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Manifesto per l'Europa
Francesco Forti
Lunedi`, 15 Febbraio 1999 ore 20:42

  Manifesto di adesione per l'Europa che vogliamo

Europa immaginata ed Europa concreta

Perché un manifesto per l'Europa? La realtà europea sta permeando
sempre più profondamente ogni aspetto della vita sociale e politica dei
paesi membri dell'UE. Nondimeno, sempre abbastanza scarsa ed episodica
è la riflessione su ciò che implica la costruzione europea.
Tale costruzione si è svolta nell'ultimo cinquantennio in maniera
differente, seguendo sostanzialmente due vie: dalla fine degli anni
Quaranta fino alla metà degli anni Cinquanta, la pressione della tensione
internazionale aveva spinto verso progetti che contemplavano sia la
dimensione
economica sovranazionale (la Comunità Europea del Carbone e dell'acciaio -
Ceca)
che quella politico-militare (la Comunità Europea di Difesa - Ced).
Entrambi i progetti nascevano con l'intenzione da un lato di eliminare ogni
motivo di contrasto all'interno dello spazio specificamente europeo,
rivolgendosi principalmente alla Germania e alla Francia per il controllo
delle risorse carbosiderurgiche (la Ceca), dall'altro tendevano a mettere
l'Europa in grado di reagire ad aggressioni da parte dei paesi di oltre
cortina (la Ced). Quest'ultima realizzazione in particolare implicava la
nascita di un potere politico unico, dal momento che un esercito unificato
è inutile se non segue le direttive di un singolo potere politico.

La Ced fallì nel 1954, a causa dell'opposizione congiunta dei
nazionalisti e dei comunisti francesi (nonché a causa dell'inerzia italiana).
L'unico paese dei sei membri della Ceca che ratificò il trattato Ced fu
la Germania. La Ceca invece continuò nella sua attività di unificare il
mercato del carbone e dell'acciaio, per poi scomparire quando emerse
l'idea del c.d. "Mercato Comune Europeo", che portò alla firma dei
Trattati di Roma nel 1957.

La Cee (Comunità Economica Europea), è divenuta da allora l'unico
segno vitale di una volontà sovranazionale tra i paesi europei.
Tramontata l'opzione politica rappresentata dalla Ced, l'unico spazio
rimasto è stato quello economico, dell'integrazione funzionalista.
Col termine "funzionalista" si intende quell'idea gradualista che postula
che solo unificando ambiti complementari, uno alla volta, si possa arrivare
al nocciolo politico dell'unificazione.

Tale idea, ha mostrato negli anni più di una debolezza: il mercato
economico dell'Europa è divenuto talmente ampio e interdipendente da
richiedere
con urgenza la nascita di un potere politico che si occupi di almeno quattro
ambiti fondamentali: la moneta, la politica estera, la politica di difesa,
le direttive di politica economica generale. Alla moneta unica siamo ormai
arrivati; gli altri settori sono invece ben lontani.
Il risultato della moneta unica può a prima vista deporre a favore
della bontà della soluzione funzionalista; ma in realtà, se si guarda più
da vicino il processo di integrazione, si vedrà che si tratta di un processo
gestito in maniera esclusiva dai governi e dagli apparati nazionali.

I cittadini europei, che pure dal 1979 eleggono un parlamento europeo
che li rappresenta, sono di fatto esclusi da qualsiasi potere di scelta
o di indirizzo sul processo di integrazione, proprio perché tale Parlamento
ha poteri di fatto molto limitati e sottoposti ai voleri dei governi
nazionali.
Sorprende inoltre che si possa pensare che gli apparati nazionali,
i quali come tutti gli apparati di potere complessi tengono alle loro
prerogative
e attribuzioni, possano pensare di rinunciarvi in gran parte, da un giorno
all'altro.
Ma il sistema avviato con l'integrazione economica ha superato le stesse
intenzioni
dei suoi ideatori e fondatori: l'iniziativa tende sempre più a porsi su di un
piano politico, dando per scontato invece quello economico. In altre parole:
l'Europa economica ha sempre più bisogno, per esistere, di una dimensione
politica
autonoma, per la sua stessa esistenza.

A questo punto due strade si aprono: o continuare a osservare dall'esterno
passivamente il processo di integrazione gestito dai governi dei quindici,
oppure
cercare nuove forme di partecipazione politica dei cittadini europei, forme
che
non possono non passare da un'aumentata autonomia del Parlamento Europeo.
Per questo motivo abbiamo parlato di "Europa immaginata ed Europa concreta":
a fronte delle realizzazioni governative ed economiche che portano verso
l'Europa
dei finanzieri e dei ministri, c'è bisogno di un'Europa immaginata, un'Europa
della partecipazione democratica e della riflessione su quali forme questa
partecipazione possa e debba assumere.

Nel corso di questi ultimi cinquant'anni, molti sono stati coloro i quali
hanno pensato ad un'Europa diversa. A partire dai federalisti europei e dal
pensiero di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, ai progetti federalisti di
Silvio
Trentin ed Adriano Olivetti, per giungere al c.d. federalismo integrale di
pensatori quali Alexandre Marc e Adolf Gasser. Non si tratta certo di nomi
noti al grande pubblico, eppure sorprenderà sapere che se il Parlamento
Europeo
ha votato nel 1985 un Progetto di Trattato sull'Unione politica dei paesi
membri
della Cee (subito dimenticato ed eluso dai governi), è stato grazie alla
battaglia
di Altiero Spinelli per un ruolo costituente del Parlamento Europeo. Così
pure,
se un dibattito sul federalismo è fiorito in Europa dopo il 1989, esso si è
alimentato delle visioni e delle idee maturate negli anni Quaranta e
Cinquanta
e poi perite nel clima inclemente della guerra fredda.

Nondimeno, le stesse high politics dell'Europa hanno preso una direzione
netta verso un modello che, se pure persegue un ampliamento costante, ricerca
anche forme di gestione e di amministrazione legate a dimensioni più ridotte.
La stessa espressione "Europa delle Regioni", che si contrappone nettamente
all'"Europa delle Patrie" gollista e all'"Europa dei Popoli" genericamente
cosmopolita, ha un significato ben chiaro: seguendo la linea
dell'integrazione
economica ma anche della sussidiarietà amministrativa, "Europa delle Regioni"
è una formula che si appoggia ampiamente sui principi del classico
federalismo
che vuole che ogni istanza direttiva gestisca con risorse proprie solo i
problemi
che la toccano direttamente, lasciando gli altri problemi di portata minore o
maggiore alle istanze rispettivamente inferiori o superiori.
Il federalismo europeo, che sembrava messo alla porta dal funzionalismo
economico, rientra dalla finestra dei concreti modelli per un'Europa più
ampia
e in grado di rispondere efficacemente alle domande che provengono dai suoi
abitanti.
Resistenze permangono, e si incontrano soprattutto sul piano interno dei
paesi membri, che vivono l'evoluzione europea con un misto di ansia per le
modificazioni
interne che vengono richieste, e di incertezza per il futuro di quella
particolate
forma di organizzazione - la forma-stato nazionale - che pareva eterna solo
pochi
decenni fa.
E' anche per questi motivi, per questa dimenticanza collettiva delle radici
dell'europeismo militante e attento al problema della partecipazione
democratica
dei cittadini europei, per questa necessità di ripensare il rapporto
cittadino/istituzioni,
a tutti i livelli, che oggi proponiamo di riprendere in mano la discussione
sull'Europa
che vogliamo.
Ed è per la novità rappresentata dalla sintesi politica del movimento
dell'Ulivo,
che ci rivolgiamo in primis ai suoi simpatizzanti, proponendo la nascita di
un luogo
telematico all'interno del quale condurre una discussione e una riflessione.

All'interno di tale contenitore, potranno trovare posto sia spazi dedicati
alla ricostruzione storica del pensiero europeista attraverso i documenti,
sia
forum di discussione e di confronto; sia spazi di servizio, che forniscano
gli
strumenti per una migliore conoscenza delle dinamiche dell'Unione Europea,
sia,
infine, strumenti di approfondimento dei problemi dell'Europa "concreta".

Crediamo che fare politica e discutere di politica sia soprattutto mettere
in discussione, alla luce della critica, ciò che appare come statico e
immutabile
oppure ciò che appare come deciso in maniera finale da altre istanze
"superiori".
E inoltre non dobbiamo dimenticarci che il processo di integrazione
economica e
politica va a toccare molti ambiti ed aspetti della nostra vita di tutti i
giorni;
è quindi con buon diritto che dobbiamo confrontarci con esso e riappropriarci
della facoltà di fare sentire la nostra voce di cittadini europei, non solo
"euro-entusiasti", ma anche "euro-coscienti".

Piero Graglia
PhD History of Federalism and European Integration
University of Florence
Faculty of Political Sciences

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