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Diritti umani, informazione e comunicazione

Informazioni aggiornate periodicamente da redattori e forumisti

Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 30/10/2014, 0:08

Forse la persecuzione degli Oromo è stata rivolta contro quella parte di loro che si è convertita al cristianesimo, estendendosi poi agli altri. Sappiamo che le dinamiche dei pregiudizi e del razzismo impiegano poco a fare "di tutta l'erba un fascio".


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Morire di stato

Messaggioda flaviomob il 02/11/2014, 0:21

“Il potere dichiara che il giovane arrestato di nome Gesù figlio di Giuseppe è morto perché aveva le mani bucate e i piedi pure, considerato che faceva il falegname e maneggiando chiodi si procurava spesso degli incidenti sul lavoro. Perché parlava in pubblico e per vizio si dissetava con l´aceto, perché perdeva al gioco e i suoi vestiti finivano divisi tra i vincenti a fine di partita.
I colpi riportati sopra il corpo non dipendono da flagellazioni, ma da caduta riportata mentre saliva il monte Golgota appesantito da attrezzatura non idonea e la ferita al petto non proviene da lancia in dotazione alla gendarmeria, ma da tentativo di suicidio, che infine il detenuto è deceduto perché ostinatamente aveva smesso di respirare malgrado l’ambiente ben ventilato. Più morte naturale di così toccherà solo a tal Stefano Cucchi quasi coetaneo del su menzionato.”

Erri De Luca


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 03/11/2014, 23:50

7 Palestinians killed, 350 detained in October: NGO
Ahrar Center for Prisoners and Human Rights Studies said the seven dead victims included four teenagers less than 15 years of age

World Bulletin/News Desk

Seven Palestinians were killed and 350 others, including three journalists and an ex-female prisoner, detained by Israel during October, a Palestinian NGO said Saturday.

Ahrar Center for Prisoners and Human Rights Studies said the seven dead victims included four teenagers less than 15 years of age.

The center added in its monthly report about Israeli violations in the Palestinian territories that the detained Palestinians included 15 teenagers less than 18 years of age.

The Israeli army, the report said, detained ex-female prisoner Ihsan Dababseh, 28, who is a resident of the village of Nuba in Hebron, as well as nine other women from Jerusalem.

It said the nine women were released by the Israeli army later.

It added that the largest number of detainees came from Jerusalem, noting that some of the detainees were released later, whereas the second largest number of detainees came from Hebron.

In the Gaza Strip, the report said, Israel detained eight Palestinians, including six fishermen, who were working off the coast of Gaza, and two others as they tried to cross from the Palestinian territory into Israel.

"Israel does everything it wants in the cities of the occupied West Bank," Ahrar center director Fouad Khuffash said. "These cities are raided every night by Israeli troops who detain Palestinian civilians," he added.

He noted that the figures mentioned in the report were only about cases that were documented by his center, whereas there might be other cases that went unnoticed.

"Jerusalem and Hebron are the top cities in terms of the number of detainees throughout the past months, especially after three Jewish teens went missing in Hebron in June," Kuffash said.

More than 7,000 Palestinians are currently detained in Israeli jails, according to the Palestinian Prisoners' Club, another NGO.

http://www.worldbulletin.net/news/14753 ... ctober-ngo


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 05/11/2014, 23:24

«In difesa di Kobane, laica multietnica e senza Stato»

—  Chiara Cruciati, DIYARBAKIR , 4.11.2014 - IL MANIFESTO



Fuori dal Poli­cli­nico di Diyar­ba­kir alle 8 di mat­tina è già com­parso un pic­colo mer­cato improv­vi­sato. Qual­cuno pre­para tè e caffè, altri ven­dono pata­tine e dol­ciumi. Qual­che ora dopo il via vai di infer­mieri e medici si mescola ai pic­coli com­mer­cianti che pran­zano: un tavo­lino e sopra il cibo por­tato dalle mogli e i figli. Dif­fi­cile tro­vare qual­cuno che parli inglese ma basta pro­nun­ciare la parola Kobane per rice­vere una rispo­sta imme­diata: «Viva Kobane, viva Kobane!».

«Per com­pren­dere cosa suc­cede a Kobane, vanno riget­tate le sem­pli­fi­ca­zioni dei media – spiega al mani­fe­sto Murad Akin­ci­lar, sin­da­ca­li­sta e diret­tore dell’Istituto di Ricerca Poli­tica e Sociale di Diyar­ba­kir – Si deve tor­nare all’ideologia del Pkk per capire per­ché oggi quella città è un tale sim­bolo. Negli anni ’90 il Par­tito Kurdo dei Lavo­ra­tori ha lan­ciato un pro­gramma di libe­ra­zione riget­tando allo stesso tempo l’ideologia dello Stato-nazione e il legame tra auto­de­ter­mi­na­zione dei popoli e sta­ta­li­smo. È nato così un nuovo para­digma fon­dato sulla crea­zione di comu­nità indi­pen­denti, mul­tiet­ni­che e senza Stato». Quello che i tre can­toni di Rojava, di cui Kobane è parte, hanno messo in pra­tica negli ultimi due anni: un pro­getto sociale basato su un’economia rispet­tosa dell’ambiente e sce­vra del modello del sistema indu­striale di Stato, sull’emancipazione delle donne e sul con­cetto di comune.

«L’obiettivo è la crea­zione di realtà indi­pen­denti, senza che die­tro ci sia uno Stato, realtà tenute insieme da un con­tratto sociale privo di rife­ri­menti etnici. Il Pkk non parla solo di kurdi, ma di turk­meni, arabi, assiri. Per que­sto Kobane è oggi tar­get dell’Isis e di Usa, Tur­chia e Kur­di­stan ira­cheno. Allo stesso tempo è anche per que­sto che la resi­stenza è tanto forte: nes­suno vuole per­dere quel modello, final­mente messo in pratica».

Quelle forze che temono il modello Rojava, però, ora hanno messo in campo sforzi per fre­nare l’avanzata dell’Isis: Bar­zani ha inviato 150 pesh­merga, Ankara ne ha per­messo il pas­sag­gio, Washing­ton bom­barda le posta­zioni isla­mi­ste nella città asse­diata. «Tur­chia e Usa sono quelli che per un anno hanno finto di non vedere la cre­scita dell’Isis, spe­rando che andasse a sca­pito della resi­stenza kurda — aggiunge Akin­ci­lar — Oggi inter­ven­gono: il loro obiet­tivo non è risol­vere il con­flitto, ma gestirlo e togliere il merito di un’eventuale vit­to­ria alle Unità di pro­te­zione popo­lare e al Pkk. Ankara fa oggi in Siria quello che fa da quasi un secolo nel Kur­di­stan turco dove agi­sce però con altri mezzi: repres­sione della resi­stenza, discri­mi­na­zione eco­no­mica e sociale attra­verso man­cati inve­sti­menti indu­striali, con­fi­sca di terre, annul­la­mento dell’identità kurda».

Diyar­ba­kir, prin­ci­pale città della regione del Kur­di­stan turco, il cui distretto conta oltre un milione di resi­denti: non esi­stono zone indu­striali, non esi­stono fab­bri­che. I resi­denti vivono delle rimesse degli emi­grati all’estero, di lavori senza con­tratto da sta­gio­nali nelle stesse terre con­fi­sca­te­gli negli anni ’90 e di com­mer­cio al det­ta­glio. «Lo Stato qui non c’è. O meglio lo si vede solo nelle uni­formi della poli­zia», con­clude Murad. Un’opinione dif­fusa: le poche ban­diere tur­che che sven­to­lano a Diyar­ba­kir sono pro­tette da fili spi­nati, oltre i can­celli delle sta­zioni di poli­zia. L’unico soste­gno arriva dal Pkk: «La ragione è sem­plice: il Pkk non è un movi­mento ver­ti­ci­stico – dice al mani­fe­sto Iclal Ayse Küçük­kirca, gio­vane ricer­ca­trice kurda all’Università di Mar­din – Il Pkk è fatto di donne, uomini, dei nonni prima e dei nipoti ora. Kobane ha cemen­tato un sen­ti­mento che era già forte: in strada alle mani­fe­sta­zioni vedi sfi­lare fami­glie intere, anziani, bambini».

Che Kobane possa diven­tare motivo di una nuova unione tra i kurdi divisi in Medio Oriente? «Ne dubito – con­clude Iclal – Il riav­vi­ci­na­mento ai pesh­merga è avve­nuto per il par­ti­co­lare momento sto­rico che stiamo vivendo. Le cele­bra­zioni in strada per il loro arrivo sono legate al desi­de­rio di vedere Kobane salva. Ma non ci sarà un dopo. A bloc­carlo non sarà solo la distanza poli­tica tra noi e Irbil, ma il ruolo della Turchia».


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 05/11/2014, 23:39

"Famiglie sotto le macerie". Rapporto di Amnesty International sugli attacchi israeliani contro le abitazioni di Gaza
CS157-05/11/2014



In un nuovo rapporto sull'ultima operazione militare nella Striscia di Gaza, Amnesty International ha accusato le forze israeliane di aver ucciso decine di civili palestinesi in attacchi contro abitazioni piene di famiglie: attacchi che, in alcuni casi, hanno costituito crimini di guerra.

Il rapporto, intitolato "Famiglie sotto le macerie", analizza otto casi in cui, durante l'operazione Margine protettivo, le forze israeliane hanno attaccato senza preavviso abitazioni familiari, causando almeno 104 morti, tra cui 62 bambini. Il rapporto evidenzia uno schema di attacchi frequenti con bombe lanciate dagli aerei per radere al suolo abitazioni civili, in cui in alcuni casi sono rimaste uccise intere famiglie.

"Le forze israeliane hanno ignorato sfacciatamente le leggi di guerra compiendo una serie di attacchi contro le abitazioni civili e mostrando una profonda indifferenza per le stragi causate" - ha dichiarato Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

"Il nostro rapporto denuncia uno schema di attacchi contro le abitazioni civili da parte delle forze israeliane, con uno sconvolgente disprezzo per le vite dei palestinesi, che non hanno avuto alcun preavviso e alcuna possibilità di fuga" - ha proseguito Luther.

Il rapporto di Amnesty International contiene numerose testimonianze di sopravvissuti che hanno descritto l'orrore di scavare tra la polvere e le macerie delle loro case distrutte, alla ricerca dei corpi dei bambini e degli altri parenti.In alcuni dei casi documentati nel rapporto, Amnesty International ha identificato possibili obiettivi militari. Tuttavia, la devastazione di vite e proprietà personali è stata in tutti i casi sproporzionata rispetto al vantaggio militare ottenuto con gli attacchi.

"L'eventuale presenza di un combattente in una delle abitazioni private colpite non avrebbe assolto Israele dall'obbligo di prendere tutte le precauzioni possibili per proteggere le vite dei civili intrappolati nei combattimenti. Gli attacchi ripetuti e sproporzionati contro le abitazioni dimostrano che le attuali strategie militari israeliane sono profondamente viziate e fondamentalmente in contrasto coi principi del diritto internazionale umanitario" - ha commentato Luther.

Nel più sanguinoso degli attacchi documentati nel rapporto, contro il palazzo al-Dali, un edificio di tre piani di Khan Yunis, sono morte 36 persone - tra cui 18 bambini - appartenenti a quattro famiglie. Israele non ha spiegato le ragioni dell'attacco ma Amnesty International ha identificato possibili obiettivi militari all'interno dell'edificio.

Il secondo peggiore attacco è stato contro un membro delle Brigate al-Qassam, il braccio armato di Hamas, che si trovava all'esterno dell'abitazione della famiglia Abu Jame', nei pressi di Khan Yunis. L'attacco ha raso al suolo l'edificio uccidendo 25 civili, tra cui 19 bambini.

A prescindere dall'obiettivo che si voleva colpire, in entrambi i casi si è trattato di attacchi enormemente sproporzionati. Secondo il diritto internazionale umanitario, quando divenne evidente che negli edifici si trovava un gran numero di civili, ciascun attacco avrebbe dovuto essere cancellato o rinviato.Le autorità israeliane non hanno fornito alcuna giustificazione per questi attacchi. In alcuni dei casi menzionati nel rapporto, Amnesty International non è riuscita a identificare alcun possibile obiettivo militare, giungendo alla conclusione che si sia trattato di attacchi diretti e deliberati contro civili od obiettivi civili, che costituirebbero crimini di guerra.

In tutti i casi illustrati nel rapporto, chi si trovava nelle abitazioni non ha ricevuto alcun preavviso. Se fosse stato dato, si sarebbero evidentemente potute evitare così tante perdite di vite umane."È tragico pensare che queste morti avrebbero potuto essere evitate. Sta alle autorità israeliane spiegare perché abbiano deciso di abbattere deliberatamente abitazioni piene di civili, quando avevano l'obbligo di ridurre al minimo i danni ai civili e avevano i mezzi per farlo" - ha sottolineato Luther.

Il rapporto di Amnesty International mette in luce le catastrofiche conseguenze degli attacchi israeliani contro le abitazioni, in cui è andata distrutta la vita di intere famiglie. Alcune delle abitazioni attaccate erano piene di parenti che erano fuggiti da altre zone di Gaza in cerca di riparo.

I sopravvissuti all'attacco contro l'abitazione della famiglia al-Hallaq, a Gaza City, hanno riferito ad Amnesty International le orribili scene dei corpi smembrati nella polvere e nel caos, dopo che l'edificio era stato centrato da tre missili.

Khalil Abdel Hassan Ammar, un dottore del Centro medico palestinese e abitante nell'edificio, ha raccontato: "Era terribile, non riuscivamo a salvare nessuno. Tutti i bambini erano bruciati, non riuscivo a riconoscere i miei da quelli dei vicini. Abbiamo caricato chi potevamo sulle ambulanze. Ho riconosciuto Ibrahim, il più grande dei miei figli, dalle scarpe che portava. Gliel'avevo comprate due giorni prima...".

Ayman Haniyeh, uno dei vicini, ha descritto il trauma della ricerca dei sopravvissuti: "Tutto ciò che ricordo sono le parti dei corpi, denti, teste, braccia, organi interni, tutto fatto a pezzi e sparpagliato".

Un'altra sopravvissuta ha raccontato di aver raccolto e portato via in una borsa i "brandelli" del corpo di suo figlio.

Finora, Israele non ha riconosciuto neanche uno degli attacchi descritti nel rapporto e non ha risposto alle richiesta di Amnesty International di fornire chiarimenti sulle ragioni di tali attacchi.

Durante l'ultimo conflitto, almeno 18.000 abitazioni sono state distrutte o rese inabitabili e oltre 1500 civili palestinesi - tra cui 519 bambini - sono stati uccisi dagli attacchi israeliani. I gruppi armati palestinesi hanno a loro volta commesso crimini di guerra, lanciando contro Israele migliaia di razzi indiscriminati, che hanno ucciso sei civili tra cui un bambino.

"Ora è veramente importante che chi ha commesso violazioni del diritto internazionale umanitario sia chiamato a renderne conto. Le autorità israeliane devono fornire risposte. La comunità internazionale deve agire con urgenza per porre fine al perenne ciclo di gravi violazioni e completa impunità" - ha chiarito Luther.

Poiché le autorità israeliane e palestinesi non sono state in grado di indagare in modo indipendente e imparziale sulle denunce di crimini di guerra, è fondamentale che la comunità internazionale sostenga la necessità del coinvolgimento della Corte penale internazionale (Icc).

Pertanto, Amnesty International rinnova la richiesta a Israele e alle autorità palestinesi di accedere allo Statuto di Roma e di autorizzare l'Icc a investigare sui crimini commessi in Israele e nei Territori palestinesi occupati. L'organizzazione per i diritti umani chiede inoltre al Consiglio di sicurezza di deferire all'Icc la situazione di Israele e nei Territori palestinesi occupati in modo che la procuratrice possa investigare sulle denunce di crimini di diritto internazionale attribuiti a tutte le parti coinvolte.

Israele continua a negare l'accesso a Gaza alle organizzazioni internazionali per i diritti umani, compresa Amnesty International, che pertanto ha dovuto condurre le sue ricerche a distanza, assistita da due operatori presenti sul campo. Israele ha anche reso noto che non collaborerà con la Commissione d'inchiesta istituita dal Consiglio Onu per i diritti umani.

"Non consentire un monitoraggio indipendente sui diritti umani a Gaza sa di uno smaccato tentativo, deliberatamente orchestrato, di coprire le violazioni o nasconderle allo scrutinio internazionale. Per dimostrare il suo impegno in favore dei diritti umani, Israele deve cooperare pienamente con la Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite e consentire l'immediato accesso a Gaza alle organizzazioni internazionali per i diritti umani come Amnesty International" - ha concluso Luther.


FINE DEL COMUNICATO Roma, 5 novembre 2014


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 07/11/2014, 0:08

Iran: Reyhaneh, un’inaccettabile violenza
di Dario Fo | 6 novembre 2014 - IL FATTO Q


L’imperatore Federico II aveva prodotto una legge infame, la defensa, grazie alla quale uno stupratore sorpreso in flagrante poteva farla franca gridando: “Viva l’imperator, grazie a deo!” e lasciando cadere sul corpo della sua vittima la somma di duecento Augustari. Con questo gesto lo stupratore si salvava la vita e rimaneva felice e impunito. In questo modo, il fare violenza a una donna diventava semplicemente un passatempo che i ricchi possessores potevano concedersi in ogni momento.

Otto secoli dopo gli uomini sono riusciti ancora una volta a diventare più barbari dei barbari, condannando a morte una donna che non aveva voluto cedere al suo stupratore e che, dimostrando un coraggio straordinario, si era difesa. All’istante la comunità internazionale si è messa in moto, invocando la grazia per Reyhaneh Jabbari, ma il governo iraniano ha preferito uccidere questa ragazza di soli ventisei anni, mettendo bene in chiaro che tentare di stuprare una donna è accettabile e permesso, mentre reagire con decisione contro questo sopruso affermando i propri diritti è il vero delitto da punire con la morte.


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 07/11/2014, 0:19


Amnesty condanna Israele, Parlamento Francia guarda a riconoscimento Palestina


06 nov 2014
by Redazione

La Ong internazionale a difesa dei diritti umani accusa Israele di aver compiuto attacchi a Gaza a disprezzo della vita umana. Un attacco al quale si unisce la contemporanea decisione dell’Assemblea nazionale francese di affrontare la questione del riconoscimento dello Stato di Palestina.




Roma, 6 novembre 2014, Nena News – Dura condanna di Amnesty International all’offensiva israeliana “Margine Protettivo” lanciata la scorsa estate contro la Striscia di Gaza controllata dal movimento islamico Hamas. Le Forze Armate israeliane a Gaza si sono “apertamente fatte beffa delle leggi di guerra con attacchi su case civili, mostrando una insensibile indifferenza alle carneficine provocate”, denuncia Philip Luther, direttore di Amnesty International in Medio Oriente, a commento del nuovo rapporto pubblicato ieri dal gruppo che tutela i diritti umani nel mondo. Luther inviata a leggere il rapporto di Amnesty per prendere coscienza di “esempi di attacchi” israeliani che indicano “disprezzo per la vita dei civili palestinesi, ai quali non è stato dato avviso nè possibilità di fuga”.

Un attacco molto duro al quale si unisce la decisione dell’Assemblea nazionale francese di affrontare la questione del riconoscimento dello Stato di Palestina, in linea con il voto a favore giunto a inizio ottobre dal Parlamento inglese e con il passo storico compiuto in quella direzione dal governo svedese (primo nell’Europa occidentale). Un gruppo di deputati della maggioranza socialista si prepara a depositare una proposta di risoluzione per invitare il governo francese “a fare del riconoscimento dello Stato della Palestina uno strumento per ottenere una soluzione definitiva del conflitto”.

L’attuale situazione, scrivo i firmatari, “è insostenibile e pericolosa perché nutre le frustrazioni e la sfiducia crescente tra le due parti”. Pertanto, aggiungono, c’è “l’urgente necessità di arrivare a una soluzione definitiva del conflitto che permetta la costituzione di uno Stato democratico e sovrano di Palestina, coabitante in pace e sicurezza con Israele”.

dell’istruzione Benoit Hamon, che sulla sua pagina Facebook scrive: “Il ruolo della Francia è fare di tutto Tra i promotori dell’iniziativa c’è anche l’ex ministroper incitare le parti in causa a riprendere negoziati concreti che portino alla creazione di uno Stato palestinese”, il riconoscimento della Palestina, “sarebbe un atto politico forte per dimostrare la determinazione della comunità internazionale a trovare uno sbocco pacifico e durevole al conflitto israelo-palestinese”.

La probabile approvazione della mozione in ogni caso non sarebbe vincolante per il governo francese, ma potrebbe spingere il presidente Hollande e l’esecutivo a prendere una posizione più netta in materia. Nei mesi scorsi, il ministro degli esteri Laurent Fabius si era detto possibilista su un riconoscimento della Palestina.

Il governo Netanyahu non ha commentato la mozione al parlamento francese. Il ministero degli esteri invece ha risposto al rapporto di Amnesty definendolo uno “strumento di propaganda per Hamas e per altri gruppi terroristici”. Secondo Israele il rapporto “non produce alcuna prova” in merito e Amnesty “ignora crimini di guerra ben documentati compiuti da Hamas”. Nena News
- See more at: http://nena-news.it/amnesty-condanna-is ... ntxxy.dpuf


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Contro la violenza sulle donne

Messaggioda flaviomob il 25/11/2014, 13:52

Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne: "Passi avanti ma non bastano per fermarla, occorrono maggiore protezione e prevenzione". Amnesty International Italia consegna alla presidente della Camera le prime 16000 firme
CS167-2014




Martedì 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, Amnesty International Italia consegnerà alla presidente della Camera, on. Laura Boldrini, le prime 16.000 firme raccolte da marzo per chiedere un maggiore impegno all'Italia per contrastare la violenza sulle donne.

Come rilevato dal secondo Rapporto Eures sul femminicidio in Italia, nel 2013 la violenza contro le donne è aumentata del 14 per cento rispetto al 2012: lo scorso anno 179 donne sono morte uccise da uomini, nel 70 per cento dei casi tra le mura domestiche o in contesti familiari o affettivi.

Pur apprezzando i passi avanti dal punto di vista legislativo e la sollecita ratifica parlamentare, nel settembre 2013, della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), poi entrata ufficialmente in vigore il 1° agosto 2014, Amnesty International continua a chiedere all'Italia maggior attenzione alla prevenzione, alla formazione e sensibilizzazione di tutti i soggetti che sono coinvolti nella lotta alla violenza contro le donne, lo stanziamento di fondi adeguati per i centri rifugio e i centri antiviolenza e, soprattutto, un'adeguata raccolta di dati statistici sul fenomeno.

Amnesty International sollecita inoltre la creazione di un'istituzione nazionale indipendente per i diritti umani con una sezione dedicata ai diritti delle donne, conformemente ai Principi di Parigi del 1993, dando così seguito a un impegno preso da tempo dall'Italia nei confronti della comunità internazionale.

La consegna delle firme (accompagnate da origami realizzati soprattutto nelle scuole di tutt'Italia l'8 marzo) avrà luogo nel corso del convegno "La violenza sulle donne in Italia: obblighi internazionali e sviluppi nazionali", che si terrà presso la sala Aldo Moro della Camera dei Deputati dalle 10 alle 12.30. Il contenuto dell'appello è stato inoltre presentato sotto forma di petizione popolare sia alla Camera che al Senato, nei giorni scorsi.

Al dibattito interverranno le deputate Marina Sereni (PD), Lia Quartapelle (PD) e Maria Edera Spadoni (M5S), le senatrici Valeria Fedeli (PD) ed Elena Ferrara (PD), il presidente di Pubblicità Progresso Alberto Contri, nonché rappresentanti dell'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad), e della stessa Amnesty International.






FINE DEL COMUNICATO Roma, 20 novembre 2014


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 27/11/2014, 11:15

La polizia uccide un Afro-Americano ogni 28 ore…aggiornamenti dagli USA sulla lotta di Fergouson
novembre 26th, 2014

Pubblichiamo un contributo di un compagno che sta in America…

L’America burcia. E brucerà per giorni se non settimane. Brucia perché in molti, soprattutto Afro-Americani, hanno finalmente deciso di non voler più chinare la testa difronte ad un sistema oppressivo, ingiusto e razzista: “enough is enough”. Brucia perché l’epidemia di giovani di colore freddati da poliziotti dal grilletto facile (secondo un report del Malcom X Grassroots movement le forze di polizia USA uccidono un’Afro-Americano ogni 28 ore, di cui l’80 % disarmato) non accenna a placarsi: dal 17 luglio (data in cui Eric Garner e stato strozzato da un membro della New York Police Department) ad oggi sono almeno 5 i casi in cui si può parlare di omicidio in senso pieno, ultimo in ordine di tempo un dodicenne freddato a Cleveland perché giocava con un’arma giocattolo. Brucia perché negli USA non c’è bisogno neanche di fare finta che la legge sia uguale per tutti, se sei nero e vieni sparato in pieno giorno da un bianco il più che puoi sperare è in un processo che comunque terminerà con la piena assoluzione dell’imputato.

Il verdetto del Grand Jury del Missouri è la versione Americana, e dunque estremizzata, delle assoluzioni nostrane a lá Cucchi, con un’arroganza ed un’impertinenza che è possibile solo in una nazione militarizzata e razzista come gli USA. Un’eventuale “indictment” (letteralmente rinvio a giudizio) dell’agente avrebbe significato non una condanna ma semplicemente l’apertura delle indagini sull’omicidio di Mike Brown. Ma per evitare che si incorresse nel noioso processo del dover rendere pubbliche le testimonianze delle decine di testimoni oculari che hanno chiaramente visto l’agente Darren Wilson freddare un Michael Brown con braccia alzate e disarmato, e per poi comunque finire con un’assoluzione dell’agente, in una sola mossa il Grand Jury ha deciso che non ci fossero neanche i presupposti per un processo. Dunque non assoluzione ma totale insussistenza del fatto. Nonostante l’omicidio sia avvenuto in pieno giorno, sia stato acclarato che Michael Brown fosse disarmato e che Darren Wilson abbia sparto almeno una decina di colpi. E c’è da dire che non accade praticamente mai che il Grand Jury deliberi un “no indictment”: nel 2010 solo 11 casi su oltre 160.000 sono terminati in un “no indictment” del Grand Jury (la stragrande maggioranza di questi casi non coinvolgono agenti di polizia). È così difronte ad una nazione in fiamme, il pubblico ministero Bob McCulloch (tra l’altro membro del Partito Democratico) ha ribadito forte e chiaro che l’operato della polizia non solo verrà sempre assolto ma non può neanche essere processato. Soprattuto se chi viene ucciso è un giovane Afro-Americano.

Da Ferguson però non si torna indietro. La nazione è letteralmente esplosa in una reazione di gran lunga superiore alla rabbia che si riversò nelle strade all’indomani dell’assoluzione di George Zimmerman (l’assassino di Trayvon Martin). E non soltanto nei numeri ma in particolare nella militanza delle varie manifestazioni: nella prima notte, a poche ore dal verdetto ci sono stati pesanti scontri da New York a Philadelphia, da Los Angeles a Ferguson dove negozi interi sono stati dati alle fiamme. Mentre nella giornata di martedì, “il giorno dopo”, ci sono state manifestazione in ogni singolo angolo della nazione. Quando poco più di un anno fa George Zimmerman fu assolto, la risposta fu numerosa ma per lo più simbolica. Questa volta il messaggio da Ferguson era chiaro: “shut-it-down!”. E così è accaduto con un numero imprecisato di autostrade, ponti e statali bloccate (il che è un evento di assoluta rarità negli USA) scontri e varie auto e negozi dati alle fiamme. Ovviamente l’escalation di repressione non si è fatta attendere con centinaia di arresti e schieramenti di polizia irreali. Nella sola nella città di Ferguson sono stati mobilitati 2200 agenti della Guardia Nazionale in più rispetto alla prima sera.

E questo è solo l’inizio. Tutto lascia presagire che il movimento non si placherà. Sono state chiamate manifestazioni ovunque anche per oggi. Ci sarà probabilmente un momento di calma giovedì in concomitanza con la festa più sentita dagli Americani, la festa del Ringraziamento. Ma alla mezzanotte sono stati indette manifestazioni in tutto il paese. Il giorno dopo il giorno del Ringraziamento è infatti il giorno del consumismo più sfrenato. Il celebre Black Friday che vede negozi di ogni genere presi letteralmente d’assalto in un trionfo di consumo iper-sfrenato. Ma per questo Black Friday il lavoratori del mega-colosso WallMart hanno indetto quello che si preannuncia il più grosso sciopero dei lavoratori della corporation. E da Ferguson in molti hanno indetto manifestazioni in solidarietà con i lavoratori e si parla di un vero e proprio boicottaggio del Black Friday. Certamente si è lontani dalla chiarezza in chiave anti-capitalista delle Black Panthers, ma un contatto tra i movimenti contro la “Police-brutality” e dei lavoratori avrebbe ripercussioni veramente significative.

Ed a giorni ci si aspetta il verdetto del Grand Jury dello stato di New York che delibererà sull’omicidio di Eric Garner, strozzato a New York in pieno giorno. E se anche in quel caso si dovesse finire con un “no indictment” la rabbia potrebbe davvero essere incontenibile.

http://www.noisaremotutto.org/2014/11/2 ... fergouson/


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 03/12/2014, 9:33

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I paesi che riconoscono lo stato palestinese. In rosso: anni '80/'90. In verde: 2000


Stato Palestinese, sì anche dalla Francia
L'Occidente si muove sul riconoscimento


Prima la Svezia. Poi Inghilterra, Irlanda, Spagna. E ora il primo passo di Parigi. Così stanno cambiando le scelte dell'Europa sul conflitto medio-orientale. A partire dalle posizioni dell'Alto commissario Mogherini
di Francesca Sironi
02 dicembre 2014


Uno Stato. La Palestina. Il riconoscimento dei territori palestinesi come “entità statale” è in corsa. Oggi la camera francese ha votato una mozione proposta dalla presidente socialista della commissione Esteri, Elisabeth Guigou, che impegna il governo a muoversi per rendere ufficiale la carta d'identità del Paese guidato da Mahmoud Abbas. Con il blocco contrario dei parlamentari di destra e il sostegno dei socialisti, la mozione è passata. E l'11 dicembre il testo arriverà al Senato.

La Francia segue così l'esempio di Svezia, Inghilterra, Irlanda e Spagna che hanno discusso provvedimenti simili negli ultimi due mesi. Il riconoscimento di uno Stato palestinese, considerato fino a poco fa un traguardo da raggiungere alla fine dei lunghi e mai risolti tavoli di pace con Israele, sta diventando uno strumento di pressione per gli accordi stessi.

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