da pierodm il 17/02/2009, 2:11
Incrociatore:...in quella piazza sembra non ci sia mai stato nessuno in compenso qualcuno oggi non si vergogna a di attribuire tutti i mali del Paese ai comunisti... che in quella piazza certo non c'erano.
Mio padre c'era. E al tempo non era comunista, anche se lo era il resto della famiglia.
Al tempo, era anzi un fervente cattolico, che aveva verso il fascismo un atteggiamento "possibilista".
Solo più tardi, con gli eventi della guerra e della Resistenza, e con una faticosa maturazione culturale, è diventato comunista anche lui, come suo padre e i suoi fratelli.
Mio padre ricordava spesso, e sotto diverse angolazioni, quale fosse il suo stato d'animo e la sua posizione politica che lo aveva portato a non schierarsi in modo netto contro il fascismo - compreso il fatto che, essendo del '12, per diversi anni ha vissuto il regime da bambino e adolescente, in qualche modo più facilmente influenzabile.
Una posizione che potremmo definire sostanzialmente "legalitaria": quello era il governo, quelle le leggi, e dunque era necessario rispettarli.
Anche il clima familiare - suo padre tra i primi ad iscriversi a Roma al neonato PCI nel '21 - non riusciva a scuoterlo più di tanto, sia perché suo padre evitava di condizionare i figli con pressioni ideologiche, sia perché il "comunismo" a quello stadio lo percepiva più come una forma di ribellismo che come un insieme di valori positivi (in senso istituzionale), caratteristica che invece ritrovava, per esempio, nella storia e nella grandezza temporale della Chiesa.
Nel ricordare questo, mio padre ovviamente racontava anche di quale fosse il genere di "consenso" che aveva il fascismo, fatto di una varietà di posizioni, alcune simili alla sua, altre più conniventi con le azioni d'ordine del fascismo stesso, del quale si derideva sepsso la pomposità, ma si condividevano in fondo proprio quelli che più tardi sarebbero stati condannati come difetti o come vergogne. Non da parte di tutti gli italiani, ma da una buona maggioranza.
Era un'Italia diversa da questa attuale, certamente, e meno clamorosa, meno vociante ... con meno "approfondimenti", diciamo.
I clamori semmai erano di esclusiva competenza del governo.
In parte per questo motivo, in parte per la genesi stessa del regime, tuttavia il consenso era più che altro un assenso tacito, nel quale tante idee si agitavano o covavano nel silenzio, alimentando così l'inerzia verso il potere o verso semplicemente il "dato di fatto" imposto dall'autoritarismo.
In qualche buona misura questo ha contribuito a far dire in buona fede a molti, dopo la guerra, che "non erano stati fascisti", e che anzi avevano provato spesso repulsione per certe prepotenze e certe violenze, certe parole d'ordine del fascismo stesso - che era rimasta però al livello del "buon gusto", o dell'indole personale, o della censura verso la prevaricazione del potere considerata come "fatale".
Oggi le cose non stanno più così. Oggi sappiamo, e siamo in grado riconoscere i segni della devianza, sia politica sia culturale.
Oggi l'assenso, quando c'è, non è silenzioso: è gridato, ripetuto e amplificato, moltiplicato dalla comunicazione.
Oggi quelli che dicono certe cose - malate di xenofobia, razzismo, autoritarismo, stronzaggine pura e semplice - non sono un "dato di fatto", ma li votiamo, li scegliamo, li appoggiamo apertamente e li mandiamo al governo.
Non c'è più la scusa della Marcia su Roma. Non ci sono alibi.