rivelarsi una forza sempre più trascinante che diventa quotidiana occasione di riferimento e confronto.

Era chiaro che l'elettore istintivamente premiasse la coalizione rispetto alla somma dei partiti di cui la coalizione stessa era composta.

Sotto la spinta di questo buon risultato ed in coerenza con gli obiettivi iniziali è stato quindi deciso di raccogliere sotto il simbolo dell'Ulivo non solo una parte ma tutte le forze politiche che si riconoscevano nell'alleanza di centro-sinistra.

Questa decisione, di cui mi sono assunto personalmente la responsabilità, è stata ripetutamente criticata da chi riteneva che l'Ulivo dovesse sostanzialmente costituire la forza di centro della schieramento di centro sinistra.

A mio avviso, pur a distanza di ormai molti mesi, non si può che riconfermare la validità delle ragioni che spinsero nello scorso mese di aprile a ricercare un simbolo ed una struttura capaci di rendere forte e visibile l'intera coalizione e di rendere irreversibile l'alleanza di centro-sinistra come un'unica compatta realtà che deve necessariamente prescindere dalle spinte di talune sue componenti e dalle tentazioni personalistiche.

Era infatti necessario rendere chiaro a tutti che si stava iniziando un percorso comune e che questo fatto doveva avere una sua forte visibilità.

Nonostante il nostro movimento si sia sviluppato soprattutto nel Paese e nelle sue realtà periferiche, l'immagine dell'Ulivo è stata per mesi congelata nell'immagine di rissose e complicate riunioni per vertici di partito che ripetevano l'immagine verso il passato, mentre il dibattito che si svolgeva nel Paese assumeva dimensione e profondità ben diverse.

Con il mese di agosto è quindi iniziato il lungo processo di costruzione del Programma dell'Ulivo, con un modello operativo che non era mai stato seguito ne in Italia ne in alcun altro dei grandi Paesi europei.

La costruzione del programma aveva infatti un duplice scopo.

Si è quindi avviata una fase di lavoro nella quale abbiamo invitato a discutere e a convergere su temi specifici non solo gli esperti più significativi dei diversi settori ma anche migliaia e migliaia di "addetti ai lavori" che si interessavano in modo organico e sistematico all'esame dei problemi del settore di propria competenza.

Centinaia di rapporti e migliaia di osservazioni e rilievi specifici hanno infatti accompagnato i lunghi mesi di preparazione del programma inteso non nel significato stretto di programma elettorale, ma in quello ben più ampio e significativo dell'elaborazione di un programma di legislatura.

Il secondo obiettivo (interrotto dai recenti avvenimenti) era quello di portare alla discussione delle tesi di programma centinaia di migliaia di cittadini, in modo da creare finalmente una partecipazione più attiva e vissuta alla vita politica italiana.

Speravamo che, oltre che per costruzione della coalizione, programma potesse anche costituire una prima risposta all'insistente domanda della pubblicistica e dell'opinione pubblica di conoscere le idee portanti dell'Ulivo sul futuro del Paese, in più occasioni abbiamo dovuto ricrederci.

E' significativo a questo proposito osservare che la maggior parte dei giornalisti e degli opinionisti che avevano rimproverato all'Ulivo la mancanza di idee programmatiche, non abbiano poi dedicato una riga alle nostre tesi per commentarlo dopo l'avvenuta pubblicazione.

L'unico dibattito sistematico avvenuto sul Sole 24 Ore, ha messo in rilievo (insieme ad alcune mancanze di cui terremo conto nella redazione finale) l'organicità delle tesi, la loro serietà e il loro realismo.

Per il resto l'indifferenza per il contenuto delle tesi è stata pari all'intensità con cui la formulazione del programma era stata richiesta.

Non ci si deve stupire di questo atteggiamento, dato che esso sembra corrispondere all'ultima evoluzione del rapporto tra politica e mass media come viene descritto nel libro del noto giornalista Jack Fuller dal titolo "New Values" (University of Chicago Press).

Non ce ne stupiamo soprattutto oggi, in un sistema nel quale la capacità di impatto di un messaggio sembra basarsi più sull'efficacia del mezzo che lo veicola piuttosto che sulla sua validità intrinseca.

Di conseguenza ormai, negli Stati Uniti come nel nostro Paese, la tendenza più diffusa è volta a sostituire l'essere con l'apparire, la sostanza con l'immagine, la capacità di suggestione di un messaggio, anche politico, con la sua effettiva consistenza.

In altre parole, ormai, anche in politica, "è buono ciò che appare buono in TV". Di conseguenza non si poteva certo pretendere la necessaria attenzione ai programmi dell'Ulivo nel momento in cui essi non risultavano concepiti in funzione del loro "appealing" e della loro capacità di impatto presso i media. Questo problema della funzione dei media nel rapporto tra la politica ed il cittadino è uno scenario totalmente nuovo per la realtà italiana.

Esso è diventato la misura del successo politico, la determinante fondamentale della scelta delle strategie e, in fondo, la misura continuamente rivista della bontà o meno di una politica.

E' qualcosa di più che fare una operazione chirurgica di fronte ai parenti dell'ammalato.

Vuol dire cambiare continuamente le tecniche dell'operazione chirurgica in conseguenza dei suggerimenti e degli interventi dei parenti dell'ammalato che assistono all'operazione.

In questi mesi anche a costo di pagare prezzi altissimi mi sono rifiutato di adattare i comportamenti a questo nuovo quadro di riferimento.

Me lo impedivano tra l'altro la mia formazione, il mio sistema di approccio allo studio dei problemi e all'individuazione delle soluzioni, le mie convinzioni circa la serietà del rapporto politico e dell'impegno con gli elettori.

Del resto, la mia, probabilmente non è neanche una scelta: è un comportamento, da un lato, istintivo nei suoi connotati genetici e, dall'altro, il segno di una fiducia profonda nello spirito critico e nella capacità dei cittadini di cogliere le coerenze di lungo periodo dei protagonisti della vita politica del Paese. E io credo profondamente che gli elettori siano ormai stanchi degli urli, degli slogan, delle false promesse e che abbiano il diritto (ed anche il piacere) di essere persuasi con argomenti e motivazioni.

E' questo il mio modo di vedere le cose. Io non faccio come coloro che vendono a buon mercato inesistenti villette al mare mostrandone esaltanti illustrazioni sui dépliant che non corrisponderanno mai a ciò che si è effettivamente in condizioni di poter realizzare. Io prima mi affido a un progetto e soltanto in un secondo tempo mi preoccupo del plastico che dovrà renderlo più visibile. E in questo modo continuerò ad operare, fin quando arriverà il momento, ormai prossimo, di mostrare al tutti il "plastico" del nostro progetto, del nostro programma per l'Italia che vogliamo.

In questi mesi in cui mi sono profondamente immerso nella vita politica italiana ho ricevuto un altro insegnamento senza il quale non è possibile ricostruire la nostra vita civile e cioè che nessun Paese può resistere ad un eccessivo distacco dalla politica della morale come è invece il normale costume della nuova destra italiana.

Non è facile adottare un simile principio in un Paese in cui, fin dalla scuola media, il machiavellismo di maniera viene ritenuto il fondamento di ogni azione politica.

Tale convinzione è cosi profonda da essere acriticamente abbracciata dai vecchi e dai nuovi maestri della politica, senza tener conto che una pratica generalizzata di questi principi rende praticamente impossibile la convivenza civile e legittima ogni forma di corruzione.

La raffinatezza della scatenata gara di astuzie incrociate ha ormai raggiunto una complicazione tale da non essere compresa nemmeno da coloro che sono protagonisti del gioco.

Ormai il nostro Paese si distrugge con le proprie mani.

La politica dell'Ulivo, se vuole rinnovare il Paese, deve rinnovare i metodi stessi della politica. Avere ed esporre principi chiari, confermarli nel tempo e tradurli in azioni precise e comprensibili: se saremo capaci di una simile rivoluzione, saremo sicuri dl comunicare al Paese la serenità e la fiducia di cui ha bisogno per costruire il proprio futuro.

L'altra necessaria virtù dell'Ulivo è quella di capire finalmente i problemi reali dei cittadini italiani.

Si è ormai creato un mondo artificiale che dibatte in modo artificiale problemi artificiali mentre cresce la disoccupazione, cresce la necessità di giustizia, cresce la diseguaglianza e cresce la distanza fra la nostra scienza e la nostra cultura e quella dei Paesi più avanzati.

Riportare la discussione su questi temi e impostare con onestà le necessarie soluzioni è il compito dell'Ulivo.

Questo non vuole certo significare che il dibattito istituzionale e delle forme di governo non appartenga ai problemi reali del Paese.

Il modo con cui è stato condotto lo ha reso invece irreale e incomprensibile.

Quasi mai si è infatti legato il problema del governo alle caratteristiche ed alla storia del nostro Paese. Mai sono state chiaramente esposte le conseguenze reali ed operative delle diverse riforme.

Eppure solo a queste condizioni le necessarie e radicali innovazioni possono produrre i risultati di durata ed efficienza dei governi e di garanzia del controllo democratico che sono l'obiettivo alto delle riforme che tutti riteniamo necessarie ed urgenti.

Anche in questo caso ha prevalso un complicato machiavellismo, un'impossibile proposta di baratto (presidenzialismo contro doppio turno elettorale) che fatalmente produce la perdita dell'orientamento.

Non dimentichiamo mai di essere entrati in politica per la costruzione di una democrazia matura, di una democrazia dell'alternanza.

Le riforme elettorali ed istituzionali sono solo i necessari strumenti per raggiungere questo scopo. Essi possono essere perciò anche diversi: è invece obbligatorio confrontarli sempre con l'obiettivo che si vuole raggiungere e, soprattutto con la realtà del Paese, coi patti non scritti che sorreggono in modo singolare la vita di ogni comunità.

Una grande coalizione prima di dettare la formula delle leggi elettorali e dei governi, deve aprire il dibattito su questi problemi, deve meditare sulle tradizioni della nostra storia lontana, di quella più vicina e della grande tradizione di autonomia e di coesione delle comunità locali.

Le formule sono un punto d'arrivo, non il punto di partenza di questo dibattito.

Ma ora che questo lungo anno di vita politica ha tuttavia confermato il realismo del nostro disegno iniziale portando l'Italia (nonostante l'apparente moltiplicazione dei partiti) verso un sistema realmente bipolare è giunto il momento di avviare la seconda fase del nostro lavoro.

I ripetuti tentativi di ricostruzione del centro (anche quelli più robusti e meglio sincronizzati con i mass media che si sono verificati intorno alla scorsa estate) non sono stati infatti in grado di ricostruire il sistema politico italiano intorno al centro mobile, arbitro per definizione del destino di ogni governo ed origine principale del degrado e della corruzione della vita politica di un Paese.

Si apre quindi un nuovo periodo per l'Ulivo.

  • Idee per il futuro


  • Ultima modifica:

    Torna indietro Torna all'inizio Torna alla HP