[GARGONZA:9072] R: Confronto sul "modello" ... fra due americani.
Piero DM  Venerdi`, 30 Giugno 2000


----- Original Message -----
From: SPEA - Arch.Alexis Kilismanis

> L'America immaginaria di Veltroni e quella radicale di Vidal
>  Dibattito tra lo scrittore statunitense e il segretario dei Ds.

>  Da un lato, la denuncia lucida, documentata, estrema della "tragedia
> americana", di "un impero" che "sta
>  morendo", ... Un'immagine positiva, ma con forti contraddizioni, che
> Veltroni enuclea dal contesto: per esempio, la pena di morte, contro la
> quale invita a una campagna forte ...

Si tratta della perenne ambivalenza americana, che nasce da una storia
fondativa radicalmente diversa da quella europea, e che cresce in un
territorio radicalmente diverso, generando antropologie e mitologie
diverse - e che già nei suoi antefatti s'ispirava ad una visione della vita
e della società molto particolare e separata dal corpo principale
dell'Europa, qual'era quella della cultura dell'Isola anglosassone,
antesignana a suo modo di una qualche "democrazia" eppure così tenacemente
classista e tragicamente conformista.

Un'ambivalenza (ambiguità) che si è clamorosamente manifestata negli atti
fondanti della nazione americana, divisa tra il concetto di democrazia
jeffersoniano della Dichiarazione e quello capitalistico della
Costituzione.
E' estremamente difficile rapportare la realtà politico-sociale americana a
quella europea, usando criteri europei: si finisce per scegliere o una
visione nihilista, o una visione opposta, idilliaca o trionfale - o magari
quella cinematografico-roosveltiana dolorosamente ottimistica, in cui le
"contraddizioni" miracolosamente si risolvono per intervento di un angelo o
per l'eroismo di un uomo tranquillo.
Si finisce cioè per usare la sponda americana per far rimbalzare i nostri
sogni o le nostre paure, più che per definire l'America stessa.

Non è, in questo senso, affatto sbagliato dire quello che è stato detto, che
cioè l'America veltroniana rischia di essere la riproposizione occidentale
del sovietismo: solo che gli USA hanno un riflesso concreto e diretto molto
più forte nella nostra vita politica ed economica, e riuscire a capirli e
definirli è molto più importante di quanto non fosse una definizione della
reatà sovietica.
Quindi, un elementare senso di prudenza ci consiglierebbe di dare più
ascolto ad un intellettuale americano, piuttosto che ad uno di noi tutti
(ex)ragazzi europei, cresciuti davanti alle immagini in bianco e nero dei
film di Capra e alla breve epopea del kennedismo - così come negli anni del
sovietismo, che sventolava dietro alle buone e belle bandiere rosse
italiane, faceva bene chi dava ascolto ai dissidenti di Mosca e Leningrado,
di Budapest e di Praga, invece che alle "complessificazioni" di un Cossutta
o di altri sacerdoti della "contraddizione dialettica".

Un Capra e un Kennedy, del resto, che - nello stesso periodo, come anche
prima e dopo - non erano l'unica voce dell'America che conoscevamo, essendo
in realtà accompagnati e sovrastati da una miriade di altre immagini e di
altre voci, da una lunga serie di presidenti puzzoni e mediocri, da violenze
e discriminazioni, dalla Sporca Guerra, dalle visioni amare di Dylan e
Altaman, di Welles e Aldrich, dai delitti "di sistema" che hanno eliminato
lo stesso JFK, e poi suo fratello, e poi Luther King, e cento altri
oppositori o potenziali riformatori in quegli anni, come mille altri erano
stati eliminati o sterilizzati nei decenni precedenti.

L'America - per la sua storia, per la sua vastità e la sua natura - è come
la vita: nessuno odia l'America, come nessuno odia la vita. Ma le risposte
che dà la vita dipendono soltanto dalle domande che fai, da quello che vuoi
sapere, dalla tua visione del mondo, e non ci sono risposte politiche senza
un preciso criterio per giudicare.
A me l'America ha sempre dato l'idea di essere, politicamente, un fagotto di
cose contrapposte e diverse, che si reggono proprio in quanto contrapposte,
come le casette fatte con le carte da gioco.
Contrapposizioni che ovviamente fanno morti e feriti, poiché da qualche
parte queste benedette "contraddizioni" non possono più rimanre un
espediente dialettico, ma diventano cane, uomini e donne, miseria e
ingiustizia visibile.

Ma sono dolori che non generano vere spinte riformiste, ribellioni,
creazioni politiche, grazie ad un elemento che noi in Europa abbiamo smesso
di avere da moltissimo tempo: la sensazione (fondata o infondata, non
importa) di poter andare a rifondare la nostra vita e la nostra casa "da un
altra parte", o che ci sia sempre comunque un'ulteriore possibilità.
Una via di fuga, una sensazione che si fonda sulla storia ben nota degli
USA, sulla vastità territoriale, sulla enorme ricchezza che sembra a
disposizione, e non ultimo sulla ancora recente mitologia della frontiera:
un "sogno americano" che come sogno è sicuramente una dimensione interiore,
ma che nasce da una realtà fisica, materiale molto specifica dell'America.
Da gran tempo in Europa questa via di fuga, questa possibilità di
cambiamento e di trascendenza ha (aveva?) preso la forma della politica,
della trasformazione della società, salvo in quei casi in cui qualche re o
qualche più recente profeta non additasse una specie di "spazio vitale" -
una soluzione che appunto scavalcava il riformismo politico e ricreava una
sorta di "sogno", per la cui realizzazione interi popoli dovevano fare la
fine dei pellerossa americani, ossia l'annientamento.

Tornado strettamente a noi, direi che sarebbe il caso - se proprio si
desidera appunatre l'atenzione sugli states, come ispirazione politica - si
ritornare per un momento alle radici di quell'ambivalenza.
Così facendo, si scoprirebbe che in gran parte i valori democratici
jeffersoniani hanno potuto (nei limiti in cui hanno potuto) conservarsi o
evolversi in qualche tipo di riformismo, opponendosi ad una deriva puramente
capitalistica del sistema, soltanto in virtù di idee e comportamenti che
negli USA chiamano "liberal", e che corrispondono al nostro socialismo o
liberal-socialismo europeo - non alla lettera, ma nella rispettiva posizione
rispetto al sitema politico nel suo complesso.
Quindi, anche il legittimo amore verso alcuni valori che l'America ci ha
riflesso, non implica affatto l'amore o la sudditanza verso altri valori
americani, in realtà del tutto opposti. Implica semmai amore e rispetto (e
direi anche fedeltà) verso i corrispondenti valori politici socialisti
europei.
In definitiva: proprio attraverso l'America (una certa idea dell'America) si
diventa più socialisti, e non meno. Anche senza le obiezioni di Vidal.

= Piero DM =





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