[GARGONZA:9222] RE: Lega Nord: insulti e mancata censura - Forti
Michele Corvo  Lunedi`, 24 Luglio 2000

Vorrei rispondere a Piero.


>Per esempio e'
> giusto che un insegnante elementare arrivi in provincia di varese,
proveniendo
> dalla calabria, sempre con punteggi altissimi e che si vanti pure di aver
pagato
> per essere davanti a tutti in graduatoria? E che poi quando lo senti
insegnare
> capisci che non solo non sa parlare italiano ma nemmeno conosce le materie
(...)

Quello che dice Francesco è vero: il clientelismo, la condizione spesso
disperata delle regioni meridionali, antiche abitudini familistiche
diventate logica di clan, etc, hanno portato un flusso di "emigrazione" e
urbanizzazione dal sud  al centronord di tipo molto, molto discutibile.
Discutibile sul piano amministrativo ed economico: ministeri, istituzioni ed
enti (spesso essi stessi già inutili) sono stati inzeppati di personale
scarsamente qualificato, al solo scopo di offrire uno
stipendio a masse di disoccupati.

Vorrei ricordare che il flusso migratorio ha essenzialmente interessato le
attivita' industriali, con afflusso di povera gente ignorante e bisognosa di
lavoro, che ha vissuto per anni in condizioni non dignitose pur di vivere, e
che ha contribuita con onesta manodopera retribuita allo sviluppo italiano
del dopoguerra.

è facile immaginare le conseguenze per la vita di una città-stato, nella
quale in moltissimi gangli e anfratti della P.A. si sono gradatamente e
saldamente sistemate le teste di ponte di intere catene di sant'antonio
familiari, di gente del sud e delle zone depresse del centro: non solo i
concorsi alle poste o ai ministeri, ma perfino il lavoro di portiere di
condominio o di cameriere era spesso "riservato" all'amico o al cognato in
attesa in qualche paesino del
mezzogiorno - e ovviamente anche posti in Rai, nelle redazioni di giornali,
all'università, nei centri di ricerca, insomma una catena di sant'antonio
per ogni livello sociale o culturale.

Sapresti dirmi con quali criteri venivano assunte le persone nelle aziende
del Nord durante lo stesso periodo? I familiari e amici dei dipendenti erano
favoriti nell'assunzione o sicuramente scartati?

Discutibile sul piano etico e civile: quelle masse di poveracci disoccupati,
spesso di origine contadina o paesana (o di una classe colta senza sbocchi)
arrivavano a quello "stipendio"
tramite le uniche vie a loro note o consentite dagli interessi dei notabili
politici e dalle abitudini di una solidarietà familistica tipicamente ma non
esclusivamente meridionale, nata in un antico contesto culturale contadino e
inevitabilmente degenerata, in un contesto diverso di tipo moderno e
industriale.

Veramente credo che tanti siano arrivati allo stipendio lavorando e non
rubando nulla proprio a nessuno.


Naturalmente, prima di dare giudizi morali o peggio ancora "etnico-razziali"
sulle persone, bisogna capire che cosa significa lo stato di necessità -
ossia bisogna guardare il fenomeno mettendosi dal punto di vista materiale,
concreto, di questa gente, e guardare bene che cosa era (e tuttora è) la
società meridionale, quale sia stata la degenerazione imposta da secoli e
decenni di sfruttamento e di dominio borbonico prima, ecclesiastico sempre,
fascista poi, latifondista in genere.

E' interessante leggere che lo sfruttamento e' partito con I Borboni,
giungendo al fascismo, senza passare dai Savoia, cioe dalle amministrazioni
del  Nord, con un buco storico di circa 60 anni.
Dal 1860 , dopo la caduta dei Borboni, le prime grandi opere pubbliche nel
Sud furono fatte dal Fascismo. In questo momento c'e una intensa corrente di
pensiero che sta rivaluatndo I Borboni, e non da' una uguale luce
dell'azione dei Savoia. Immagino che tutti sappiate in quale perodo nacque
il brigantaggio e perche'.

Quella descritta in modo così negativo non è la"gente meridionale", ma lo
stato e la P.A. italiane, creati concordemente dalla gente del nord e del
sud con un più o meno tacito patto di spartizione dei poteri e delle
funzioni: noi commerciamo, voi raccomandate, noi dirigiamo aziende, voi
dirigete enti e istituzioni, noi compriamo e vendiamo  leggi per il bene
dell'azienda di famiglia, voi comprate e vendete pezzi di stato per il bene
della clientela, noi tramandiamo a figli e nipoti capannoni e abusi edilizi,
voi posti nei
ministeri e scempi urbanistici, voi imbrogliate nei punteggi e nei concorsi,
noi nei bilanci, etc.

Credo che la visione che dai e' quella di una regia occulta dei fatti
italiani del dopoguerra. Una regia non capisco di chi e per quali motivi,
visto che adesso tutti sono diventati bravi e gli Italiani nati fino agli
ottanta sono tutti morti, quelli di adesso sono nati all'incirca dal  1992.
Penso che in realta' le cose non hanno una lettura cosi' semplice e
semplicistica, ma sono state la causa di un processo evolutivo
complesso,difficilmente spiegabile in poche riche, dove ha pesato in modo
maggiore che in altri paesi europei la presenza di un forte PCI che poteva
andare al governo, con grosse preoccupazioni degli altri paesi occidentali.
Questa preoccupazione ha spinto la politica italiana ad una gestione errata
della cosa e del debito pubblico, tesa al mantenimento di posizioni di
elettorato con mezzi di appesantimento della finanza pubblica.
A danno e a vantaggio di tutti.
Nel Sud la situazione e' stata resa drammatica dalla presenza di
organizzazioni mafiose parallele e dentro lo Stato che hanno di fatto
impedito ogni possibile progresso, con una gestione millimetrica del
territorio, utilizzando non solo spartizioni e commistioni, ma armi da fuoco
anche contro onesti e inermi (perche' indifesi dallo Stato) cittadini.


 fingendo di non sapere che quella stessa
burocrazia farraginosa e surreale è la stessa che ha consentito (proprio
essendo così fatta) di far scivolare nelle tasache di centinaia di
imprenditori settentrionali sovvenzioni e sgravi d'ogni genere; che quella
politica gestita dal bizantinismo degli avvocaticchi borbonici ha costruto
leggi e leggine ad hoc per insediamenti industriali in spregio d'ogni regola
e buon senso, per un sistema bancario e assicurativo capace di drenare
risorse in tutto il territorio nazionale per metterlo a disposizione
dell'industria settentrionale, etc - laddove per "industria" e imprenditori
s'intende soprattutto la "grande" industria e i grandi gruppi speculativi,
più che la miriade delle piccole imprese di imprenditori veri che hanno
tuttavia beneficiato di un tessuto produttivo e di un indotto di notevole
livello.

Su questo sono d'accordo, soprattutto se consideri le grandi aziende delle
grandi famiglie del Nord alla stessa stregua delle P.A. (la Fiat non ha
ancora pagato l'Alfa Romeo, e ha venduto le auto alla GM e I treni alla
Alstom quando ha capito che l'era della cuccagna era finita. L'era per
intenderci del controllo di Telecom con 1%. Altro che trucchi dei
meridionali per I punteggi, questa era roba da camminatori sull'acqua e da
scandalo finanziario internazionale)

Il cuore del sistema clientelare sudista è stato in Sicilia, Calabria e
Campania.

Come mai non c'e' la Puglia/Basilicata/Sardegna/Molise? Non e' che fai
confusione con il sistema mafioso?

Il cuore di quello aziendale nordista era in Lombardia, Piemonte e
Veneto.

Veramente era Piemonte-Lombardia-Liguria, il Veneto era povero allora.



> Ora e' tempo di mettere fine a questo stato di cose. Il federalismo lo
consente.
> In uno stato centralizzato e' possibile che il furbo a Enna ottenga il suo
vantaggio
> a scapito di uno di Varese e che il furbo di Milano faccia lo stesso a
scapito di
> del cittadino di Palermo. Con il federalismo cio' non e' possibile. Ogni
vantaggio
> (comportamento politicamente virtuoso) rimane circoscritto al territorio
che lo
> adotta. Idem per i comportamenti non virtuosi, i quali non possono essere
scaricati
> su tutti ma vengono pagati da chi li adotta.

Non sono sicuro che sia possibile adottare un sistema federale che risponda
a questo schematismo, ma non sono neppure sicuro che questo schema sia
quello giusto, sotto alcuni punti di vista.
Per esempio, con la libera circolazione dei lavoratori e dei diplomi in
ambito addirittura europeo, questa separatezza regionale-federale mi sembra
inattuabile.
C'è poi un altro problema, molto più complesso e pesante.
L'economia - quindi le aziende, i capitali, le istituzioni finanziarie, i
movimenti di merci e di denaro, etc - è molto meno circoscrivibile delle
leggi sui concorsi e sui diplomi, e delle leggi elettorali.
In un'epoca di globalizzazione e di telecomunicazioni su scala planetaria,
il peso delle politiche autonome in materia di lavoro e di industria mi
sembra di scarso rilievo, o almeno inerente ad un livello produttivo di
piccola entità, rispetto ai grandi capitali e i grandi movimenti.

Sono concorde con te. Il fatto e' che in Italia si pensa ancora che il
problema di mancato sviluppo deriva dalla mancanza di  una riforma di tipo
federale. In realta', per I motivi che hai elencato, in Italia esiste una
forte spinta economica e produttiva da parte della piccola e media industria
che e' impreparata a reggere il confronto tecnologico con l'estero, dove
invece predominano grandi complessi forti e innovativi. Questo schiaccia la
nostra industria in settori non tecnologicamente avanzati, facendo preferire
produzioni grossolane o distribuzione di servizi (che usano tecnologie
altrui).
Gli investimenti nelle tecnologie sono prima di tutto un problema
psicologico e culturale , e poi un problema pratico. Costruire un nuovo
capannone costa molto di piu' di attrezzarsi dal punto di vista informatico,
pero' per il primo qualsiasi piccolo imprenditore e' capace a dirigere e
comprendere I lavori, per il secondo caso un po' meno.


Michele Corvo.










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