Bioetica e sanità
Un nuovo rapporto tra medico e cittadini
La delicata fase di transizione che sta modificando la sanità
italiana non riguarda solo l'organizzazione sociale del sistema
delle cure, le garanzie da fornire ai cittadini, specie ai più
fragili e maggiormente bisognosi di tutela, e le politiche per
garantire un'equa allocazione delle risorse. La trasformazione
riguarda anche i rapporti che si instaurano tra i professionisti
che forniscono servizi sanitari e i cittadini che ne beneficiano.
Una questione preliminare è quella relativa al ruolo
da attribuire alla legge nel regolare questo tipo di rapporti.
Da un punto di vista generale, il sistema giuridico italiano
ha preferito non regolamentare in modo specifico il comune atto
medico, in accordo, peraltro, con la prassi europea. Soltanto
alcuni circoscritti ambiti sono regolati da apposite norme (come,
ad esempio, le leggi relative al prelievo da cadavere a scopo
di trapianto, l'interruzione volontaria della gravidanza). In
tutte le altre situazioni, l'atto medico si svolge nell'ossequio
alle norme generali della legge a tutela della persona. La professione,
mediante il codice deontologico, regola l'attività sanitaria,
fornendole la massima copertura etica, anche in situazioni in
cui l'opera del medico gode di una minima copertura giuridica.
Finora una tacita "delega fiduciaria" tra medico e paziente
e una benevola interpretazione giuridica dell'atto medico, che
dava la priorità all'intenzione che lo animava, hanno
assicurato un funzionamento relativamente tranquillo e senza
eccessiva litigiosità giudiziaria. Le denuncie per "malpractice"
sono state rare ed eccezionali nella società italiana.
Ora però la situazione sta cambiando. Il periodo in cui
la deontologia professionale era sufficiente per normare il
comportamento del sanitario e per garantirgli un ambito di intervento
protetto è passato ed appare opportuno chiarire meglio
i rapporti reciproci fra medico e paziente nell'interesse di
entrambi.
Di recente la Federazione nazionale degli Ordini dei medici,
nel rielaborare il Codice deontologico dei medici italiani,
ha dimostrato di recepire le autorevoli indicazioni del Comitato
nazionale di bioetica, espresse nel documento "Informazione
e consenso all'atto medico" (1992). Senza alcun pregiudizio
per la professionalità del medico, di fatto, richiedono
un esplicito e formale coinvolgimento del paziente nelle decisioni
cliniche e prevedono un esplicito consenso del paziente a procedure
diagnostiche e terapeutiche.
Il passaggio da una pratica "paternalistica" della medicina
a una valorizzazione dell'autonomia del paziente deve essere
favorito da una autorevole legittimazione formale del cambiamento
culturale nella direzione di una fattiva "alleanza terapeutica"
tra medico e paziente. C'è lo spazio per una cultura
della partecipazione responsabile del cittadino alle scelte
terapeutiche, specie quelle che hanno un'influenza rilevante
sulla qualità della sua vita.
Questa osservazione vale anche per l'ambito della sperimentazione
sugli esseri umani. L'Italia ha recepito le norme europee relative
alla "Good clinical practice", che impongono l'approvazione
dei protocolli di ricerca da parte di appositi comitati. Tuttavia,
senza una adeguata cultura che valorizzi l'autonomia del soggetto
umano, la legittimazione formale che questi organismi possono
fornire non tutela la qualità etica della ricerca.
Gli eventi estremi: nascita e morte
Di fronte ad avvenimenti recenti di particolare gravità,
si è fatto sempre più diffuso il convincimento
che la società non può semplicemente stare ad
osservare il moltiplicarsi delle tecniche di riproduzione medicalmente
assistita. E' necessario assumere la coscienza del limite che
sola può agire per stabilire confini che non devono essere
superati.
Il pluralismo etico del nostro paese non facilita il consenso
su quanto deve essere legittimato da una regolamentazione giuridica
delle tecnologie riproduttive. La difficoltà di un'intesa,
come presupposto per un intervento legislativo, si riflette
nel difficoltoso lavoro del Comitato nazionale per la bioetica
in questo ambito. Tuttavia, i risultati della Commissione ministeriale
sulla procreazione medico-assistita, istituita il 14/01/'94,
mostrano che non è impossibile raggiungere il consenso
su una base comune sostenuta, in ogni caso da una norma di legge
che tuteli oggettivamente la dignità della vita umana.
In particolare, rinunciando a regolamentare in modo rigido il
diritto all'accesso a tali tecnologie, sulla base di visioni
antropologiche ed etiche prestabilite - nessuna della quali
può rivendicare il diritto a imporsi sulle altre - si
può concordare sulla discriminante costituita dalla cura
dell'infertilità, non altrimenti affrontabile.
In questa prospettiva è necessario giungere a una normazione
del settore, in coerenza con gli orientamenti europei tesi a
portare le pratiche di procreazione medicalmente assistita entro
la trasparenza, la legalità, la sicurezza.
Considerando l'altro momento estremo dell'esistenza, quello
costituito alla fine della vita umana, l'organizzazione sanitaria
rimane coerente con la sua "missione" quando evita le due forme
estreme dell'accanimento terapeutico e dell'eutanasia. In questo
campo la difesa della vita deve fondarsi su un sistema sanitario
in grado di offrire all'ammalato inguaribile e terminale ogni
possibile assistenza sul piano clinico e psicologico, in modo
che non vi siano alibi economici od organizzativi per giustificare
comportamenti che di fatto accelerino la morte. Una priorità
assistenziale del più alto profilo etico è oggi
quella della promozione di una medicina della palliazione e
dell'assistenza ai malati nella fase terminale della vita. La
medicina del nostro tempo è in grado di dare risposte
efficaci alle sofferenze - tanto dei malati quanto dei familiari
- che accompagnano il decesso. In tal senso la prossima legislatura
potrà approvare la proposta di legge delle forze dell'Ulivo
già presentata in Parlamento per assistenza ai malati
terminali. L'"umanizzazione" del morire deve diventare un obiettivo
dell'organizzazione sanitaria, oltre che un atteggiamento dei
singoli professionisti.