Storicamente, il sistema di protezione sociale ha risposto
alle istanze di tutela dei lavoratori che hanno vissuto la fase
di industrializzazione delle citta', e nell'ultimo dopoguerra
ha posto le premesse affinche' la ricostruzione avvenisse in
condizioni di tranquillita' delle relazioni sindacali, grazie
alla mediazione dello Stato che si e' reso garante del sistema
di trasferimento delle risorse fra le classi sociali e soprattutto
fra le generazioni.
Oggi le condizioni sono in parte mutate in quanto:
1. il mercato del lavoro sta cambiando per effetto dello
shock tecnologico della rivoluzione informatica, del post-fordismo,
del decentramento delle produzioni e della mobilita' dei lavori
2. la globalizzazione dei mercati favorisce le economie
in via di sviluppo dove il livello di protezione sociale e'
piu' basso e conseguentemente il costo del lavoro e' inferiore;
questa ragione e' peraltro debole in quanto non ha senso che
le economie avanzate competano sulla base del costo del lavoro
ma devono specializzarsi in produzioni a piu' alto valore
aggiunto, inoltre vi sono segnali che anche in economie meno
sviluppate cominciano a istituirsi delle prime forme di welfare
state (Singapore)
3. nei paesi avanzati le tendenze demografiche stanno
portando il rapporto fra anziani e attivi verso 1:1 in luogo
di 1:2 / 1:3 come appena pochi decenni fa, ponendo seri problemi
di sostenibilita' finanziaria dei sistemi previdenziali a
ripartizione
4. in Italia le tendenze della spesa sociale sono fuori
controllo, come la Commissione Onofri ha chiarito, non perche'
si spenda piu' degli altri Paesi ma perche' non si riescono
a coprire i nuovi rischi e le nuove emergenze che la nostra
epoca sta proponendo
La Commissione Onofri ha evidenziato che l'assistenza e' il
vero buco nero del nostro Stato sociale. Nel 1997 abbiamo speso
circa 90.000 miliardi in assistenza sociale, eppure le famiglie
povere erano in numero superiore alla media europea. Questo
si deve al fatto che storicamente il problema dello stato di
bisogno dei nostri concittadini non è stato mai posto
come una carenza di diritti che la comunita' assume l'obbligo
di alleviare, ma e' sempre stato associato ad altre circostanze
soggettive (perdita del lavoro, invalidita', numero elevato
di componenti del nucleo familiare) alle quali si cercava di
dare risposta in termini di assistenza, attraverso strumenti
come il sussidio di disoccupazione, la cassa integrazione, la
pensione di invalidita', gli assegni familiari.
Questa scelta ha provocato esiti impropri, come dimostra il
fatto che le pensioni di invalidita' sono oggi un potente mezzo
di redistribuzione del reddito alle classi meno abbienti, nonostante
sia falsa la circostanza che gli invalidi siano piu' concentrati
fra le classi povere.
Alcuni giorni fa, approvando la sperimentazione di un "reddito
minimo di inserimento", che integra il reddito personale a 500.000
lire mensili, indipendentemente dallo stato soggettivo del percipiente,
il Governo ha dato il primo segnale di volersi adeguare a una
prassi gia' adottata da tutti gli altri Paesi europei, quella
di creare istituti di assistenza in linea di principio universalistici
e che non si condizionano ad alcun comportamento soggettivo
da parte della persona beneficiata. Ovviamente, per evitare
abusi, il redditometro era un provvedimento che doveva essere
approvato prima di questa misura, come e' stato fatto, ed e'
opportuno che per ora le cose vengano mantenute a livello di
test.
Anche in tema di previdenza il Governo Prodi ha ben lavorato.
Gia' la riforma Dini del 1995 aveva fatto progressi sui temi
della sostenibilita' finanziaria e dell'equita' fra le categorie
sociali del nostro sistema previdenziale (l'errore di Berlusconi
era stato quello di ignorare la forte sperequazione fra sistemi
pensionistici di categorie diverse, prima fra tutte i dipendenti
pubblici e privati). Il passaggio compiuto nel '97 ha completato
questo processo di omogeneizzazione delle regole di calcolo
pensionistico su tutto l'arco della vita lavorativa, talche'
per i prossimi cinque anni le cose dovrebbero rimanere sotto
controllo, sempre che l'Italia confermi i segnali di crescita
sostenuta del PIL e dell'occupazione che stiamo rilevando in
questi mesi.
Su molti altri temi sollevati dalla Commissione Onofri siamo
invece in forte ritardo ed anche in una certa difficolta'.
Le politiche per la famiglia. In tutto il mondo queste politiche
si fanno con asili nido, orari di lavoro e tempi di vita flessibili,
interventi di tutela dei diritti delle donne lavoratrici. Qui
da noi non si riesce a uscire dalla logica del trasferimento
di risorse, peraltro insufficienti, con lo strumento degli assegni
familiari, che ricordiamo appartengono ad un'epoca storica (il
1936) dove aveva senso limitare la partecipazione femminile
alla vita lavorativa per distribuire meglio i pochi posti di
lavoro esistenti.
Le politiche per il lavoro. In tema di politiche "attive" (per
creare lavoro) abbiamo finalmente riformato il collocamento,
che dava risposte solo al 3% dei lavoratori iscritti. Vedremo
gli effetti della privatizzazione di questi istituti.
Ma vi e' il problema che anche in Italia cominciano a comparire
molti nuovi lavori non solo precari, ma a bassa remunerazione.
Tutto bene se si tratta di esperienze temporanee di pre-ambientamento
al lavoro, molto male se come sembra si tratta in parte di situazioni
definitive, che rischiano di scavare un fossato fra i cittadini,
non solo rispetto ai redditi ma anche ai livelli di protezione
previdenziale.
In tema di politiche "passive" siamo in grave difficolta',
perche' non si riesce ad uscire dalla logica dei molteplici
strumenti di trasferimento delle risorse (cassa integrazione,
indennita' di mobilita') che rischiano di tutelare molto di
piu' chi e' disoccupato avendo perso il lavoro anziche' i giovani
e le donne che restano fuori dal mercato fino a tarda eta'.