Ricordare Aldo Moro a venti anni dalla morte
significa riflettere su una delle personalità più
importanti della storia della nostra Repubblica e sull'esperienza
di colui che più di ogni altro, dopo De Gasperi, ha concorso
a costruire l'Italia moderna.
La storia dell'Italia dentro la quale si è
sviluppata la vita di Moro è la storia difficile di un
Paese complesso. Un Paese che esce distrutto dalla tragedia
della seconda guerra mondiale e che riesce a darsi una Costituzione
di altissimo livello, nella quale una società divisa
e fortemente conflittuale può riconoscersi e unificarsi.
In questo Paese, uomini di diverse provenienze
e culture, di differenti ispirazioni e appartenenze, hanno saputo
dar vita a una storia collettiva nazionale attraverso la quale
la democrazia italiana si è consolidata nella tolleranza
e nel rispetto reciproco. Una vicenda collettiva che ha esaltato
i valori della persona umana e ha fatto delle differenze e del
pluralismo culturale una risorsa piuttosto che un limite, un'opportunità
di crescita piuttosto che un freno, un'occasione di maturazione
sociale morale piuttosto che un impedimento e un vincolo.
La storia italiana di questo dopo guerra è
stata una grande storia corale, alla quale hanno concorso donne
e uomini, partiti e culture, organizzazioni sociali e forze
religiose.
Aldo Moro è stato uno dei principali
protagonisti di questa vicenda.
La sua esperienza umana e politica ha segnato
i primi trentadue anni della storia repubblicana. Tutti noi
sappiamo che non si può comprendere l'Italia di quegli
anni senza tener conto della sua presenza e della sua azione.
Moro è stato e resta, in questo senso,
un pezzo importante della nostra memoria nazionale. Per quelli
di noi che hanno più di cinquanta anni è stato
anche una parte importante della nostra esperienza di vita.
Molti hanno parlato di Moro. La sua personalità
ha suscitato sempre sentimenti umani profondi, giudizi politici
complessi, discussioni culturalmente molto ricche di stimoli.
C'è il Moro giovane uomo, di formazione
cattolico democratica che concorre a formare la nostra Costituzione.
Lo stesso che negli anni successivi e per tutti i decenni seguenti
opera con determinazione e costanza per attuarla nella lettera
e nello spirito.
C'è il Moro uomo politico, che si sforza
sempre di operare affinché la società italiana
sappia riconoscere il valore del pluralismo. Lo stesso che con
pazienza fa della tolleranza e del rispetto delle idee di tutti
l'asse dello sviluppo del Paese.
C'è il Moro uomo di governo, capace
di estenuanti mediazioni ma anche di scelte innovative e coraggiose.
Governante che sa che non può esserci modernizzazione
senza allargamento della base parlamentare del governo, ma anche
che non può esserci tenuta democratica senza la costruzione
di un consenso che vada oltre i confini della stessa maggioranza
parlamentare.
C'è il Moro uomo di Stato, impegnato
a ribadire sempre le ragioni delle alleanze internazionali dell'Italia
ma capace anche di difendere all'interno di queste alleanze
la specificità italiana ogni volta che è necessario
per tutelare gli interessi e le caratteristiche proprie del
Paese.
C'è infine il Moro martire della Repubblica:
uomo che ha ricevuto la morte come tragica ricompensa del successo
stesso della sua politica.
Oggi, a venti anni da allora, noi torniamo
ancora una volta a chiederci quale è l'insegnamento di
una personalità così complessa. E cosa di questo
insegnamento è ancora vivo e fondamentale per il Paese.
Il quadro nel quale Moro ha operato è
molto diverso da quello in cui si collocano oggi il nostro Paese,
l'Europa, il mondo intero.
Moro è stato in tutta la sua esperienza
l'uomo politico di un mondo diviso in due. Espressione emblematica
di una situazione che dentro e fuori i confini nazionali doveva
confrontarsi con i vincoli di una democrazia bloccata e in qualche
modo a priori limitata.
La realtà nella quale egli ha operato
era quella di un Paese in cui un sistema politico basato sull'alternanza
e sul bipolarismo non poteva affermarsi. Un Paese dunque costretto
dai fatti a trovare vie diverse per la sua crescita democratica
e per il suo sviluppo economico.
E Moro è stato, in quel contesto, un
uomo politico di eccezionale grandezza.
Insieme a pochi altri leaders della sua generazione,
egli comprese subito che nessuna cultura e nessuna forza politica
del suo tempo poteva da sola essere espressione di tutto il
Paese.
Meglio di ogni altro capì la necessità
della convivenza delle culture e delle identità. E meglio
di ogni altro seppe costruire un quadro nel quale la ricerca
di equilibri difficili, imposti dalla necessità storica,
potesse convivere con il bisogno di consolidare e rafforzare
la democrazia.
Moro fu colui che più di tutti comprese
che il futuro non poteva essere nelle mani di una parte sola.
Che nessuno poteva, nemmeno in nome delle ragioni più
nobili, pretendere di egemonizzare la democrazia italiana.
Moro seppe costruire l'unica democrazia possibile
in quel contesto: la democrazia del confronto, delle convergenze,
della instancabile ricerca delle compatibilità.
Fu fermissimo nella difesa intransigente dei
valori di libertà della persona e dei gruppi sociali
(quegli stessi valori che aveva con tanto sforzo concorso a
far scrivere nella Costituzione). Allo stesso tempo fu sempre
attento a cercare tutto ciò che potesse unire piuttosto
che ciò che potesse dividere.
Proprio questo atteggiamento gli valse da parte
degli osservatori più superficiali e dei detrattori di
ogni parte, l'accusa di essere sempre e soltanto un mediatore.
Una personalità cioè in qualche misura incapace
di esercitare la virtù più importante per un uomo
di governo: quella di saper scegliere e decidere
Fu questa un'accusa ingiusta e persino stupida
nella sua banalità..
In realtà, come divenne chiarissimo
negli ultimi anni della sua vicenda politica Moro era un uomo
capacissimo di scegliere, di decidere, di governare.
Ma nel contesto storico nel quale si muoveva
egli era consapevole che nessuna decisione, nessuna azione durevole
di governo, nessun avanzamento della democrazia italiana poteva
avvenire utilizzando soltanto le regole classiche di una democrazia
compiuta. Quelle cioè che si basano sul diritto della
maggioranza di decidere e del dovere dell'opposizione di porsi
come alternativa alla maggioranza.
Nella democrazia bloccata dei primi decenni
della Repubblica, Moro capì che in quel sistema politico
i partiti erano la sola via di integrazione democratica. Ma
anche che il rafforzamento delle forze sociali era la condizione
indispensabile per la crescita dell'Italia. Ed è proprio
per questa sua consapevolezza che Moro fu in grado di fare dei
limiti di una democrazia bloccata una risorsa per la Nazione.
Moro sapeva bene che quella non era la democrazia
migliore ma soltanto quella allora possibile. E del resto egli
stesso indicò sempre nella necessità di costruire
le condizioni per una democrazia compiuta l'obbiettivo ultimo
della sua azione politica.
Questa fu la grande opera storica di Moro e
questo resta il contributo fondamentale che egli ha dato al
nostro Paese.
Non fu il solo a concorrere a costruire la
nostra democrazia repubblicana. Essa infatti è il frutto
della volontà corale di popolo e alla sua difesa hanno
concorso milioni e milioni di donne e di uomini. Nè si
può dimenticare che in tutti i partiti vi sono stati
uomini capaci di tenere saldo il timone sulla rotta della democratica
e civile convivenza di tutti.
Ma senza Moro l'Italia non avrebbe avuto la
stessa storia.
Senza Moro la nostra democrazia non avrebbe
probabilmente saputo reggere in passaggi difficilissimi, nei
quali, e a più riprese, sembrò che tutto potesse
essere perduto.
Senza Moro, infine, la stessa Costituzione
avrebbe forse avuto contenuti diversi e in ogni caso nella concretezza
storica sarebbe stata vissuta diversamente.
Senza Moro, infine, anche la storia della DC
e quella, più ampia, dei cattolici democratici, sarebbe
stata diversa. Dopo De Gasperi Moro seppe infatti più
di ogni altro difendere la laicità della DC e, allo stesso
tempo, dopo Dossetti, seppe più di ogni altro difendere
il potenziale riformatore e innovatore del pensiero e della
cultura politica dei cattolici democratici.
Oggi noi viviamo in un tempo diverso.
Non si tratta di riscrivere la nostra storia
nazionale
Non vi è nessuna ragione per cancellare
la nostra memoria o per cercare di prendere le distanze dalle
vicende che hanno caratterizzato il nostro passato dalla caduta
del fascismo alla Resistenza; dalla fondazione della Costituzione
fino alla fine del sistema politico basato sull'applicazione
integrale del sistema elettorale proporzionale.
E' quella una storia nella quale certo non
mancano le ombre. Ma è anche una storia nella quale sicuramente
prevalgono le luci e la figura, davvero luminosa, di Aldo Moro
è lì a ricordarcelo: ferma nella fissità
della sua morte fisica ma viva nella sua grandezza storica.
E tuttavia quella è una storia in qualche
modo chiusa.
Oggi l'Italia vive una nuova stagione.
La caduta del muro di Berlino e i mutamenti
epocali che si sono susseguiti, ridisegnando la geografi dell'Europa
e del mondo, hanno creato nuove condizioni per la vita degli
uomini.
L'Italia è stata coinvolta profondamente
in questi cambiamenti.
L'Europa intera ha cambiato il suo volto. Dalla
riunificazione della Germania al ritorno alla democrazia delle
nazioni europee che erano rimaste separate per decenni dallo
sviluppo del nostro continente, tutto è cambiato intorno
a noi.
E molto è cambiato anche dentro di noi
e all'interno del nostro Paese.
Oggi l'Italia è un Paese che, forte
anche dell'eredità di valori e di sviluppo ricevuti dall'età
precedente, marcia speditamente verso una grande modernizzazione
delle sue strutture economiche, dei suoi apparati amministrativi,
delle sue strutture di governo.
E' un Paese nel quale, come in ogni altra Nazione
occidentale, la democrazia significa per gli elettori possibilità
e diritto di scegliere chi deve governare e significa per lo
schieramento che vince le elezioni il dovere di mantenere le
promesse fatte e gli impegni assunti.
E' un Paese nel quale sempre di più
democrazia significa alternanza, distinzione di ruoli fra maggioranza
e opposizione, diritto e dovere degli elettori di giudicare
e di sanzionare col loro voto chi non mantenga gli impegni presi.
E' questa Italia un Paese che anch'esso sta
in un certo senso "tornando in Europa" proprio perché
sta sanando non solo i propri conti economici ma anche, come
voleva Moro, le sue più antiche anomalie istituzionali
e politiche.
Per questo tutti noi, maggioranza e opposizione,
Governo e Parlamento, stiamo dando oggi tanta importanza al
completamento delle riforme ordinamentali e costituzionali che
abbiamo messo in cantiere.
In questi ultimi anni l'Italia, con lo sforzo
e l'impegno di tutti, ha saputo compiere un nuovo grandissimo
miracolo. Ha saputo in un tempo che nessuno pensava potesse
essere tanto breve sanare i propri conti, rimettere ordine nelle
proprie finanze, imparare a usare nuove regole nella politica
e nel funzionamento delle istituzioni.
Ora dobbiamo andare avanti.
Dobbiamo completare le riforme amministrative
già in corso.
Dobbiamo giungere alla fine del percorso di
riforma della nostra Costituzione che la Commissione Bicamerale
ha già portato tanto avanti.
Dobbiamo consolidare il nostro sistema politico
basato su un sano e corretto bipolarismo, nel quale nessuna
tradizione o diversità di appartenenza sia obbligata
a scomparire ma nel quale i cittadini possano sempre scegliere
fra alternative chiare, fra programmi diversi, fra progetti
politici chiari, spiegati, formalizzati in programmi comprensibili
e dichiarati prima delle elezioni.
Dobbiamo formare i nuovi quadri delle nostre
amministrazioni, i nuovi cittadini di un'Italia europea, le
nuove realtà di una nazione fortemente radicata nelle
autonomie politiche e sociali ma anche assolutamente unita nel
costruire passo dopo passo il proprio futuro.
Tutto questo non significa rinunciare a nulla
del nostro passato. Nulla dei grandi valori ricevuti in eredità
dagli uomini della generazione di Moro viene negato oggi da
questa nostra Italia, che tutti insieme stiamo costruendo.
Al contrario. Io credo che solo facendo oggi
il nostro dovere, come gli uomini di ieri lo seppero fare, noi
li onoriamo davvero.
Ho detto qualche giorno fa a Milano che ora
l'Italia, dopo gli anni della crisi, ha riaperto.
Volevo dire che ora finalmente noi siamo in
grado di riprendere la marcia dopo gli anni della crisi e le
difficoltà del risanamento.
Volevo dire che per noi andare in Europa non
è la tappa finale del viaggio ma l'inizio di una nuova
fase della nostra storia nazionale. Una fase che noi vogliamo
vivere pienamente, consapevoli che ci richiederà grandi
sforzi ma ci darà anche grandi opportunità di
crescita economica, culturale, sociale.
Cinquanta anni fa una generazione di italiani
si trovò a dovere ricostruire dal nulla, e in condizioni
difficilissime, un Paese distrutto moralmente e materialmente.
Lo seppe fare, salvando sempre il quadro democratico
e costruendo le condizioni per un grande sviluppo economico.
Moro fu e resta un protagonista e un simbolo
di quel periodo.
Oggi siamo chiamati a portare definitivamente
il Paese nella grande comunità delle nazioni dell'Europa
e dell'Occidente.
Rispettare oggi Moro significa saper raccogliere
l'insegnamento di quella generazione, rispettarne i sacrifici
e fare noi, oggi, la nostra parte come loro la seppero fare
ieri.
Questo è quello che ci proponiamo di
fare. Questo è il miglior segno che oggi possiamo dare
per onorare la memoria di Aldo Moro.