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Calenda: «Il Pd è fondato sul rancore. Bisogna andare oltre»

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Calenda: «Il Pd è fondato sul rancore. Bisogna andare oltre»

Messaggioda franz il 09/11/2018, 23:52

Calenda: «Il Pd è fondato sul rancore. Bisogna andare oltre o i populisti vinceranno ancora»

Intervista a tutto campo all’ex ministro dello Sviluppo Economico. «All’Italia serve un new deal basato sui giovani e sull’istruzione». I paesi dell’Est Europa? «Dovrebbero uscire dall’Unione Europea»

«I populismi? Nascono dal nostro fallimento». Carlo Calenda non è tipo da pensieri banali, non da oggi. Quarantacinque anni, un recente passato da ministro dell’Economia e da rappresentante permanente italiano presso l’Unione Europea, è oggi il vero maverick del Partito Democratico -che vorrebbe veder superato da un più ampio Fronte Repubblicano, da Emma Bonino a Giuliano Pisapia- e del centrosinistra italiano, battitore libero che si è dato la missione - o si è permette il lusso: dipende dai punti di vista - di bombardare il quartier generale per svegliarlo da trent’anni di «fideismo dogmatico per la globalizzazione prima, e per la tecnologia ora». Uno sguardo, il suo, che non chiama alla chiusura e alla paura, ma che tuttavia non nega la paura, «un sentimento che ha piena legittimità» e che la sinistra, o meglio «chi ha governato la globalizzazione dalla caduta del muro di Berlino alla vittoria di Trump ha sempre negato, come se il futuro fosse la medicina che cura tutti i mali».

È un pensiero, questo, che Calenda ha messo nero su bianco nel suo “Orizzonti Selvaggi. Capire la paura e ritrovare il coraggio” (Feltrinelli, 2018), un volume che presenterà stasera alle 17,30 a GenerAZIONE, il festival de Linkiesta, presso il Teatro Franco Parenti di Milano. E che contemporaneamente è una disamina spietata degli errori commessi da chi ha tenuto le leve della politica degli ultimi trent’anni. E assieme, seguendo l’esempio di Franklin Delano Roosevelt, stella polare del pensiero calendiano, un tentativo di proporre svolte radicali e «un ideale progressista del terzo millennio». Un un nuovo «necessario new deal» che parte da un poderoso investimento nell’istruzione . Altrimenti, spiega, «la democrazia liberale rischia di essere messa in soffitta da nuove forme di governo della cosa pubblica».

Va bene, Calenda, avete sbagliato tutto: ma qual è l’errore degli errori, il primo della lista?
L’errore, la grande sconfitta nella grande trasformazione, è stato pensare che mercato, innovazione e tecnologia avrebbero portato benessere in tutto il mondo. Ne hanno portato molto, certo, ma non alla classe media occidentale. Soprattutto, hanno portato a un regresso della democrazia, che da qualche anno a questa parte è un sistema di governo in regressione, non in espansione.

Siamo al trilemma di Rodrik, quindi? Che non si possono avere democrazia, globalizzazione e sovranità nazionale tutti assieme?
Siamo lì. Ma in realtà non è del tutto vero, perché quello in cui ci troviamo oggi non era un destino ineluttabile. Potevamo gestire la transizione al nuovo mondo in modo molto più pragmatico e meno ideologico, com’era stato fatto durante la Seconda Guerra Mondiale.

Ad esempio?
Alcune politiche di aggiustamento della distribuzione della ricchezza, dal lato delle disuguaglianze economiche, potevano essere attuate anche in un contesto di internazionalizzazione molto spinta. Se non sono state promosse è soprattutto per colpa di un pregiudizio ideologico: semplicemente noi abbiamo pensato che bastassero mercato, tecnologia e innovazione per sistemare le cose. Allo stesso modo, e qui mi riferisco soprattutto all’Italia, non si è pensato che un nuovo mondo avesse bisogno di nuovi strumenti culturali. E invece, per trent’anni, abbiamo tagliato risorse alla scuola anziché aggiungerne.

Lei pensa che il primo mattone per ricostruire la democrazia sia la scuola?
Io penso che abbiamo bisogno di un "new deal" e che il cuore di questo "new deal" si chiami istruzione: che si debba dare al figlio di una casalinga di Pomigliano le stesse opportunità che ha un figlio della borghesia milanese. In Italia i bambini sono pochi, purtroppo, ma perlomeno il costo di questo investimento non è gigantesco.

Con i governi Renzi e Gentiloni un po’ di soldi sulla scuola li avete messi…
Nell’ultima legislatura abbiamo governato decentemente, e prova ne è che l’economia è ripartita, che un po’ di cose le abbiamo messe a posto. Quel che non abbiamo capito è che governare come se fosse tutto normale, non serviva a nulla. Che in Italia, in Europa, nel mondo occidentale c’era una fortissima spinta a cambiare tutto. E se a questa domanda tu non dai un indirizzo razionale, poi arriva l’asteroide. Ecco: in Italia, di asteroidi ne sono arrivati due.

E in Europa ne rischiano di arrivare altri, il prossimo 28 maggio. A proposito di Europa: nel suo libro lei difende il ruolo dello Stato nazione, che sembrava la prima vittima globalizzazione e che oggi, dall’inizio della crisi, sembra essere tornato prepotentemente in auge. Il problema, semmai, è che sono proprio gli Stati nazionali, coi loro veti incrociati, ad aver fatto arenare il progetto di una maggior integrazione europea...
Sono d’accordo sul fatto che la principale barriera alla costruzione dell’Europa siano gli Stati nazionali. Allo stesso modo, però, chi è spiazzato dal cambiamento si rivolge allo Stato nazionale, ed è allo Stato nazionale che chiede protezione. Noi dobbiamo essere pragmatici: oggi l’Europa federale non si può più fare, a meno di non iniziare un processo che avrà durata pluridecennale. Serve coordinamento internazionale, quindi.

Ma?
Ma contemporaneamente devi rafforzare la capacità di protezione dello stato nazionale. Non puoi continuare con la retorica del superamento dello Stato nazionale, perché i cittadini non la accettano. E non la accettano perché non abbiamo dato loro nessuna alternativa credibile.

Quando parla di protezione chiama in causa le paure delle persone. Quella per la tecnologia, ad esempio. Sbagliano le persone ad averne paura?
No, non sbagliano. Perché la tecnologia attuale, per la prima volta nella storia, ha superato la comprensone dell’umano. Tutti, anche i più esperti studiosi della materia, ci chiediamo oggi se sia l’uomo ad agire la tecnologia, o la tecnoloigia che agisce l’uomo. Riconoscere questa problematica non vuol dire diventare luddisti. Ma non non possiamo permetterci di rifare lo stesso errore che abbiamo fatto con la globalizzazione, aggiungendo un fideismo all’altro. Peraltro mettere in dubbio la tecnologia è ancora più difficile che mettere in discussione globalizzazione.

E come si mette in discussione la tecnologia?
Il punto è che su questo bisogna avere una strategia di investimento, ma anche di protezione. E poi va assicurata una governance alla tecnologia, per evitare che i grandi titani dell’internet economy escano dalle regole del mercato, e che gestiscano i dati in modo trasparente, senza abusi.

È favorevole alla web tax?
Totalmente. È il minimo sindacale. Quando i giganti della web economy, in Italia, pagano in totale appena 14 milioni di tasse vuol dire che sei fuori da ogni regola di mercato. E i liberisti alle vongole possono rispondere quanto vogliono che se li tassi, Amazon e soci aumenteranno il prezzo dei loro prodotti: scusate, perché vale per loro e non per il barista? Allora non tassiamo nemmeno il barista, no? La verità è che si considera l’innovazione come un porto franco in cui può accadere qualunque cosa. Il punto filosofico, invece, dovrebbe essere un altro.

Quale?
Investire nel potenziamento dell’uomo tanto quanto abbiamo investito nel potenziamento della tecnologia. Io sono convinto che il vantaggio competitivo di un’economia nazionale non si fonderà sulla tecnologia che finirà per essere niente più che una commodity, ma sulla capacità di interpretazione con spirito umanistico della medesima.

anche il lavoro sta diventando una commodity? Lo diciamo pensando a quelle aziende che se ne vanno dall’Italia semplicemente perché nell’est Europa costa meno. Lei definì “gentaglia” i padroni di Whirlpool o di Embraco, che portavano le loro produzioni altrove...
Posso dire una cosa antipatica?

Prego.
I Paesi del blocco di Visegrad in Europa non ci dovrebbero stare. Attraggono fondi strutturali e poi attraggono investimenti semplicemente perché sono più indietro da un punto di vista economico. Col risultato che il costo dello sviluppo della Slovacchia lo paga l’operaio italiano dell’Embraco, ma non l’Embraco che moltiplica i profitti. Abbiamo fatto questo errore con la Cina e già è stato inspiegabile quello. Con la Slovacchia lo è ancora di più: perché è integrata nel mercato europeo e si prende i fondi strutturali.

Paradossi: i populismi sono emersi anche a causa dell’opportunismo dei Paesi dell’Est Europa. E poi si sono alleati con loro…
I populismi poggiano su un fallimento, il nostro. Non è pericoloso prendere atto delle cause. Loro hanno capito tre cose, molto meglio di noi.

La prima?
La voglia di cambiamento radicale.

La seconda?
L’orientamento al presente, mentre noi eravamo orientati al futuro. Noi pensavamo che il futuro ci avrebbe ripagato dai sacrifici di oggi, ma la gente è stufa dei benefici nel futuro.

La terza?
Che hanno dato voce alla paura, mentre noi la negavamo. Io credo invece che la paura sia un sentimento legittimo. “L’unica cosa di cui aver paura sia la paura”: è l’unica citazione di Roosevelt che sanno a memoria, quella del suo discorso di insediamento, ed è una delle poche cose sbagliate che Roosevelt ha detto. in quel discorso disse anche, Roosevelt, che avrebbe chiesto poteri straordinari al governo come se un nemico avesse invaso l’America. E che quel nemico si chiamava povertà. Io preferisco questo Roosevelt. Secondo me una forza progressista dovrebbe ripartire da questo Rosevelt.

Parla di progressismo, una parola che suona antica, nel 2018.
La cosa assurda è che la maggioranza dei millenial la considera come una parola negativa, qualcosa di cui avere paura. Oggi la gente ha paura del progresso. Eppure c’è un modo di intendere il progresso, pragmatico, che può ridare dignità all’idea che lo spirito dell’uomo abbia al suo interno una tensione al progresso, al miglioramento, e non alla difesa dell’esistente.

Perché secondo lei il Partito Democratico non può essere portavoce di queste istanze? Lei ha detto più volte che andrebbe sciolto in un Fronte Repubblicano più ampio...
Perché è costruito su una serie di rancori decennali nella sua classe dirigente, gente che ormai nemmeno riesce a sedersi a cena assieme a parlare, figurarsi a guidare un partito.

Non basta cambiare classe dirigente?
No, perché l’aspetto più importante è storico. La democrazia liberale va ridisegnata completamente: e bisogna rimettere assiem famiglie politiche molto diverse - socialdemocratici, liberali e popolari - che nel ’900 erano contrapposte, ma oggi devono fare assieme.

Istituzionalizzare il modello della grande coalizione, in pratica...
La grande coalizione è l’embrione del futuro, se cambia la piattaforma ideale. Servirebbe una Bad Godesberg dei grandi partiti popolari. Solo che invece che liberarsi del socialismo reale dovrebbero smettere di essere elitari, schienati sull’accademia economica e sull’ideologia liberista.

Nel frattempo con chi si schiererà al prossimo congresso del Pd, visto che lei è un iscritto e militante a tutti gli effetti...
Parteciperò, certo. Il mio discrime sarà chi condivide il superamento del Pd. Non mi interessa la contrapposizione tra renziani e antirenziani, tra buoni contro cattivi. Io penso che chiunque sarà eletto dovrà coordinarsi ogni settimana con tutti quei soggetti che assieme a lui formeranno il fronte repubblicano da contrapporre ai populismi, da Pizzarotti, a Bonino a Pisapia. Per fare opposizione, ma anche per costruire una proposta politica alternativa.

Al sodo: Zingaretti o Minniti?
Zingaretti è un candidato valido, Minniti è un candidato molto valido.

Ultima domanda: e se nel Fronte Repubblicano facesse capolino anche la costola di sinistra del Movimento Cinque Stelle? O, ancora meglio: se ci fosse una crisi del governo gialloverde?
I
l Movimento Cinque Stelle è un blocco unico, avversario in tutto e per tutto. E poi nessuno di loro conta nulla, o quasi. L’unica cosa vera, lì dentro si chiama Davide Casaleggio. Casaleggio ha un’idea molto chiara di superamento della democrazia liberale e instaurazione di un modello di democrazia diretta. Il resto è un variegato vaffanculo. E sinceramente non mi interessa.

Francesco Cancellato
https://www.linkiesta.it/it/article/201 ... sti/40089/
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Re: Calenda: «Il Pd è fondato sul rancore. Bisogna andare ol

Messaggioda pianogrande il 11/11/2018, 1:06

Lo stato nazionale che ci tutela
Ma Calenda è mai capitato in Italia?

La tecnologia
E' l'uomo ad agire la tecnologia o...
Ma questo c'è o ci fa?
Adesso dobbiamo avere paura della tecnologia?
Allora va benissimo che siamo rimasti indietro di decenni?


La delocalizzazione
Sveglia Carletto!
La delocalizzazione viene dalla nostra arretratezza e non da quella di altri paesi.
Semplicemente noi stiamo arretrando e andiamo in concorrenza con i poveri.
Allora (a prescindere dal fatto che sono sempre stato contrario anche io all'allargamento ad est ma per altri motivi) ci dobbiamo chiudere e, alla fine, tornare allo stato nazionale e poi magari dividerlo in buoni e cattivi (come la vecchia lega)?

W la paura
Dalla "legittima" paura ci difenderà qualche superman con poteri straordinari (alla Roosevelt).

Più che il latte alle ginocchia, mi viene un sorriso amaro.

Ma è questa la gente che dovrebbe rinnovare il paese?
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Calenda: «Il Pd è fondato sul rancore. Bisogna andare ol

Messaggioda Robyn il 11/11/2018, 7:14

Sono d'accordo con Calenda bisogna saper leggere il paese capire le sue paure ma non assecondarle mai,ma agire di conseguenza affinche siano debellate,bisogna aver paura della paura,perche la paura ti blocca.Poi dice che la ricerca scientifica e il progresso della tecnologia devono essere utili all'umamità e non possono rivolgersi contro di essa.I paesi di Visegrad?Direi un bel casino perche ormai sono entrati.La colpa è dell'euroscettiscismo inglese che contrario all'Europa federale ha fatto entrare i paesi di Visegrad sapendo bene che mal si conciliassero con il resto dei paesi dell'Eurozona.Avrei preferito maggiormente che entrassero la Bosnia Erzegovina,la Croazia,che hanno subito la guerra civile ma anche quelli sono stati paesi colpiti dal nazionalismo.Essere europeisti non significa per niente rinnegare un sentimento di appartenenza al paese di origine,anzi esserne fieri,ma allo stesso tempo bisogna evitare che questo si trasformi in sovranismo ed ancora peggio in nazionalismo.L'Europa è percepita solo come un'insieme di rigide regole ma non è così.Le regole europee danno solo una cornice di riferimento sù principi generali all'interno del quale esiste un'ampia elasticità di adattamento dei singoli paesi europei.Le regole però devono trovare legittimazione attraverso il parlamento europeo che è quello che rappresenta i cittadini europei e non attraverso la commissione europea.Che cosa è la commissione europea?Secondo le normali regole della democrazia parlamentare non potrebbe legiferare se non per delega del parlamento che accetta o respinge i dl del governo,ma rappresentare solo il governo espressione del parlamento con funzioni prevalentemente esecutive per quello è importante la riforma delle istituzioni europee
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Re: Calenda: «Il Pd è fondato sul rancore. Bisogna andare ol

Messaggioda franz il 11/11/2018, 10:47

Concordo con Pianogrande e per me lo strafalcione più abnorme è questo:
I Paesi del blocco di Visegrad in Europa non ci dovrebbero stare. Attraggono fondi strutturali e poi attraggono investimenti semplicemente perché sono più indietro da un punto di vista economico. Col risultato che il costo dello sviluppo della Slovacchia lo paga l’operaio italiano dell’Embraco, ma non l’Embraco che moltiplica i profitti. Abbiamo fatto questo errore con la Cina e già è stato inspiegabile quello. Con la Slovacchia lo è ancora di più: perché è integrata nel mercato europeo e si prende i fondi strutturali.

Se questo è il PD, preferisco Salvini.
Il fatto è che i paesi dell'est ricevono sì i fondi strutturali ma ne fanno buon uso.
Crescono. E crescono così tanto che hanno raggiunto ed in alcuni casi superato il meridione d'Italia.
Mi pare di aver già messo qui le mappe geo economiche che testimoniano tutto questo ma non ho problemi e ricercarle e metterle qui se qualche San Tommaso le chiedesse.
Il problema è che invece a non crescere è il meridione d'Italia, malgrado i fondi strutturali, quasi mai usati, decine di migliaia di miliardi per la cassa del mezzogiorno ed altri riversamenti.

Secondo la logica di Calenda (se mi perdonate l'esagerazioni ad usare il termine "logica", argomento a cui si sono applicati i migliori studiosi della storia) a non doverci stare in EU dovrebbe essere l'Italia.
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Re: Calenda: «Il Pd è fondato sul rancore. Bisogna andare ol

Messaggioda Robyn il 11/11/2018, 22:17

L'Europa ti dà i fondi strutturali per fare investimenti non per diminuirci il costo del lavoro e fare una competizione sleale con i paesi che contribuiscono a formare i fondi strutturali che poi vengono redistribuiti fra i vari paesi dell'eurozona.Mi pare che di questo già si era già parlato.Allora se si era già parlato di questo siamo un paese dalla memoria corta
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Re: Calenda: «Il Pd è fondato sul rancore. Bisogna andare ol

Messaggioda franz il 12/11/2018, 10:16

Robyn ha scritto:L'Europa ti dà i fondi strutturali per fare investimenti non per diminuirci il costo del lavoro e fare una competizione sleale

Il costo del lavoro è sempre stato basso negli ex paesi comunisti.
Se hai prove che grazie ai fondi strutturali le imprese hanno diminuito il costo del lavoro, esponile.
Per me non le hai.
Tra l'altro proprio la crescita di quei paesi dimostra il contrario: il loro reddito è aumentato.
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Re: Calenda: «Il Pd è fondato sul rancore. Bisogna andare ol

Messaggioda pianogrande il 12/11/2018, 11:21

franz ha scritto:
Robyn ha scritto:L'Europa ti dà i fondi strutturali per fare investimenti non per diminuirci il costo del lavoro e fare una competizione sleale

Il costo del lavoro è sempre stato basso negli ex paesi comunisti.
Se hai prove che grazie ai fondi strutturali le imprese hanno diminuito il costo del lavoro, esponile.
Per me non le hai.
Tra l'altro proprio la crescita di quei paesi dimostra il contrario: il loro reddito è aumentato.


E i "fondi" dell'Europa noi non siamo capaci di usarli.
Insomma quando si tratta di competere siamo davvero penosi e allora ci ritroviamo una classe dirigente alla ricerca di isolamento per potersi rifugiare sulle svalutazioni e altre scappatoie effimere quanto micidiali.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Calenda: «Il Pd è fondato sul rancore. Bisogna andare ol

Messaggioda trilogy il 22/12/2018, 16:04

pianogrande ha scritto: ....

La delocalizzazione
Sveglia Carletto!
La delocalizzazione viene dalla nostra arretratezza e non da quella di altri paesi.
Semplicemente noi stiamo arretrando e andiamo in concorrenza con i poveri.
Allora (a prescindere dal fatto che sono sempre stato contrario anche io all'allargamento ad est ma per altri motivi) ci dobbiamo chiudere e, alla fine, tornare allo stato nazionale e poi magari dividerlo in buoni e cattivi (come la vecchia lega).....

:D questa mi piace molto
Però in mezzo ad osservazioni poco lucide, calenda una cosa sensata la dice: la sinistra ha rincorso tutte le "mode" ma non ha capito e interpretato la paura della gente, non ha capito che sacrifici oggi per un benessere futuro, ma che in realtà non arriva mai non è una politica sostenibile.
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