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Davigo vs Renzi (o viceversa)

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Davigo vs Renzi (o viceversa)

Messaggioda mariok il 25/04/2016, 12:03

Certamente il governo non sta facendo tutto ciò che c'è da fare in tema di giustizia. Probabilmente pesa il condizionamento della NCD su cui si regge l'attuale maggioranza.

Dire però che Renzi cerchi di scatenare le tifoserie mi sembra obbiettivamente falso.

“Non siamo più subalterni ai pm ora norme per accelerare i processi”
Intervista a Renzi: non esiste una deriva autoritaria, i politici che rubano vanno trovati e puniti
CLAUDIO TITO
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DAVIGO faccia nomi e cognomi » ma dire che «sono tutti colpevoli significa dire che nessuno è colpevole». Matteo Renzi non accetta l’equazione del neo presidente dell’Anm. Difende la “politica” e anzi avverte che è «ormai finito il tempo della subalternità».

LA stagione apertasi con Tangentopoli, insomma, si è chiusa. Quindi, ripete, non si sta riaprendo un nuovo scontro con la magistratura: «Noi facciamo le leggi, loro i processi».
E nel giorno in cui l’Italia festeggia la Liberazione, ricorda quali siano i limiti fissati dalla nostra Costituzione. Il suo valore costitutivo è «l’antifascismo». Per il quale è ancora «giusto tenere alta la guardia».
Pochi anni fa il centrodestra proponeva di abolire questa Festa. E’ una data che rappresenta il nucleo dei valori della Repubblica. Vede in pericolo quei valori?
«No. L’antifascismo è elemento costitutivo e irrinunciabile della nostra società. Giusto tenere alta la guardia».
La destra populista che a Roma si presenta con il volto della Meloni e della grillina Raggi non sono il segno che il senso più profondo della Liberazione rischia di essere travolto?
«No. Fossi romano voterei Giachetti, senza esitazioni. Candidato serio e competitivo. La destra e i cinque stelle sono alternativi al Pd nei progetti. Aggiungo che nei programmi concreti mi sembrano inconsistenti e superficiali. Ma tutti, nessuno escluso, ci riconosciamo nei valori della Costituzione. Sostenere il contrario significa dare spazio alla delegittimazione come arma della politica. Io invece rispetto i miei avversari. Voglio sconfiggerli nelle urne, ma ne rispetto la funzione democratica ».
Soprattutto nel suo partito, qualcuno ritiene che la riforma costituzionale sia una mina piazzata proprio sotto gli ideali della Costituzione nata sui principi del 25 aprile. La accusano d’aver avallato una deriva autoritaria.
«Ma per favore! Un po’ di serietà. La deriva autoritaria è quella che ha portato il fascismo. Qui non cambiamo nemmeno i poteri del Governo. Si può essere d’accordo o meno con la riforma costituzionale, ma proprio il rispetto per la Guerra di Liberazione dovrebbe imporre di confrontarci nel merito».
Anche sul terreno della giustizia. Il presidente dell’Anm Davigo sostiene che tutti o quasi i politici siano dei ladri.
«I politici che rubano fanno schifo. E vanno trovati, giudicati e condannati. Questo è il compito dei magistrati, cui auguriamo rispettosamente di cuore buon lavoro. Dire che tutti sono colpevoli significa dire che nessuno è colpevole. Esattamente l’opposto di ciò che serve all’Italia. Voglio nomi e cognomi dei colpevoli. E voglio vedere le sentenze».
Quelle parole sono un’invasione di campo?
«No. Una politica forte non ha paura di una magistratura forte. È finito il tempo della subalternità. Il politico onesto rispetta il magistrato e aspetta la sentenza. Tutto il resto è noia, avrebbe detto Califano».
Il pm Di Matteo ieri su “Repubblica” accusa la classe politica addirittura di andare a braccetto con la mafia.
«Vale lo stesso principio. Nomi e cognomi, per favore. E sentenze ».
Scusi, ma nelle regioni del nostro mezzogiorno, la sensazione di uno Stato poco presente c’è. Ed è la premessa per il proliferare della criminalità organizzata.
«Sono reduce da una giornata campana e dalla firma del primo patto per il Sud, dieci miliardi di euro per la Campania di Enzo De Luca, con impegni scritti e tempi certi. Una rivoluzione nel metodo e nel merito. Non ci tiriamo indietro e ci stiamo impegnando senza tregua».
Forse c’è bisogno di riformare anche la giustizia. Di dare più risorse. Pensa di intervenire sulle intercettazioni?
«Personalmente non sono interessato all’ennesima discussione sulle intercettazioni, che credo riguardi soprattutto la deontologia del giornalista e l’autoregolamentazione del magistrato. Sulle riforme abbiamo aumentato la pena per i corrotti, istituito l’Autorità Nazionale con Cantone, obbligato chi patteggia a restituire tutto il maltolto, inserito il reato ambientale. Adesso la priorità è che si velocizzino i tempi della giustizia».
E quindi che fine fa la legge che allunga i tempi della prescrizione?
«Va bene allargare la prescrizione, ma dando tempi certi tra una fase processuale e l’altra. Non è umanamente giusto che si debbano attendere anni, talvolta decenni, per finire un processo ».

Sembra comunque che riemerga un nuovo scontro tra magistratura e politica .
«Non mi pare. Invito tutti a fare il proprio lavoro nel rispetto della carta costituzionale. Noi facciamo le leggi, loro fanno i processi. Buon lavoro a tutti».
In questi mesi si è spesso discusso di un taglio delle tasse. E’ possibile una manovra fiscale prima delle amministrative?
«No. Non abbiamo fatto in tempo ancora a festeggiare l’abolizione dell’Imu, studiare gli effetti del super-ammortamento per le aziende al 140%, valutare l’impatto dell’abolizione dell’Irap, ottenere riscontro dall’abolizione delle tasse sull’agricoltura, e dovremmo già fare un’altra manovra? Questo è il Governo che ha ridotto più tasse nella storia repubblicana, sfido chiunque a dire il contrario. La prossima riduzione fiscale sarà con la Stabilità 2017».
In quell’occasione si possono abbassare le aliquote Irpef?
«Vedremo in Stabilità. Calma e gesso. L’unica cosa di cui i cittadini possono essere tranquilli è che le tasse continueranno a scendere».
Ogni obiettivo, però, va misurato con i dati reali. Lei ha previsto una crescita quest’anno dell’ 1,2%. Molti istituti come l’Fmi hanno stime inferiori. La Germania arriverà all’1,7. Da noi qualcosa non va.
«Anche lo scorso anno il Fondo ha sottostimato la nostra crescita allo 0,5 ed è stata di 0,8. Quanto alla differenza con gli altri Paesi europei, non partiamo di rincorsa: avendo avuto tre anni di recessione è più difficile rimetterci in pari. Ma ci stiamo vicini, finalmente ».
Ed è sicuro che le sue ricette siano compatibili con i parametri europei? Siamo sempre sotto osservazione.
«Tutti i Paesi sono sempre sotto osservazione. Ma adesso la musica mi sembra cambiata: non siamo più il problema, non siamo più nell’occhio del ciclone. Anzi, mi faccia fare i complimenti a Padoan per l’ottimo lavoro a livello europeo. E con lui a tutto il team, da Calenda a Gualtieri. Come ha riconosciuto sul suo giornale ieri il fondatore Scalfari siamo passati dalla fase delle sole critiche alle proposte. Ma noi continueremo a insistere per parlare più di crescita che di austerity».
A proposito, Draghi ha fatto bene a rispondere alle pressioni tedesche sui tassi?
«Assolutamente sì. La maggioranza dei Paesi lo sostiene con vigore, non solo noi».
Con l’estate l’Italia torna sotto pressione dal punto di vista delle migrazioni. Che fine fa il Migration Compact che avete proposto a Bruxelles?
«I numeri non sono così drammatici come qualcuno vorrebbe far credere: siamo in linea con gli ultimi due anni. Ma diciamo la verità: dopo mesi finalmente si riconosce che la cosa veramente necessaria è cambiare approccio a livello europeo, impostando una diversa relazione con l’Africa. Lo dicevamo solo noi, un anno fa. Adesso lo dicono tutti. La scommessa è passare dalle parole ai fatti: io ci credo».
I numeri non saranno drammatici, ma i cittadini europei non la pensano così. Ha visto cosa è successo in Austria?
«Certo, è un campanello d’allarme. Rispetto le scelte del popolo austriaco, ma sono convinto che loro rispetteranno le decisioni prese dall’Ue».
Veramente stanno per chiudere il Brennero.
«Sarebbe un problema per l’Europa. Un passo indietro per i valori del trattato di Schengen.
Un danno enorme per gli ideali europei e per l’economia dei nostri due Paesi».
La strada per affrontare l’emergenza immigrati passa per la Libia. Un governo adesso si è formato. Interverrete militarmente?
«No. Interverremo solo se il Governo Serraj chiederà a noi e al resto della comunità internazionale un sostegno. E solo insieme alla comunità internazionale. Pronti a un ruolo forte, ma niente avventure ».
Tornando alle vicende domestiche. A giugno si vota nelle cinque città più importanti. Teme un voto contro di lei? Qual è il risultato minimo accettabile per il Pd?
«Il voto amministrativo è un voto sui sindaci. Sulle persone. Non è un voto di partito. Impossibile dunque fare previsioni o azzardare risultati minimi: si vota per il primo cittadino, non per il primo ministro».
Il referendum costituzionale, però, un voto su di lei lo sarà.
«Sono pronto a discutere nel merito con chiunque. Ma questa riforma è un fatto storico. Sarà il popolo a dire sì o no, con buona pace di chi parla di vulnus democratico. Io, da parte mia, farò campagna elettorale in tutte le regioni, nelle piazze e nei teatri, per spiegare le ragioni dell’Italia che dice sì. Dell’Italia che non vuole solo contestare».
Un’ultima domanda in qualità di tifoso di calcio. Dai diritti tv alla gestione del sistema di quello sport nel suo insieme, si susseguono scandali. Sta pensando ad una riforma del settore?
«Si, ci sta lavorando in modo costante il sottosegretario Lotti. Questione di qualche settimana e presenteremo il nostro progetto ».
« Dopo aver studiato moltissimo il Corano, la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche religioni altrettanto letali per l'uomo di quella di Maometto» Alexis de Tocqueville
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Re: Davigo vs Renzi (o viceversa)

Messaggioda ranvit il 25/04/2016, 12:13

Tranne pianogrande si sono accorti tutti che Renzi sta cercando di non buttare benzina sul fuoco :D
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Davigo vs Renzi (o viceversa)

Messaggioda Robyn il 25/04/2016, 12:18

Ma che cosa significa dire collaborazione tra partiti e corpo giudiziario?allude a qualcosa come facciamo finta di niente.La magistratura e il parlamento sono due corpi separati,il parlamento fà le leggi la magistratura le applica e qualsiasi tentativo di indebolire l'indipendenza della magistratura può essere contrastato dalla corte costituzionale perche la nostra costituzione prevede nei suoi articoli l'indipendenza della magistratura.Le parole di Davigo possono essere eccessive perche non tutta la classe dirigente ruba e se da un lato non bisogna delegittimare la magistratura dall'altra non bisogna delegittimare il parlamento e i partiti.Ma che cosa significa che il csx non è più subalterno alla magistratura così come dice renzi?La subalternità non è mai esistita,esiste il fatto che la riforma della giustizia non può indebolire l'indipendenza della magistratura.Il problema più chiaramente è di capacità di saper riformare rendere più veloce la giustizia mantenere e accrescere le garanzie senza che si indebolisca l'indipendenza della magistratura e la classe dirigente non si mostra all'altezza.Non siamo subalterni ma siamo capaci di riformare la giustizia renderla più veloce e con tutte le garanzie senza indebolire la sua indipendenza?
Locke la democrazia è fatta di molte persone
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Re: Davigo vs Renzi (o viceversa)

Messaggioda pianogrande il 25/04/2016, 12:28

ranvit ha scritto:Tranne pianogrande si sono accorti tutti che Renzi sta cercando di non buttare benzina sul fuoco :D


Di interviste credo che (tranne.... indovina chi) ne abbiamo la testa piena.
Renzi deve parlare con i fatti e se vuole che la giustizia venga rispettata e funzioni non basta dirlo ma bisogna che la giustizia cominci a funzionare.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Davigo vs Renzi (o viceversa)

Messaggioda mariok il 26/04/2016, 9:44

Ogni tanto, anche se non sempre, è inevitabile trovarsi d'accordo con Galli della Loggia

UNA DEMOCRAZIA FRAGILE
L’illegalità diffusa che alimenta la nostra corruzione
In Italia il marcio della politica è il marcio di tutta una società che da tre, quattro decenni, per mille ragioni — non tutte necessariamente malvagie — ha deciso sempre più di chiudere un occhio, di permettere, di non punire, di condonare
di Ernesto Galli della Loggia

Il dottor Davigo non si fa molte illusioni sulla moralità dei politici. Personalmente me ne farei anche meno sulla moralità di coloro che li eleggono. Sulla nostra.
Del resto come potrebbe essere altrimenti? Appena inizia ad aprirsi alla ragione il giovane italiano va a scuola. Lì tutti cercano di copiare senza che la cosa desti particolare riprovazione. Chiunque vuole, poi, può maltrattare arredi, imbrattare di scritte di ogni tipo (in genere oscene) i bagni, scrivere e disegnare a suo piacere sui muri dell’edificio: anche in questo caso senza alcuna sanzione. Così come senza alcuna sanzione significativa resterà ogni atto d’indisciplina: se marinerà la scuola, se si metterà a compulsare il suo smartphone durante le lezioni, se manderà l’insegnante a quel paese. Imitato in quest’ultima attività anche dai suoi genitori. I quali talvolta – assai più spesso di quanto si creda – ameranno ricorrere anche a insulti e minacce. Tutto coperto sempre da una sostanziale impunità. Non basta. In genere, infatti, la scuola sarà per il nostro giovane concittadino anche un’ottima palestra di turpiloquio, di bullismo sessista, di scambio di materiale pornografico quando non di spaccio di droga.
Uscito dalle aule all’una, per tornare a casa l’adolescente italiano, se usa i trasporti pubblici si eserciterà nel salto del tornello sulla metro o si guarderà bene, se vorrà (ma perché non volerlo?) dal pagare il biglietto di un autobus o di un tram. Ha imparato da tempo, infatti, che in Italia pagare il biglietto sui mezzi pubblici è più che altro un’attività amatoriale, un hobby. Per farlo bisogna esserci portato.
Ma naturalmente è più probabile che invece il nostro abbia un motorino. Il più delle volte, va da sé, con la marmitta truccata. Insomma, un po’ più veloce e molto più rumoroso del consentito. Gliel’ha aggiustato un meccanico e, si capisce, il giovane italiano ha pagato per questo anche un bel po’: eppure una ricevuta fiscale o uno scontrino egli s’è guardato bene dal chiederli e l’altro dal darglieli. E allora via con il motorino truccato: tanto che probabilità ha di essere fermato e multato? Diciamo una su centomila. Dunque avanti come se nulla fosse. Avanti a sorpassare sulla destra, a tagliare la strada con repentini cambi di corsia, una mano sul manubrio e l’altra impegnata a twittare.
Un po’ di studio nel pomeriggio, e arriva finalmente la sera: il momento di svagarsi, specie se è sabato. Sì, è vero, vendere gli alcolici ai minorenni sarebbe vietato, ma via!, non vorremo mica vedere strade e botteghe deserte, spero. Dunque una birra, due birre, tre birre in un pub e poi in un altro ancora; o qualcosa di più forte in discoteca. Come si sa, tutti locali aperti di solito anche oltre l’orario stabilito: del resto è la movida, no? Pertanto anche se c’è un po’ di schiamazzo sotto le finestre della gente che dorme, e magari qua e là gare di velocità tra motorini, e sgassate micidiali, e cocci di bottiglie rotte sui marciapiedi, che problema c’è? Inevitabilmente vigili e carabinieri, seppure risponderanno mai alle telefonate inviperite di qualcuno, in genere non faranno, non potranno fare (loro almeno così dicono) un bel niente.
Ottenuta senza troppa fatica una licenza (in Italia le percentuali dei promossi sfiorano abitualmente il cento per cento), bisogna alla fine iscriversi all’università. Le tasse, è vero, sono un po’ cresciute in questi ultimi anni, ma non c’è una riduzione o addirittura l’esenzione per chi viene da una famiglia a basso reddito? È a questo punto che il nostro giovane italiano compie l’atto finale della sua educazione sentimentale alla legalità. Quando scopre, per l’appunto che il suo papà e la sua mammina, accorsati commercianti, ottimi professionisti, funzionari di buon livello, possessori di un suv e di un’utilitaria, di un bell’appartamento in un quartiere niente male, di una casetta al mare e di un adeguato gruzzoletto da parte, mamma e papà che ogni anno si fanno la loro settimana bianca e la loro vacanza da qualche parte nel mondo, e i quali come si dice non si fanno mancare niente, scopre il nostro giovane, dicevo, che essi però al Fisco risultano titolari di un reddito che consente a lui di avere una discreta riduzione delle tasse universitarie e a tutta la famiglia l’esenzione dal ticket sanitario.
A quanti giovani italiani può applicarsi questo ironico ma realistico ritratto di un’educazione alla legalità? A molti, direi. Con qualche ulteriore elemento (tutt’altro che raro) da mettere eventualmente in conto: tipo frequentazione di un centro sociale antagonista o presenza in casa di una vecchia zia finta invalida con relativa pensione.
Da quanto tempo è in questo modo — attraverso la forza senza pari dell’esempio diffuso capillarmente e quotidianamente attraverso queste micidiali dosi omeopatiche — che i giovani italiani (non nascondiamocelo: in particolare quelli del ceto medio, della cosiddetta «buona borghesia») apprendono come funziona il loro Paese e in quale conto vi deve essere tenuto il rispetto delle regole? Alcuni non ci stanno e se ne vanno, ma la grande maggioranza ci si trova benissimo e cerca una nicchia dove sistemarsi (spesso grazie alla raccomandazione e/o alle relazioni dei genitori di cui sopra).
La nostra corruzione nasce da qui. Da questo rilasciamento di ogni freno e di ogni misura che ha accompagnato il nostro divenire ricchi e moderni. In Italia il marcio della politica è il marcio di tutta una società che da tre, quattro decenni, per mille ragioni — non tutte necessariamente malvagie — ha deciso sempre più di chiudere un occhio, di permettere, di non punire, di condonare. Certo, Piercamillo Davigo ha ragione, lo ha deciso la politica. Ma perché il Paese glielo chiedeva. Il Paese chiedeva traffico d’influenza, voto di scambio, favori di ogni tipo, promozioni facili, sconti, deroghe, esenzioni, finanziamenti inutili alle industrie, pensioni finte, appalti truccati, aggiramenti delle leggi, concessioni indebite, e poi soldi, soldi e ancora soldi. E con il suffragio universale è difficile che prima o poi la volontà del Paese non finisca per imporsi.
Di questo dovrebbe occuparsi la fragile democrazia italiana, di questo dibattere i suoi politici che ancora sanno che cosa sia la politica: del mare di corruzione dal basso che insieme alla delinquenza organizzata minaccia di morte la Repubblica. Per i singoli corrotti invece bastano i giudici: ed è solo di costoro che è loro compito occuparsi.
25 aprile 2016 (modifica il 26 aprile 2016 | 08:13)
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Re: Davigo vs Renzi (o viceversa)

Messaggioda gabriele il 26/04/2016, 10:17

Franco Roberti: “Una giustizia che funziona non interessa. Colletti bianchi e malaffare, le leggi non arrivano mai”
Giustizia & Impunità

Il Procuratore nazionale antimafia interviene dopo le polemiche per le critiche al governo e alla politica del presidente Associazione nazionale magistrati Piercamillo Davigo: "I politici a parole sono tutti d'accordo sui rimedi, ma poi i provvedimenti per far funzionare i processi non li approvano"

Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia, davvero Davigo è rimasto solo?
Niente affatto. Si può discutere sul suo gusto per la battuta, ma sulla sostanza delle cose i magistrati sono quasi tutti d’accordo. A cominciare dalle leggi per far funzionare i processi, che non arrivano.

Vedi quella sulla prescrizione: se ne parla da anni e in Parlamento non c’è mai la maggioranza.
Guardi, se uno non vuole pensar male, rischia di impazzire. Prima assurdità: la prescrizione inizia a decorrere non quando il reato e il possibile autore vengono scoperti, ma quando il fatto viene commesso. Cioè molto prima che il pm lo venga a sapere ed eserciti il diritto punitivo dello Stato chiedendo il rinvio a giudizio.

E le altre assurdità?
Quando il pm chiede il processo, di solito, non c’è più il tempo di portarlo a termine perché i termini continuano a decorrere fino alla Cassazione. Anche per la corruzione, malgrado la timida riforma appena fatta. E poi l’ex Cirielli del 2005 ha di fatto dimezzato i termini, già prima insufficienti, anche perché i tempi dei processi sono eterni, con tre gradi di giudizio pressoché automatici (un sistema unico al mondo).

Risultato?
Si prescrive il 30-40% dei reati, specie i più difficili da scoprire e puniti con pene basse e prescrizione breve: quelli contro la PA, finanziari, ambientali, urbanistici, le lesioni e gli omicidi colposi. Perlopiù quelli dei colletti bianchi che – ha ragione Davigo – fanno molti più danni di quelli da strada. Con due effetti collaterali: aumenta il senso di impunità fra i criminali, che si sentono incoraggiati a delinquere per il calcolo costi-benefici (fai molti soldi e non rischi nulla); e cresce la frustrazione degli onesti: è sempre raro che denuncino e testimonino.

Renzi dice che le sentenze non arrivano mai.
Non mi faccia polemizzare, ma le sentenze arrivano sempre: il guaio è che sono troppo spesso di prescrizione. E mica è colpa nostra. Basterebbero poche norme semplici. 1) La prescrizione decorre dalla scoperta del reato e si blocca alla richiesta di rinvio a giudizio, o al rinvio a giudizio, al massimo alla prima sentenza, poi non se ne parla più. 2) Una delle prime cause di prescrizione è la legge che di fatto annulla tutti gli atti dei processi dove cambia un giudice del collegio: un codicillo che salvi gli atti quando cambia il collegio eviterebbe di ripartire da capo, con scarcerazioni per decorrenza termini e prescrizione. 3) Nel processo accusatorio, col dibattimento nel contraddittorio delle parti, l’appello-fotocopia del primo grado è un assurdo doppione, un’altra fonte di prescrizione: niente più appello, salvo per il rito abbreviato. Almeno sui punti 1 e 2, basterebbe prendere uno dei ddl presenti in Parlamento e inserirlo nella corsia preferenziale della riforma del processo. A parole, tutti sono d’accordo su questi rimedi, ma poi le leggi non arrivano mai.

Chissà perché. Gratteri dice che il partito della prescrizione blocca tutto per salvare dal carcere i potenti.
Purtroppo, dentro e fuori dal Parlamento e delle amministrazioni c’è troppa gente che non ha alcun interesse a una giustizia che funziona o che ha il preciso interesse a una giustizia che non funziona. Gratteri parla di ‘ndrangheta, ma la tendenza è di tutte le mafie: non sono più i mafiosi a cercare i politici, ma i politici a cercare i mafiosi. Il camorrista pentito Carmine Alfieri mi raccontò che già negli anni 80 a ogni elezione aveva la fila di politici di tutti i colori alla sua porta per offrirgli favori in cambio di voti, e lui selezionava e appoggiava chi più gli conveniva. Oggi la vera svolta è il salto della mediazione: le mafie mandano in Parlamento e nelle istituzioni i loro uomini, le loro proiezioni.

E i partiti, ricorda Davigo, non fanno il repulisti al proprio interno sulla base dei fatti emersi dalle indagini.
Questo è il vero problema. A chi ci obietta che non siamo i depositari dell’etica pubblica perchè anche tra noi ci sono corrotti e collusi, rispondo che certo, nessuno è immune: ma noi non aspettiamo che un magistrato colluso venga condannato in Cassazione per rimuoverlo. C’è un giudizio etico-deontologico che in politica non esiste: si delega tutto alle sentenze definitive, come se certi fatti non fossero abbastanza gravi e chiari per fare pulizia subito. L’autonomia del politico dal giudiziario passa proprio di qui.

Renzi e altri invocano la presunzione di innocenza.
Ma che c’entra? Come dice Davigo, quella è un fatto tecnico del processo che impedisce di considerare colpevole chi non ha condanne definitiva. Ma non impedisce di mandare a casa chi fa cose gravi, anche se non sono reati.

L’inchiesta di Potenza, coordinata dalla sua Dna, è stata attaccata dal premier perchè avrebbe trascritto intercettazioni su gossip, pettegolezzi, fatti privati.
Non posso entrare nel merito perchè un nostro pm è applicato all’indagine. Ma tutto è stato fatto nel pieno rispetto della legge vigente.

Ecco, ce la spiega?
Il pm è responsabile delle intercettazioni che fa trascrivere o meno dalla polizia e che inserisce o meno nelle ordinanze. In base al principio-cardine sancito dall’art. 268 Cpp: negli atti vanno le intercettazioni “che non appaiano manifestamente irrilevanti”. Poi il Gip, nell’udienza-filtro, in base allo stesso principio decide cosa stralciare e lasciare. E alla luce degl’interessi non solo del pm, ma pure dell’indagato: ciò che è irrilevante per l’accusa può essere rilevante per la difesa.

Per Davigo non occorre riformare le intercettazioni.
Totalmente d’accordo. La disciplina va benissimo così. C’è il controllo del pm, del difensore e del giudice. E se un giornalista diffama o viola la privacy, è già punibile. Ma se racconta intercettazioni depositate, desegretate, non manifestamente irrilevanti per le parti e di interesse pubblico, perchè impedirglielo?

Ora qualcuno intimerà anche a lei di parlare solo con le sentenze.
Già, tanto non le legge nessuno… È un’ipocrisia per levarci il diritto di parola. Io invece penso che i magistrati dirigenti, oltre ovviamente ai rappresentanti dell’Anm, non solo possono, ma devono informare i cittadini.

C’è una guerra tra magistrati e politici?
Ma quale guerra. Io vengo continuamente interpellato dal Parlamento e dal ministro Orlando. C’è un dialogo costante. Parliamo di prescrizione, di corruzione (la riforma appena fatta è troppo blanda: mancano gli agenti sotto copertura), Codice antimafia, Agenzia dei beni confiscati. A parole sono sempre tutti d’accordo. Poi però quelle riforme non arrivano mai. Perchè?

da il Fatto Quotidiano del 25 aprile 2016

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04 ... i/2669824/
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Re: Davigo vs Renzi (o viceversa)

Messaggioda pianogrande il 26/04/2016, 10:35

La prima cosa da eliminare è il fatto che si cominci a scontare la pena solo dopo il terzo grado di giudizio che così, invece di essere eccezione, diventa routine per farla franca.
Condannato?
Vai in galera subito.
Fai ricorso?
Ci vogliono motivi particolari e documentati per fare ricorso e deve essere già eccezionale l'accettazione del ricorso.
Se il ricorso non viene accettato ti sconti la tua pena e non rompi l'anima.

Il fatto che il giudizio di primo grado sia poco più che un pezzo di carta è il primo scandalo della nostra giustizia.
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Re: Davigo vs Renzi (o viceversa)

Messaggioda trilogy il 26/04/2016, 11:46

I ricorsi vengono sistematicamente presentati anche dall'accusa quando c'è assoluzione in primo grado.
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Re: Davigo vs Renzi (o viceversa)

Messaggioda pianogrande il 26/04/2016, 13:51

trilogy ha scritto:I ricorsi vengono sistematicamente presentati anche dall'accusa quando c'è assoluzione in primo grado.

Liberissimi di farlo ma varrebbero le stese condizioni.
E' incredibile che si rifaccia il processo solo perché il ricorso è stato presentato.
Quando qualche avvocato (pagato cifre astronomiche) grida in un microfono la mitica frase "ricorreremo in appello" dovrebbe allora gridare anche perché e in base a quale casistica ammessa.
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Re: Davigo vs Renzi (o viceversa)

Messaggioda mariok il 26/04/2016, 16:06

Fare appello all'imputato conviene sempre (a patto ovviamente di possedere i mezzi economici per sostenerne le spese) in quanto:

"Quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado."

Cioè hai tutto da guadagnare e nulla da perdere. Basterebbe abolire queste limitazioni per veder diminuire il numero degli appelli.
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