XVI Legislatura - Governo Monti (16/11/2011 - 27/04/2013) – Durata 17 mesi e 12 giorni
XVII Legislatura. Governo Letta (28 aprile 2013 – 14 febbraio 2014) Durata 9 mesi e 25 giorni
XVII Legislatura Governo Renzi (22 febbraio 2014 – In corso)
Lunedì 1 dicembre 2014
Nando Pagnoncelli per il “Corriere della Sera”
Il risultato elettorale di domenica scorsa sembra aver impresso un’accelerazione alle tendenze in atto riguardanti il gradimento dei leader, con particolare riferimento a Renzi, Salvini e Grillo.
Il premier arretra di 5 punti rispetto ad ottobre, passando dal 54% al 49% e, sebbene prevalgano sia pure di poco i giudizi positivi, è la prima volta che Renzi scende al di sotto della fatidica soglia del 50%. Al secondo posto si conferma Salvini che aumenta il proprio consenso di 5 punti (da 28% a 33%) riducendo in misura significativa la distanza da Renzi: a fine ottobre era di 26 punti mentre oggi è di 16.
Al terzo posto si colloca Giorgia Meloni, gradita dal 28% degli italiani, seguita da Berlusconi (25%) e Alfano (22%). Chiudono la graduatoria Vendola, apprezzato dal 18% degli italiani (in aumento di 3 punti), e Grillo con il 17% di consenso (in calo di 2 punti).
La flessione di Renzi, non dissimile da quella di tutti i premier italiani ed europei dopo sei mesi dall’insediamento del governo, presenta alcune specificità. Renzi ha alimentato nei cittadini aspettative estremamente elevate, tutte all’insegna del cambiamento, un cambiamento profondo e soprattutto rapido. Alcuni provvedimenti sono andati a segno, altri faticano a vedere la luce. Ma le partite aperte sono ancora molte, a partire dalla legge elettorale, e sullo sfondo la situazione economica continua a permanere negativa.
Il presidente del Consiglio perde consenso soprattutto presso i segmenti sociali più toccati dalle difficoltà economiche (piccoli imprenditori, artigiani, commercianti e disoccupati) e in parte anche tra gli elettori del Pd (come conseguenza del Jobs act) mentre si consolida il gradimento tra le persone meno giovani e i pensionati.
Ma la vera sfida, come sempre, è rappresentata dal ceto medio che in questa fase, dopo aver ridotto le spese, modificato gli stili di consumo e fatto importanti sacrifici, si è adattato alla crisi, ha ridotto le proprie aspettative e si accontenta della condizione attuale che si è assestata mentre, al contrario, è convinto che il Paese sia in declino e paventa un ulteriore peggioramento della situazione.
È questo il punto più critico: il futuro dell’Italia, come dimostra l’andamento dell’indice di fiducia Istat che dal giugno scorso è in forte calo (dopo un semestre di crescita), ma diminuisce solo nella componente riguardante il clima economico del Paese, non quello personale che rimane pressoché stabile.
Il malumore viene intercettato soprattutto da Salvini che si rafforza e risulta complementare rispetto a Renzi, aumentando il consenso proprio tra i segmenti che sono più delusi dal premier (lavoratori autonomi e disoccupati), tra i pensionati e ceti più popolari, mentre fatica ad accreditarsi tra quelli più istruiti e nella classe dirigente, a differenza di quanto avvenne con l’altro leader che più di altri è stato capace di raccogliere lo scontento e rappresentare efficacemente il dissenso: Grillo.
Quest’ultimo appare in difficoltà, sia per la competizione di Salvini sul terreno della protesta sia a seguito delle dinamiche interne al movimento che in questa settimana hanno portato all’espulsione di altri due esponenti. E il tema della democrazia interna al M5S risulta un vero e proprio tallone d’Achille per il movimento.
Quanto agli altri leader considerati, Meloni ha alcuni tratti in comune con Salvini: viene apprezzata dai lavoratori autonomi e dai pensionati (molto meno dai disoccupati) ma si distingue dal segretario della Lega per un maggiore sostegno tra le donne. Berlusconi, nonostante il deludente risultato alle Regionali, mantiene il proprio livello di consenso personale, a conferma del forte rapporto che lo lega allo «zoccolo duro» del suo elettorato. Alfano si conferma sugli stessi livelli del mese scorso sia pure con qualche cambiamento all’interno dell’elettorato: infatti perde consenso tra gli elettori del Pd e aumenta il sostegno tra quelli di Forza Italia.
Infine Vendola. Pur essendo stato meno presente sui media nelle ultime settimane, beneficia del calo di consenso di Renzi e di Grillo nell’elettorato che si colloca più a sinistra.
In sintesi possiamo dire che Renzi sta affrontando un passaggio delicato: le critiche su provvedimenti di largo impatto da un lato e le difficoltà dell’economia dall’altro stanno erodendo la sua popolarità, ma si tratta di un’erosione che può rientrare. Se chiuderà da vincente i due percorsi principali (Jobs act e legge elettorale), se come sembra la legge di Stabilità supererà la «tagliola» europea e, soprattutto, se si avvereranno le previsioni di Confindustria, dopo tanto tempo diventata ottimista, e l’economia segnerà una sia pur piccola ripresa fin dall’inizio del 2015, il ciclo negativo del premier potrebbe cambiare di segno.
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Da parecchi mesi i sondaggi sulla priorità richiesta dai cittadini italiani riguardano il lavoro.
Il diagramma di ieri di Ricolfi rende molto bene l’idea dell’andamento della disoccupazione in Italia dal 2008.

E’ più che ovvio che il problema dell’occupazione e della crisi economica non dipende da Renzi ed il suo governo, ma la responsabilità di Renzi è quella di aver creato delle aspettative nel mondo del lavoro e non solo.
I devoti del profeta di Rignano ci avevano raccontato a marzo di quest’anno che l’abolizione del Senato era un’assoluta priorità funzionale per poter governare meglio l’Italia e che quindi era opportuno iniziare ad affrontare le riforme dal Senato. Ovviamente a questi religiosi non interessa affatto il destino dei 60 milioni di italiani ne del sistema Italia. Perché se tutto va bene ci vorranno almeno quasi due anni affinché vada in porto l’abolizione attuale sostituito con un qualcosa legato al potere dei partiti ed alla presidenza del Consiglio.
La decadenza del sistema produttivo italiano viene accelerato nel 2001 con il ritorno alla guida del paese da parte di Silvio Berlusconi. In precedenza era già in corso un fenomeno degenerativo di tipo generazionale rilevato da padri e zii nei confronti di figli e nipoti in cui emergeva chiaramente la consapevolezza circa l’incapacità delle nuove generazioni a condurre le aziende. Un fenomeno abbastanza diffuso che produceva il fallimento e la chiusura di aziende ben piazzate due o tre anni dall’abbandono della vecchia generazione alla guida dell’azienda. In modo particolare nella PMI si sta verificando la delusione da parte di quei genitori a media scolarità che hanno saputo far crescere l’azienda anche nei momenti più difficili e che per orgoglio hanno inviato la propria prole nelle migliori università italiane nella speranza che una maggiore scolarità comportasse una crescita dell’azienda. All’atto pratico questo non è avvenuto, in quanto appreso in università, ad esempio come la Bocconi, veniva messo in pratica, alle prime difficoltà procedendo di conseguenza in base all’insegnamento ricevuto, alla chiusura dell’azienda. Quando invece i genitori, in precedenza, avevano saputo stringere i denti nei momenti di maggiore difficoltà.
Il governo Berlusconi nel periodo 2001 – 2006 non era certamente interessato a porre rimedio a quanto accadeva nel tessuto italiano, perché il suo scopo era quello di produrre leggi ad personam per difendersi dalla magistratura. Le mancate promesse della sua campagna elettorale 2001, gli hanno fatto perdere le elezioni del 2006.
Il suo ritorno al governo, nel maggio del 2008, si incrocia con la crisi del mondo occidentale a causa dei subprime, quando la crisi si trasferisce sull’altra sponda dell’Atlantico. Non è certo la coppia Tremonti – Berlusconi a saper comprendere la gravità della situazione e mettere subito in atto quei provvedimenti necessari per tamponare la situazione. L’allegro ed irresponsabile showman il 3 di dicembre racconterà ai giornalisti in terra straniera che in Italia la crisi non esiste, che gli alberghi ed i luoghi di villeggiatura sono pieni e che volare bisogna prenotare.
Monti, il premier tecnico più qualificato del momento, non è stato in grado di risolvere il problema. Neppure il suo successore è stato in grado di risolvere il problema. Nessuno ha mai voluto affrontare la crisi alla radice. Men che meno lo è stato Renzi in questi mesi in cui ha badato solo alla soluzione dei suoi problemi personali legati alla necessità di rimanere in sella. La curva della disoccupazione non poteva che progredire secondo la curva indicata da Ricolfi. La mancata soluzione dei problemi base sta innescando la spirale della decadenza anche per Renzi, come indicano i dati rilevati da Pagnoncelli.
In più, nel continuo comunicare a vanvera, manca completamente una programmazione specifica per tamponare sul nascere quella che è stata chiamata la guerra dei poveri, legata anche ad un problema di immigrazione che questo governo non sa risolvere.
La curva del declino renziano continuerà progressivamente nelle prossime settimane perché ha puntato sulla soluzione dei problemi legati alla sua sopravvivenza piuttosto di affrontare la crisi italiana, che tra l’altro non è solo economico – occupazionale. Soprattutto, mancando di un progetto organico, vive alla giornata senza combinare niente di concreto.
Cosa succederà prossimamente??? Saremo sottoposti ad un nuovo premier nascostamente legato alla troika, inviato dall’Europa, Passera o Draghi. O ci sarà dell’altro?