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Tesi n° 88
Bioetica e sanità

Un nuovo rapporto tra medico e cittadini

La delicata fase di transizione che sta modificando la sanità italiana non riguarda solo l'organizzazione sociale del sistema delle cure, le garanzie da fornire ai cittadini, specie ai più fragili e maggiormente bisognosi di tutela, e le politiche per garantire un'equa allocazione delle risorse. La trasformazione riguarda anche i rapporti che si instaurano tra i professionisti che forniscono servizi sanitari e i cittadini che ne beneficiano. Una questione preliminare è quella relativa al ruolo da attribuire alla legge nel regolare questo tipo di rapporti.

Da un punto di vista generale, il sistema giuridico italiano ha preferito non regolamentare in modo specifico il comune atto medico, in accordo, peraltro, con la prassi europea. Soltanto alcuni circoscritti ambiti sono regolati da apposite norme (come, ad esempio, le leggi relative al prelievo da cadavere a scopo di trapianto, l'interruzione volontaria della gravidanza). In tutte le altre situazioni, l'atto medico si svolge nell'ossequio alle norme generali della legge a tutela della persona. La professione, mediante il codice deontologico, regola l'attività sanitaria, fornendole la massima copertura etica, anche in situazioni in cui l'opera del medico gode di una minima copertura giuridica.

Finora una tacita "delega fiduciaria" tra medico e paziente e una benevola interpretazione giuridica dell'atto medico, che dava la priorità all'intenzione che lo animava, hanno assicurato un funzionamento relativamente tranquillo e senza eccessiva litigiosità giudiziaria. Le denuncie per "malpractice" sono state rare ed eccezionali nella società italiana. Ora però la situazione sta cambiando. Il periodo in cui la deontologia professionale era sufficiente per normare il comportamento del sanitario e per garantirgli un ambito di intervento protetto è passato ed appare opportuno chiarire meglio i rapporti reciproci fra medico e paziente nell'interesse di entrambi.

Di recente la Federazione nazionale degli Ordini dei medici, nel rielaborare il Codice deontologico dei medici italiani, ha dimostrato di recepire le autorevoli indicazioni del Comitato nazionale di bioetica, espresse nel documento "Informazione e consenso all'atto medico" (1992). Senza alcun pregiudizio per la professionalità del medico, di fatto, richiedono un esplicito e formale coinvolgimento del paziente nelle decisioni cliniche e prevedono un esplicito consenso del paziente a procedure diagnostiche e terapeutiche.

Il passaggio da una pratica "paternalistica" della medicina a una valorizzazione dell'autonomia del paziente deve essere favorito da una autorevole legittimazione formale del cambiamento culturale nella direzione di una fattiva "alleanza terapeutica" tra medico e paziente. C'è lo spazio per una cultura della partecipazione responsabile del cittadino alle scelte terapeutiche, specie quelle che hanno un'influenza rilevante sulla qualità della sua vita.

Questa osservazione vale anche per l'ambito della sperimentazione sugli esseri umani. L'Italia ha recepito le norme europee relative alla "Good clinical practice", che impongono l'approvazione dei protocolli di ricerca da parte di appositi comitati. Tuttavia, senza una adeguata cultura che valorizzi l'autonomia del soggetto umano, la legittimazione formale che questi organismi possono fornire non tutela la qualità etica della ricerca.

Gli eventi estremi: nascita e morte

Di fronte ad avvenimenti recenti di particolare gravità, si è fatto sempre più diffuso il convincimento che la società non può semplicemente stare ad osservare il moltiplicarsi delle tecniche di riproduzione medicalmente assistita. E' necessario assumere la coscienza del limite che sola può agire per stabilire confini che non devono essere superati.

Il pluralismo etico del nostro paese non facilita il consenso su quanto deve essere legittimato da una regolamentazione giuridica delle tecnologie riproduttive. La difficoltà di un'intesa, come presupposto per un intervento legislativo, si riflette nel difficoltoso lavoro del Comitato nazionale per la bioetica in questo ambito. Tuttavia, i risultati della Commissione ministeriale sulla procreazione medico-assistita, istituita il 14/01/'94, mostrano che non è impossibile raggiungere il consenso su una base comune sostenuta, in ogni caso da una norma di legge che tuteli oggettivamente la dignità della vita umana. In particolare, rinunciando a regolamentare in modo rigido il diritto all'accesso a tali tecnologie, sulla base di visioni antropologiche ed etiche prestabilite - nessuna della quali può rivendicare il diritto a imporsi sulle altre - si può concordare sulla discriminante costituita dalla cura dell'infertilità, non altrimenti affrontabile.

In questa prospettiva è necessario giungere a una normazione del settore, in coerenza con gli orientamenti europei tesi a portare le pratiche di procreazione medicalmente assistita entro la trasparenza, la legalità, la sicurezza.

Considerando l'altro momento estremo dell'esistenza, quello costituito alla fine della vita umana, l'organizzazione sanitaria rimane coerente con la sua "missione" quando evita le due forme estreme dell'accanimento terapeutico e dell'eutanasia. In questo campo la difesa della vita deve fondarsi su un sistema sanitario in grado di offrire all'ammalato inguaribile e terminale ogni possibile assistenza sul piano clinico e psicologico, in modo che non vi siano alibi economici od organizzativi per giustificare comportamenti che di fatto accelerino la morte. Una priorità assistenziale del più alto profilo etico è oggi quella della promozione di una medicina della palliazione e dell'assistenza ai malati nella fase terminale della vita. La medicina del nostro tempo è in grado di dare risposte efficaci alle sofferenze - tanto dei malati quanto dei familiari - che accompagnano il decesso. In tal senso la prossima legislatura potrà approvare la proposta di legge delle forze dell'Ulivo già presentata in Parlamento per assistenza ai malati terminali. L'"umanizzazione" del morire deve diventare un obiettivo dell'organizzazione sanitaria, oltre che un atteggiamento dei singoli professionisti.