da pierodm il 14/02/2009, 2:57
Certo, siamo arrivati lontanuccio dal tema originario, ma va bene così.
Pino e Stefano hanno ragione, naturalmente, e - se non avessimo sempre, tutti noi, io compreso, timore di apparire ipercritici... come Travaglio - potremmo dire anche di peggio, sui giornalisti, sui palinsesti televisivi, sulle soubrettes in qualità di "esperti" o di "popolo", etc.
Io confesso una cosa a riguardo.
Da due o tre anni non compro più i giornali, fatta eccezione per la Repubblica della domenica, della quale m'interessano l'editoriale di Scalfari e le pagine centrali di tipo saggistico.
E ascolto solo fuggevolmente i telegiornali: preferisco Blob e perfino Texas Ranger.
Delle trasmissioni di approfondimento seguo solo Santoro. Evito accuratamente Vespa. Altre le seguo a spizzichi e solo per caso.
I giornali li consulto sul web, e li uso come puro notiziario. Spesso preferisco il sito dell'ANSA.
Lo faccio per diverse ragioni: nausea per un certo stile giornalistico, scelta delle notizie, idiozia di tanti articoli, tante facce e tanti "servizi", e non ultimo il timore che a lungo andare una full immersion in questo tipo d'informazione mi possa inavvertibilmente offuscare la capacità di giudizio.
Io credo che bisogna conservare una buona dose di "ignoranza", ossia capacità di reagire ai fatti per quello che sentiamo e pensiamo che siano. Senza chiacchiericcio di sottofondo che ci disturba.
I cosiddetti "approfondimenti", infatti, in novecentonoventanove casi su mille non aggiungono niente a quello che riesco a capire da solo, non aggiungono niente nei dati che servono a capire un fatto, e nemmeno sono di qualche interesse intellettuale, culturale, estetico, poetico, umano, letterario o quel che sia.
Gente tutto sommato qualunque viene chiamata a pronunciarsi a braccio su temi che avrebbero fatto dire a Kant che non era pronto a dire la sua, e che gli sarebbe stato necessario un mesetto di riflessione.
Questi "approfondimenti", affastellando chiacchiere e servizi, fanno credere che se ne sappia di più, che si "ragioni" di più, ma in realtà non vanno mai davvero "in profondità": così che anche chi prima era consapevole della propria ignoranza, dopo un'oretta è convinto di avere le idee molto più chiare - cosa questa forse la peggiore di tutte.
Anche qui, su questo tema, non è un caso che la discussione si sia concentrata sull'informazione, più che sul confronto di ciò che "noi" - ciascuno di noi - percepisce sulla nostra epoca, se sia cioè più o meno funestata da fatti criminali.
Si dirà che la nostra percezione dipende dall'informazione: vero, ma solo in parte, perché se dipendesse solo dall'informazione significherebbe rendere ininfluente l'esperienza diretta, la nostra capacità di osservare il mondo - esattamente come per la maggior parte dei giornalisti, i quali non osservano il mondo, ma si osservano l'uno con l'altro, e tutti osservano tutti gli altri giornali, per cui non esiste più la realtà ma solo l'immagine che della realtà proviene dai giornali stessi.
Quello che in realtà percepiamo, oggi - e che probabilmente percepiscono anche coloro che meno sembrano sensibili a questo - è che la violenza, l'insicurezza, il disagio è nell'intero clima sociale. Percepiamo, oggi, un vuoto, una mancanza che è difficile definire, ma possiamo per larga approssimazione descrivere come "mancanza di calore": indifferenza, poca solidarietà, sopraffazione, un mondo del lavoro minaccioso, assenza di "dimensioni sociali amiche" - la parrochia, la sezione di partito, il sindacato, in cui si ritrovano persone uguali per umanità e idee, non per etnia, cittadinanza o destino professionale..
O anche possiamo parlare, come Pasolini, di "bontà come puro comportamento", laddove ogni comportamento al quale non corrisponde un retroterra sentimentale toglie umanità anche ai visi più rassicuranti, perché il comportamento non ha una storia percepibile, non è riconoscibile se non dopo che è avvenuto, e può improvvisamente cambiare senza segnali di preavviso, per ragioni sconosciute.
Nei fatti criminosi si coagulano e si espandono tutte le sottili insicurezze, soprattutto quelle indefinite e forse inconfessabili. Come i bambini che parlano e si raccontano dei lupi mannari per scacciare la paura del lupo mannaro.