[GARGONZA:9066] [Fwd: [SOMARIO:5745] DIRITTI UMANI E INVESTIMENTI]
stefano gatto  Giovedi`, 29 Giugno 2000




Caro Mobiglia:

Riappaio in mailing list dopo qualche tempo. Nessun mistero ne' interpretazione dietrologica legata alle vicende della lista. Ho solo avuto un sacco di cose da fare!
Avendo potuto comunque seguire la ML mi riprometto di inviare il mio contributo su alcuni temi, anche se un po' in ritardo rispetto ai tempi del dibattito.

Per quanto riguarda lo stralcio dal Financial Times sul tema "Diritti Umani ed Investimenti", mi permetterai qualche osservazione.

In linea di massima, lo sviluppo di cui si parla nell'articolo e' positivo: le multinazionali prendono sempre piu' in considerazione la situazione dei diritti umani nel paese nel quale pensano investire. In alcuni casi addirittura disinvestono. E' certo un'evoluzione importante rispetto ad un passato nel quale le due dimensioni s'ignoravano od addirittura le multinazionali si situavano a fianco dei dittatori.

Ma perche' le multinazionali si comportano sempre di piu' in questo modo? Probabilmente non per per rispetto di un astratto principio umanitario ma perche' temono conseguenze negative nei confronti dell'opinione pubblica nel loro paese d'origine o, piu' in generale, nel loro bacino d'utenza tradizionale. Si tratta quindi di un atteggiamento pragmatico piu' che idealistico (del resto e' inevitabile che sia cosi' visto che stiamo parlando d'imprese).

Lo studio segnalerebbe un ritardo in materia delle imprese europee rispetto a quelle americane, ed un' assenza di risposta da parte delle imprese giapponesi. Queste tendenze non sono affatto sorprendenti se teniamo in conto l'osservazione precedente: la societa' giapponese non si e' mai mostrata particolarmente sensibile all'interpretazione "occidentale" del concetto di diritti umani, e quindi l'opinione pubblica non e' portata a  fare pressione sulle imprese per questioni di questo tipo. E d'altronde le imprese sono padrone della situazione in Giappone, quindi sono loro a dettare le regole del gioco alla politica ed alla societa'.

Negli Usa la pressione della parte dell'opinione pubblica "impegnata" e' invece molto piu' forte e soprattutto piu' pesante in termini di pressione politica, il che rende le imprese potenzialmente piu' esposte a soffrire ritorsioni in caso di comportamenti giudicati scorretti.
Se la Pepsi se ne va dalla Birmania, probabilmente guadagna di piu' in termini d'immagine (e soldi) a casa propria di quanto viene a perdere in quel mercato abbandonato. Vediamo se la stessa societa' avra' il coraggio di lasciare la Cina, dove vende qualche lattina in piu'.

I cittadini europei non sono meno sensibili di quelli americani, anzi lo sono di piu'; anche se i temi d'interesse sono diversi. Cio' che scandalizza qua (pena di morte, armi, transgenici) non preoccupa piu' di tanto la'. E viceversa (family values, morale pubblica). Le lobby americane sono invece piu' organizzate ed efficaci delle nostre.

La mia tesi quindi e' questa: non e' tanto che le aziende europee siano "in ritardo" rispetto a quelle americane, ma sono piuttosto i gruppi d'interesse americani che riescono per il momento ad esprimersi con maggiore efficacia sulle aziende (anche perche' il sistema politico americano e' costruito sulle fondamenta dei gruppi di pressione, i nostri molto meno).

Per quanto riguarda l'appello a Prodi, dobbiamo distinguere i livelli d'intervento: la Commissione Europea, primo donatore al mondo di aiuti allo sviluppo, e' estremamente attenta al rispetto di quella che si chiama la "clausola diritti umani". Si tratta di una clausola sospensiva di erogazioni che e' applicata ogni qualvolta si verifichino situazioni problematiche in materia di rispetto dei diritti umani. E' vero, tale clausola e' volte usata con timidezza, ma dobbiamo anche considerare il trade-off tra il peso degli aiuti erogati dall' UE e gli interessi in gioco: nel caso della Cina il governo se ne fa un baffo di perdere qualche miliardo in progetti di cooperazione, per un paese africano non e' proprio cosi'. Dura lex sed lex.

Per quanto riguarda le possibilita' di pressione dei poteri pubblici sulle imprese, e' senz' altro possibile pensare alla definizione di un codice di condotta per le imprese europee nei loro rapporti con paesi terzi. ma tale codice non potra' che rimanere sempre volontario, non esiste alcuna possibilita' di misure coercitive nei confronti delle imprese che operano in paesi terzi (salvo il caso estremo dell' embargo, che alla luce delle ultime esperienze va adottato con estrema prudenza, dato che nessun embargo ha mai prodotto il minimo effetto sui governi presi di mira).

E' quindi piu' una questione di sviluppo della societa' e della sua capacita' di interazione con le imprese che di attuazione dei poteri pubblici.

Vorrei pero' sottolineare un altro punto, spesso trascurato nei dibattiti in Europa, ed al quale sono ovviamente piu' sensibile vivendo in un paese come il Brasile.
Sino a che punto i paesi sviluppati possono insistere sulla questione dei diritti umani, negando ai paesi emergenti od in via di sviluppo l'accesso ai loro mercati? In altre parole, facciamo attenzione a che il rispetto, di per se' legittimo, di certi principi, non diventi una scusa per giustificare il nostro protezionismo, che in questo caso sarebbe davvero ipocrita.

Un esempio: ricorderete che a Seattle Clinton, decisissimo a mandare a monte la possibilita' di un nuovo round multilaterale che avrebbe obbligato gli Usa ad aprire molto di piu' alle esportazioni un mercato teoricamente aperto ma nella praticamente chiusissimo, attacco' duramente una serie di paesi emergenti (tra i quali il Brasile) sulla questione dell' uso della  manodopera giovanile: guarda caso cito' alcuni settori nei quali gli Usa hanno perso drasticamente competitività, come il calzaturiero. Tale intervento, applaudito da tanti moralisti nel mondo intero perche' "anti-globalizzazione", e' stato aspramente criticato qui in Brasile perche' chiaramente ispirato da una doppia morale: dove il nord e' competitivo (prodotti ad alto valore aggiunto, servizi) bisogna aprire i mercati, dove il sud e' competitivo (prodotti a basso valore aggiunto e prodotti agricoli) bisogna invece difendere valori "superiori" (rispetto dei diritti umani, dell' ambiente, dei valori agricoli, del paesaggio ...) e quindi chiudere i mercati alla competizione.. Tutto giusto, ma qui c'e' qualcuno che le becca sempre, e sono i paesi del sud, che vogliamo sottoposti a tutta una serie di vincoli cui i nostri paesi non sono mai stati esposti.

Benissimo quindi il rispetto dei dritti umani, ma non dimentichiamoci di guardare il mondo anche dal punto di vista dei paesi dei paesi meno sviluppati od emergenti, che contano i 3/4 della popolazione mondiale. Questi paesi hanno delle pretese legittime che vanno ascoltate ed accolte: la prima di esse non e', come un tempo, l'erogazione di fondi, ma l'apertura dei nostri mercati ai loro prodotti, oggi intralciata da tanti meccanismi molti dei quali sembrano impeccabili a noi cittadini d'occidente ma che nella pratica si rivelano ingiusti e discriminatori nei confronti dei paesi meno sviluppati.

Il protezionismo non e' una risposta vincente per nessuno, ma il libero commercio deve essere basato sul rispetto di un principio d'equita' che a volte puo' dar luogo a delle belle sorprese!

Ciao.

Stefano Gatto
Brasilia D.F.

Mobiglia wrote:

Dal Financial Times - 06 aprile 2000

DIRITTI UMANI E INVESTIMENTI
Il peso dei diritti umani sugli investimenti è in aumento. Le preoccupazioni
relative ai diritti umani stanno influenzando significativamente le
decisioni dei vertici delle compagnie, questo il dato che emerge da uno
studio dell'Ashridge Centre for Business and Society, un centro studi
inglese per imprenditori. Analizzando le maggiori 500 compagnie mondiali,
emerge che il 36% è stata influenzata da essi relativamente a specifici
progetti e il 19% ha abbandonato dei Paesi per questo motivo. Casi citati,
la Shell in Nigeria e la PepsiCola che ha abbandonato nel 1997 la Birmania a
seguito delle pressioni dei gruppi di protesta sui diritti umani e degli
studenti. In ogni caso, solo il 44% delle società esaminate ha un codice di
condotta che esplicitamente fa riferimento ai diritti umani. Ma la metà di
coloro che non ne fanno riferimento prevedono che in futuro questo fattore
entri nei loro codici di condotta. Secondo le parole del direttore del
centro, Andrew Wilson "l'evidenza suggerisce che sebbene l'aspetto dei
diritti umani non sia esplicitato in specifiche linee guida, rientra
nell'agenda delle aziende e viene già preso in considerazione", "non per
motivi di public relations ma perché è un aspetto critico nella gestione dei
"corporate risk". Va precisato che solo 52 delle 500 società hanno risposto
al questionario inviato dai ricercatori e sono mancate all'appello
soprattutto le società giapponesi.

Il 60% delle società che hanno risposto hanno del personale che ha fra le
proprie responsabilità anche la cura di questo aspetto, ma solo il 16% ha un
manager "dedicato" ai diritti umani. Si tratta soprattutto di società
minerarie, petrolifere ed estrazione del gas.

Sempre secondo questo studio, sono più le società americane rispetto a
quelle europee, che hanno effettuato disinvestimenti per cause legate al
mancato rispetto dei diritti umani Una nota interessante è che gli
intervistati hanno preferito rivolgersi ad altre imprese piuttosto che a ONG
nel monitorare condizioni sui diritti umani, come dire che preferiscono
rapportarsi fra loro piuttosto che confrontarsi con la cosiddetta società
civile.

FINANCIAL TIMES

+++++++++++++++++++++++++++++++
Insomma, clamorosamente scopriamo che l'Europa e' in ritardo sul rispetto
dei diritti umani da parte delle multinazionali, anche se il monitoraggio
appare parziale e insufficiente, a causa del disinteresse di troppe
societa'.
Il buon Prodi ci mettera' una pezza?
***
Ecco un appello da firmare e spedire (posta cartacea...)
Baci
Flavio
+++++++++++++++++++++++++++++++

Maisto International
7751 Cherry Avenue, Fontana,
CA 92336 USA
Fax 001-909-3572020

Dear Sir,

We would like to bring to your attention several urgent issues currently
facing the workers of Master Toy Company in Thailand. These issues lead to
demonstrations of over 400 workers in the last few days. Please consider the
following items:

The new location is not ready, with no dormitory; workers travel 180 km per
day (4 hours); the production line is not complete; emergency exits are
locked, no safety and protective equipment are supplied.

Labour laws are violated: workers are offered only 50% of applicable
compensation; union members are discriminated; workers are fired or demoted
for supporting the union.

Human rights are violated: husbands and wives are fined 100 baht (almost a
daily wage) for spending more than one hour together, after working hours,
in the dormitory; workers are fined for not wearing 'appropriate' shoes (no
shoes are supplied with uniform).

We respectfully request that you, Maisto International, apply pressure to
this company to:

respect the right to form a union

adhere to Thai labour laws

stop human rights violations

provide industry standard protective equipment

improve living conditions in dormitories

provide internationally acceptable safety standards in factories

fit out the new factory properly before workers commence at that site.

We thank you for your time and hope that you will be able to assist us in
this matter. Yours truly.

TRADUZIONE

Egregio Signore, intendiamo portare alla vostra attenzione alcune questioni
urgenti riguardanti i lavoratori della Master Toy Company in Thailandia.
Questi problemi hanno portato ad una manifestazione di 400 lavoratori nei
giorni scorsi. Vi preghiamo di considerare i seguenti problemi: la nuova
fabbrica non è ancora pronta, senza dormitorio; i lavoratori percorrono 180
Km al giorno (4 ore) per recarvisi; la linea di produzione non è completa;
le uscite di emergenza sono bloccate e non è fornito alcun equipaggiamento
protettivo. Le leggi del lavoro sono violate: ai lavoratori è stato offerto
solo il 50% di un eventuale indennizzo per andarsene; i membri del sindacato
sono discriminati; i lavoratori che appoggiano il sindacato sono licenziati
o spostati. I diritti umani sono violati: marito e moglie subiscono multe di
100 baht (il salario di un giorno) se passano più di un'ora insieme nel
dormitorio; i lavoratori sono multati perché non indossano scarpe
appropriate (le scarpe non sono fornite con la divisa).
Chiediamo rispettosamente che la Maisto International faccia pressione su
questa compagnia affinché:
- rispetti il diritto a formare un sindacato,
- aderisca alle leggi sul lavoro thailandesi,
- interrompa le violazioni dei diritti umani,
- fornisca equipaggiamento protettivo industriale,
- migliori le condizioni di vita nei dormitori,
- stabilisca accettabili standard internazionali di sicurezza nelle
fabbriche,
- completi adeguatamente la nuova fabbrica prima che i lavoratori comincino
a lavorare.
Vi ringraziamo per l'attenzione e speriamo che possiate aiutarci su queste
problematiche. Distinti saluti.

FONTE: ASIA MONITOR RESOURCE CENTER
http://www.manitese.it/boycott/boycott.htm





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