Così l’Europa cambia facciaTasse, migranti, difesa le sfide per la svolta
ANDREA BONANNI
BRUXELLES.
L’Europa a due velocità esiste già. Dalla moneta unica a Schengen alla tassa sulle transazioni finanziarie, sono molti i campi in cui i Ventotto (presto Ventisette con l’uscita del Regno Unito) marciano in ordine sparso sulla base delle cosidette “cooperazioni rafforzate”. A che cosa pensa dunque la cancelliera Merkel quando propone di formalizzare questa distinzione per gli sviluppi futuri della Ue?
Sicuramente a prendere tempo, in attesa che si chiuda l’anno elettorale, definendo innanzitutto un metodo che sarà poi riempito di contenuti dai nuovi governi che si formeranno a Parigi, a Berlino e forse a Roma. Ma anche a formalizzare la constatazione che l’attuale Unione Ventotto è troppo eterogenea, politicamente, culturalmente ed economicamente, per consentire di prendere le decisioni necessarie ad affrontare le nuove sfide che l’Europa si trova davanti. Ecco i tavoli su cui si dovrà giocare questa partita.
SÌ AL MINISTRO COMUNE
Il nucleo di partenza è, ovviamente, quello dell’Unione monetaria a cui partecipano diciannove Paesi: Italia, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Grecia, Austria, Slovacchia, Slovenia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Cipro e Irlanda. Le regole dell’Unione monetaria impongono una armonizzazione delle politiche di bilancio per contenere debito e deficit. Ma non vincolano le politiche economiche dei vari governi. Questo ha determinato una crescente divergenza delle economie all’interno della zona euro, con una maggioranza di Paesi che ha notevolmente migliorato l’efficienza e la competitività. Ed altri, in particolare Italia, Grecia e Portogallo, che si sono fatti sempre più distanziare. Questa divergenza rischia di rendere insostenibile la tenuta della moneta unica. Le possibili soluzioni sono due.
Prima:
varare una vera governance economica della zona euro, che obblighi chi non lo ha fatto ad adottare le riforme necessarie per tornare a convergere con gli altri salvando la moneta unica. Questa governance andrebbe accompagnata con la nascita di un
ministro delle Finanze europeo, un bilancio autonomo dell’eurozona per finanziare politiche comuni e una politica di tassazione uniformata.
Seconda: escludere dalla moneta unica quei Paesi che non riescono a reggere il ritmo degli altri in termini di efficienza e competitività (e qui l’Italia è evidentemente a rischio). Oppure creare due monete: una per i Paesi più efficienti e l’altra, svalutata, per quelli che non sono riusciti ad adeguarsi alla sfida dell’euro.
REGOLE SUI MIGRANTI
Già oggi esiste lo spazio Schengen, che ha abolito le frontiere interne, ma che è sospeso da molti mesi per effetto dello tsunami migratorio. Ad esso partecipano tutti i Paesi della Ue con l’eccezione di Irlanda, Gran Bretagna, Romania, Bulgaria e Croazia. Inoltre sono parte dello spazio unico europeo Svizzera, Norvegia e Islanda che non fanno parte della Ue.
Anche per l’area di libera circolazione, come per la moneta unica, l’esperienza ha evidenziato le inadeguatezze. Non ci può essere uno spazio di sicurezza comune senza una politica migratoria unica, che ridistribuisca gli oneri e che faccia rispettare ovunque le medesime regole. L’emergenza terrorismo ha poi evidenziato la necessità di un miglior coordinamento di polizia, servizi e magistratura. La
creazione di un vero spazio unico di sicurezza implica però la creazione di una sorta di “Ministero degli Interni” europeo, che si faccia carico di tutti questi compiti. E’ possibile anche una estensione del mandato della costituenda Procura europea, con la definizione di competenze di indagine che sarebbero attribuite a livello comunitario. Anche su questi punti è evidente che Paesi come quelli dell’Est europeo, che rivendicano piena sovranità sulle proprie frontiere, sarebbero esclusi automaticamente.
MILITARI E VOLONTARI
Su questo tavolo non esistono ancora cooperazioni rafforzate in modo sistematico, anche se ci sono collaborazioni già collaudate di alcuni Paesi, soprattutto in campo industriale. L’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Federica Mogherini, ha presentato una serie di proposte per creare un embrione di Difesa europea. Non siamo ancora alla nascita di un esercito comune. Ma già le resistenze degli americani dei britannici e dei Paesi dell’Est hanno per esempio bloccato l’idea di creare un Quartier Generale europeo, che gestisca in modo centralizzato le oltre sedici missioni militari e civili che la Ue compie fuori dai propri confini.
La
creazione di una Difesa europea, che verosimilmente dovrebbe disporre anche di un proprio Fondo per finanziare investimenti e operazioni militari, avverrà dunque sulla base di partecipazioni volontarie da parte di chi è disposto a mettere in comune forze, risorse e progetti di lungo termine. La nuova politica di Trump verso la Nato e l’Europa dovrebbe accelerare il progetto. Che però evidentemente implica anche un rafforzamento della politica estera comune in forme che restano tutte da determinare.
MAGGIORE IDENTITÀ
In teoria tutti gli stati membri della Ue hanno sottoscritto la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In pratica, Polonia e Ungheria sono da tempo in rotta di collisione con Bruxelles proprio per il mancato rispetto di questi diritti. Inoltre la montata dei partiti populisti all’interno, e la sfida politico-culturale che l’amministrazione Trump porta alla Ue dall’esterno, rafforzano la necessità di
riaffermare i valori liberal-democratici che sono alla base della costruzione europea e di cui l’Europa rischia di diventare il solitario portabandiera nel mondo. Sono gli stessi valori richiamati da Angela Merkel proprio in occasione dell’elezione di Trump. La creazione di un “nucleo forte” della Ue difficilmente potrà prescindere da una riaffermazione identitaria che ne delimiti il perimetro.
NUOVO PARLAMENTO
La formalizzazione di una Europa a più velocità implica la necessità di
rivedere il funzionamento del Parlamento europeo. Gli eurodeputati dei Paesi che faranno parte del gruppo più ristretto dovranno infatti poter decidere sulle materie che saranno di loro competenza.
Resta inoltre da definire, ed è un dettaglio cruciale, se il futuro “nucleo duro” dell’Europa sarà composto da Paesi che condividono tutte queste politiche, o se sarà invece possibile partecipare ad una cooperazione rafforzata e non ad un’altra.
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