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Politica deindustriale

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Politica deindustriale

Messaggioda flaviomob il 11/12/2014, 11:03

http://temi.repubblica.it/limes/allital ... rook/67534
All'Italia serve una politica industriale per non fare la fine dei Buddenbrook

di Alessandro Pansa*
Un estratto da Quel che resta dell'Italia,
il numero di Limes sulle crisi del nostro paese.

L'Italia si trova in una crisi strutturale più grave di quella che viene descritta e il suo settore industriale non fa eccezione.

Negli ultimi dieci anni il totale dei posti di lavoro disponibili nell’industria è calato del 15% e la quantità di beni ad alto valore aggiunto prodotti nel nostro paese è precipitata del 30% rispetto al 2000.


Il gap tecnologico tra noi e i paesi emergenti (ossia il tempo necessario a questi ultimi a costruire una tecnologia simile alla nostra a parità di investimenti sul pil) è calato drammaticamente. Alcune ricerche hanno calcolato che nel 2004 la distanza tra l’Unione Europea e un gruppo di paesi emergenti (i Brics, la Turchia e altri simili) era attorno ai 13-14 anni; oggi in media è pari a 10 anni, ma questo valore sale a 12 per la Germania e scende a 8 per l’Italia. Negli ultimi due decenni il commercio mondiale è cresciuto di circa il 5% all’anno, mentre la quota dell’Italia è scesa dal 5 a meno del 4%.


Resistiamo ancora per due motivi: abbiamo una buona integrazione tra l’industria e un artigianato di qualità (per esempio le navi da crociera italiane sono molto più belle, raffinate e apprezzate di quelle dei concorrenti stranieri)** e possiamo contare su marchi affermati in alcuni settori. Abbiamo ancora una struttura industriale intermedia degna di tal nome, ma quanto durerà? E quanto valore aggiunto siamo in grado di tirare fuori?


A differenza degli altri principali paesi europei, oggi disponiamo di pochi grandi asset industriali con una limitata capacità di proiezione internazionale. In effetti, ci mancano gli elementi necessari all’elaborazione di una politica industriale di lungo periodo: abbiamo regole, fondi e imprese in misura inadeguata.


Altrove non è così. La Francia ha puntato sull’alta tecnologia, la Germania sì è concentrata sui processi oltre che sui prodotti e ha vinto la sfida della resilienza della sua poderosa struttura industriale. Persino il Regno Unito ha sviluppato alla sua maniera una politica industriale, puntando sul dominio della finanza e sulle sue attività ancillari (consulenze legali, societarie, manageriali eccetera). Londra non è un paradiso fiscale, al contrario: è una piazza che lascia ampia libertà ma all’interno di regole precise e di una struttura definita e organizzata. Per questo è in grado di attrarre fondi: i capitali mondiali «puliti» non cercano opacità ma chiarezza, trasparenza e un quadro normativo stabile.


L’Italia invece ha sviluppato - forse non del tutto consapevolmente, ma di sicuro molto attivamente - un processo di deindustrializzazione e disinvestimento, ostacolando ripetutamente la creazione di grandi imprese in settori strategici. Gli esempi eclatanti non mancano: dall’agro-alimentare (Sme) alle telecomunicazioni (la mancata fusione tra Telettra e Italtel), dall’elettronica (il caso Olivetti-Bull) fino al settore farmaceutico, dove le varie imprese, invece di unirsi e creare un campione nazionale, hanno continuato a operare in solitudine finendo per essere comprate da multinazionali straniere o ridotte all’irrilevanza dalla concorrenza estera.


* L'autore è professore di Finanza all’Università Luiss di Roma.

(9/12/2014)
** Ma colano a picco! ndr


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Re: Politica deindustriale

Messaggioda ranvit il 11/12/2014, 13:24

Flavio, fatti spiegare anche perchè.... :lol:
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Sciopero: adesione altissima

Messaggioda flaviomob il 12/12/2014, 13:54

Sciopero generale: Cgil, 70% adesione media nazionale dai primi dati

(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Roma, 12 dic - I primi dati che provengono dal settore industriale segnano un'altissima adesione allo sciopero generale proclamato per oggi da Cgil e Uil dietro le parole 'Cosi' non va!'. Lo afferma la Cgil, spiegando che da una prima rilevazione risulta, infatti, un media di adesione del 70,2%, mentre sono affollatissime le cinquantaquattro piazze dove si stanno tenendo i cortei e le manifestazioni a sostegno dello sciopero generale

Dati quindi molto alti ovunque su tutto il territorio nazionale, con punte spesso anche del 100%. Dai numeri che stanno arrivando al dipartimento di organizzazione del centro confederale Cgil risulta che alla Michelin (350 addetti) e alla Pirelli (1.210 addetti) di Settimo Torinese si registra il 100% di adesione, sempre a Settimo Torinese l'adesione alla Oreal e' del 98% su 400 addetti. Alla Luxottica (600 lavoratori) di Lariano Po, sempre in Piemonte, l'adesione e' al 60%. Alla Marcegaglia, la sede centrale di Mantova, l'adesione e' di oltre l'80%. A Genova alla Selex Se (2.000 addetti) l'adesione e' del 60% mentre alla Fincantieri di Sestri Ponente (550 addetti) siamo all'84,9%. All'Ilva su 1.750 addetti lo sciopero e' del 90% mentre ad Ansaldo Energia su 2359 addetti il 70% dei lavoratori ha incrociato le braccia.


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Re: Politica deindustriale

Messaggioda trilogy il 13/12/2014, 17:26

L'immagine sotto, riporta i risultati di un bando gara europeo per finanziare progetti di distruptive innovation proposti da piccole e medie imprese. Richiedevano tecnologie o modelli di business emergenti che possono modificare radicalmente un determinato settore o crearne di nuovi. Non c'è un progetto italiano finanziato. E' sintomatico dello stato in cui versa l'economia italiana, poche idee veramente innovative, spesso banali e confuse.

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