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Se Silvio non è il Grande Fratello

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Se Silvio non è il Grande Fratello

Messaggioda ranvit il 13/01/2009, 20:08

Da Repubblica.it :


Se Silvio non è il Grande Fratello
di ANGELO MELONE

"Il Grande Fratello? Magnetico e interessante". Si consola con il reality di punta delle sue reti tv, Berlusconi, nella giornata che conferma - almeno per ora - la crisi del suo ruolo di Grande Fratello della maggioranza.

E' costretto a intervenire, rimbeccare, prendersi controrisposte piccate da alleati che mostrano di non sopportare nemmeno i suoi richiami all'ordine solo ventiquattr'ore dopo aver faticosamente messo a tacere lo scontro quasi personale con Bossi sulla soluzione della vertenza Alitalia.

Non fa in tempo ad assicurare che il permesso a pagamento per gli immigrati lo ha "fermato personalmente", che Maroni - il ministro responsabile - gli spiega che ci sarà, ma in un'altra legge. E lo fa dopo averne discusso con il ministro della Giustizia. Risposta del premier: "Nessuna marcia indietro, non ho voci di novità". Irriconoscibile.

E allo stesso modo è costretto - nemmeno un'ora dopo - a intervenire sulla reprimenda del presidente della Camera al governo per aver posto di nuovo la fiducia su un decreto. E che decreto: le misure per far fronte alla crisi economica. Fini s'infuria, lui è costretto a rispondere: "Ne avevamo bisogno", e si becca la controreplica al vetriolo: "Sì, ne aveva bisogno ma per le divisioni politiche nella maggioranza". Colpito e affondato. Non c'è molto da rispondere alla fotografia dell'esistente. Che non viene dall'opposizione ma da chi si sta per fondere nello stesso partito.

Momenti difficili, con i governatori di due aree chiave per il Pdl - Formigoni e Moratti - che di nuovo gli mandano a dire di non essere per nulla convinti della soluzione per Linate e Malpensa. E una incognita: in piena bufera economica è da prima di Capodanno che il ministro Tremonti praticamente non parla. Problemi?

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Bene , bene, bene....

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Re: Se Silvio non è il Grande Fratello

Messaggioda ranvit il 13/01/2009, 20:09

Da Repubblica.it :

L'annuncio del ministro dell'Interno dopo un incontro con Alfano
Il nuovo stop del premier: "Non c'è nessuna marcia indietro"
Maroni conferma la tassa agli immigrati
Ma Berlusconi: "Non c'è, Bossi d'accordo"
L'opposizione attacca. Minniti: "Il governo è in confusione"

ROMA - Sull'immigrazione il ministro dell'Interno Maroni insiste, ma il premier Berlusconi non arretra. Maroni oggi ha confermato la tassa sui permessi di soggiorno per gli immigrati, nonostante la contrarietà espressa nei giorni scorsi da Berlusconi. Ma il primo ministro ha subito ribattuto: "Non sono al corrente di novità". "Quell'emendamento quando mi è stato presentato ho subito detto che ero contrario - ha ribadito - non c'è stata nessuna marcia indietro". E a chi gli ha chiesto se ne ha parlato con il leader del Carroccio, Berlusconi ha risposto così: "Anche il Senatùr non ha fatto obiezioni particolari al riguardo". Insomma, secondo il premier non c'è nessuno scontro in atto tra Lega e Pdl. "Io e Bossi - ha detto - siamo stati insieme ieri lungamente. I nostri rapporti sono straordinari, veramente straordinari".

Critica l'opposizione. "Sull' immigrazione nel governo la confusione regna sovrana e dopo l'incontro Maroni e Alfano, il guardasigilli smentisce se stesso ed insieme smentiscono Berlusconi", ha dichiarato il ministro dell'Interno del governo ombra, Marco Minniti. "Cresce la confusione nel governo", gli ha fatto eco il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando.

Nel pomeriggio Maroni, al termine dell'incontro con il ministro della Giustizia Angelino Alfano, ha spiegato: "L'emendamento c'è, solo che al posto dei 200 euro per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno (che erano già scesi a 50 euro, ndr) si prevede un contributo da definire con decreto del ministero dell'Interno e di quello dell'Economia. Ma il principio viene affermato così come previsto e votato".

Nel ddl, ha concluso il ministro, "resta il reato di immigrazione clandestina punito con un ammenda e con la sanzione accessoria dell'espulsione decisa dal giudice di pace che si somma all'eventuale espulsione ordinata dal questore. E' una possibilità in più di espellere un clandestino". E sempre in tema di sicurezza, ha rivelato che lo stop ai flussi migratori previsto da un emendamento della Lega diventerà un ordine del giorno. Nella sostanza, ha spiegato Maroni, "si raccomanda al governo di fare una verifica sulla necessità di nuovi ingressi di stranieri".

La Lega deve inoltre fare marcia indietro sull'emendamento che prevedeva cure mediche a pagamento per gli immigrati, mentre i medici non avranno l'obbligo di denunciare l'immigrato clandestino che chiede di essere curato.

Peraltro, ha continuato Maroni, la crisi economica ha determinato un calo delle richieste di ingresso in Italia per lavoro da parte di extracomunitari. "A fronte dei 150.000 ingressi previsti dal decreto flussi - ha spiegato il ministro - sono arrivate 127.000 domande, 13.000 in meno quindi del tetto stabilito che per qualcuno era troppo severo". Ciò, ha sottolineato il leghista, "dimostra che c'è una riduzione della richiesta: c'è una crisi che determina la perdita di lavoro in primo luogo dei cittadini extracomunitari".

(13 gennaio 2009)
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Nordisti e sudisti?

Messaggioda ranvit il 14/01/2009, 13:58

Da Repubblica.it :

L'ira del premier per il nuovo blitz
"Gianfranco farà la fine di Casini"
di CLAUDIO TITO

Berlusconi contro l'alleato: cerca visibilità ma neanche i suoi lo seguono
Dietro gli scontri la guerra tra partito del Nord e i sudisti
ROMA - "Gianfranco cerca visibilità. Ma così il ruolo lo perde e non lo trova. Sta sbagliando tutto. Se cerca spazio nel futuro del Pdl, così farà solo la fine di Casini. Lì ce lo abbiamo messo noi e non il Pd". Da qualche settimana Silvio Berlusconi ha messo nel mirino il presidente della Camera. E anche la strigliata fatta ieri al governo non l'ha digerita. Anzi, lo ha mandato su tutte le furie.

Eppure, quel che è accaduto ieri pomeriggio nell'aula di Montecitorio non è stato solo lo "scontro" sulle formalità istituzionali. Non si tratta esclusivamente di un battibecco tra il Cavaliere e il leader di An. Ma è la rappresentazione plastica delle tensioni che stanno agitando la maggioranza. E già, perché dietro la questione di fiducia si è giocata una partita molto più ampia. Che ha contrapposto le due "anime" che si contendono la supremazia nel centrodestra. Il partito del nord contro quello del sud. Giulio Tremonti contro Fini. La Lega di Bossi contro Gianni Letta. Il premier media, ma con il dente avvelenato nei confronti dell'inquilino di Montecitorio.

L'ondata di emendamenti al decreto anticrisi, infatti, ha preso origine da questi conflitti. Il secco "no" del ministro dell'Economia alle richieste di molti parlamentari meridionali (in particolare sulle tariffe elettriche che penalizzerebbero le imprese del sud) ha scatenato la bagarre. Centoventi proposte di modifica, tutte presentate dal Pdl, hanno messo sulla graticola il Tesoro. Non solo. Lo stesso Tremonti nello scorso week end aveva chiesto di rivedere completamente il testo del provvedimento. Per correggerlo e ampliarlo con un maxiemendamento. "Quelle richieste sono inaccettabili. Hanno capito in che situazione ci troviamo? - si è lamentato il capo di Via XX Settembre - Semmai bisognerebbe cambiare il decreto per stringerlo ulteriormente". Tant'è che nessuno esclude un nuovo decreto milleproroghe per colmare qualche lacuna. Uno stop cui i deputati del Pdl hanno però reagito con nervosismo, appunto con un fiume di emendamenti. Tant'è che lunedì sera, dopo un colloquio con il capogruppo Pd Antonello Soro, Fini ha lanciato l'allarme. Difendendo le istanze "sudiste" e invitando l'esecutivo a correre ai ripari. Ha chiesto a Gianni Letta di evitare la fiducia. La soluzione escogitata, allora, è stata quella di sterilizzare le istanze di tutti, "nordisti" e "sudisti", blindando il testo già approvato in commissione.

Ma i malumori non sono affatto passati. E l'ultimo scorcio della medesima partita si è consumata ieri sera con l'attacco del Carroccio a Gianni Letta. Roberto Castelli si è scagliato contro il sottosegretario sulla vicenda Malpensa-Fiumicino. Ossia, ancora nord contro sud. Nello stessa logica il ministro degli Interni, Roberto Maroni, ha ripresentato l'emendamento sulla tassa sul permesso di soggiorno per gli immigrati. Così, di fronte al forcing lumbard, Fini ha rilanciato la sua parola d'ordine: "La Lega faccia quel che vuole ma noi quella tassa non la votiamo nemmeno al Senato".
Il clima pesante non piace per niente a Berlusconi. Non vuole ripercorrere il sentiero litigioso percorso nel 2001-2006. Evita di schierarsi apertamente nel braccio di ferro tra le due anime della Cdl. Ma le uscite di Fini lo indispettiscono. "Cerca visibilità - si è sfogato con i suoi - ma non si è reso conto che non lo seguono più nemmeno quelli di Alleanza nazionale. Se continua così diventa il leader del Pd". Parole che il capo del governo ripete da tempo. Come è successo sabato scorso sulla tassa sugli immigrati. "Sapeva benissimo - si era sfogato nella sua camera d'albergo a Cagliari - che non l'avrei fatta passare. E invece ha dovuto fare uno show". Stesse lamentele sulla giustizia. Perché il premier non ha affatto digerito la lettera al Corriere. "Pensano di costringermi a fare quello che vogliono loro, pensano di circondarmi". E quegli altri sarebbero il Quirinale e il Csm, Giorgio Napolitano e Nicola Mancino. "Ma sappiano - ha avvertito - che una riforma come dicono loro, io non la faccio. Tanto vale lasciare tutto così com'è".

Anche da parte di Fini i "non possumus" non mancano. Ieri la terza carica dello Stato se l'è presa soprattutto con il ministro per i rapporti con il Parlamento: "ha detto delle cose incredibili. Non poteva far finta di niente". Ma in gioco c'è il futuro del Pdl. Da tempo i vertici di An si lamentano per lo scarso peso assegnato nel nuovo partito. Viene rimarcata la circostanza che non è previsto un ruolo per Fini nel Popolo delle Libertà. "Un ruolo - dicono i suoi fedelissimi - che dovrebbe essere alla pari di quello di Berlusconi". Del resto, bastava leggere mercoledì scorso l'intervista rilasciata al Tempo da uno dei principali consigliere di Fini, Alessandro Campi, e in privato rivendicata dal presidente della Camera: "Se il Pdl non cambia, An rischia di entrare in un calderone e rimettersi alla volontà di Berlusconi. Un suicidio politico". Insomma, la posta in palio è la guida e i compiti nel futuro del centrodestra. Di successione, però, Berlusconi non vuole sentire parlare. Soprattutto dagli attuali "contendenti".

(14 gennaio 2009)

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Certo che se si scatena una "guerra" nordisti-sudisti sarà veramente dura per il Cavaliere!

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Re: Se Silvio non è il Grande Fratello

Messaggioda pinopic1 il 14/01/2009, 17:06

Sarà più dura per noi, temo. Lui sa essere abbastanza double face da farsi amare sia dai nordisti che dai sudisti.
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Re: Se Silvio non è il Grande Fratello

Messaggioda guidoparietti il 14/01/2009, 17:26

pinopic1 ha scritto:Sarà più dura per noi, temo. Lui sa essere abbastanza double face da farsi amare sia dai nordisti che dai sudisti.

E infatti lui è amato sia al sud che al nord. Tuttavia quando dall'amore si passa alla rappresentanza di interessi, la questione cambia e si cominciano a vedere dei veri rapporti di forza. Berlusconi può essere carismatico quanto vuole, ma finché c'è un sistema politico in cui non è l'unico attore (e speriamo di non arrivarci – dietro le parole di Berlusconi contro Fini si vede chiaramente la sua volontà di essere l'unico potere in campo) le divergenze reali che esistono dietro la sua facciata unifacatrice in un modo o nell'altro si manifesteranno sempre.
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Re: Se Silvio non è il Grande Fratello

Messaggioda pinopic1 il 14/01/2009, 18:04

E' tutta una manfrina. Gli uni la danno a intendere agli elettori del nord, gli altri a quelli del sud. E Berlusconi sia a quelli del nord che a quelli del sud.
Questa della tassa sugli immigrati poi mi sembra una invenzione per distogliere l'attenzione da Malpensa. Adesso gli elettori del nord si appassioneranno a questa cosa e si dimenticheranno di Malpensa.
Quelli del sud invece sono contenti che ai leghisti sia andata buca su Alitalia e così si dimenticano i problemi loro.
La rappresentanza degli interessi, dici? In un altro post Ranvit ha riportato l'esito di un sondaggio sugli amministratori locali. In Sicilia c'è un plebiscito di consensi per presidente della regione, presidenti delle province e sindaci. Di cosa sono contenti? Prova a indovinare.
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Re: Se Silvio non è il Grande Fratello

Messaggioda guidoparietti il 14/01/2009, 18:25

pinopic1 ha scritto:In Sicilia c'è un plebiscito di consensi per presidente della regione, presidenti delle province e sindaci. Di cosa sono contenti? Prova a indovinare.

Il fatto che siano rappresentati degli interessi non vuol dire automaticamente né che siano rappresentati in modo perfetto né peraltro che siano interessi buoni o legittimi. Ma comunque producono articolazioni e differenze che sul piano politico si traducono in divergenze all'interno di ogni maggioranza parlamentare. Finché naturalmente il parlamento si regge, cosa non così immediatamente scontata visto il continuo logorio che subisce ormai da decenni.
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Re: Se Silvio non è il Grande Fratello

Messaggioda ranvit il 15/01/2009, 20:14

Da Repubblica.it :


Lo scontro con Berlusconi è ancora aperto. Il presidente della Camera
va da Napolitano e trova un'intesa sulla difesa del Parlamento
Ma Gianfranco resta in trincea
"È in gioco il mio futuro politico"
Nasce un correntone dei suddisti del Pdl, in 72 vanno da Berlusconi

di CLAUDIO TITO


Gianfranco Fini, presidente della Camera
ROMA - La pace è ancora lontana. Lo scontro tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi non si ferma. E il presidente della Camera, per frenare il premier, gioca anche la carta "istituzionale". Sale sul Quirinale e riferisce quel che è successo martedì scorso dopo la richiesta di fiducia del governo. L'inquilino di Montecitorio cerca insomma l'appoggio del Colle e lo ottiene. Del resto, Giorgio Napolitano è da sempre uno strenuo difensore della "centralità del Parlamento".

Anche in occasione dell'incontro natalizio con le alte cariche dello Stato aveva puntato l'attenzione sul ruolo delle Camere. La sintonia tra i due è ormai una costante di questa legislatura. Anche le proposte "finiane" sulla giustizia sono state in parte il frutto del confronto con il presidente della Repubblica.

Ieri allora per il capo di An, l'incontro con il capo dello Stato ha rappresentato in primo luogo un'arma difensiva. Gli affondi di Palazzo Chigi non sono mancati. Come quelli della Lega e di quel "partito del nord" che nella maggioranza sta quotidianamente schierando le sue truppe.

Il chiarimento tra il Cavaliere e Fini, dunque, pure ieri non c'è stato. I due non si sono visti e nemmeno parlati al telefono. In aula, anzi, si sono accuratamente evitati. "I problemi - ripeteva ieri il leader di Alleanza nazionale - restano tutti". "E - spiega uno che conosce entrambi come il segretario del Pri, Francesco Nucara - sono di natura politica, non tecnica". A cominciare dalla definizione del Pdl. Un appuntamento che per gli uomini di Via della Scrofa sta diventando un vero e proprio incubo. Tanto da metterne in discussione la data, ossia il 27 marzo.

"Non c'è nulla di fissato", si sgolava ieri Ignazio La Russa. I fedelissimi di Fini invocano un intervento politico da parte del loro leader. L'equilibrio su cui viene costruito il Popolo delle libertà, a loro giudizio, è infatti troppo sbilanciato su Forza Italia. Ma soprattutto non esiste al momento una carica da affidare al presidente della Camera. Che rischia di restare fuori dalla "corsa" per la leadership del prossimo decennio. Nei giorni scorsi, proprio l'inquilino di Montecitorio spiegava: "Io so bene che non figuro nella linea di successione stabilita da Berlusconi. Devo puntare sul partito per giocare le mie chance". E, appunto, adesso ha iniziato a giocarle. Tanto che dalle parti di Via dell'Umilità, la sede del Pdl, è tornata a circolare l'ipotesi di istituire un ruolo ad hoc per Fini. Forse di rappresentanza nelle sedi internazionali. Ma allo stato tutto resta nebuloso.

Per il Cavaliere, al contrario, "tutto è chiaro". La tela tessuta dall'alleato sta diventando troppo fitta. Più che assecondarlo, allora, lo ignora. Parla con Umberto Bossi per placarlo. Ma non lui. Discute con i parlamentari medridionali, ma non con lui. "Perché è lui che si cerca i problemi, non glieli determino io".

Nelle dichiarazioni pubbliche lo ha quasi provocato. Perché l'applauso alla sua funzione "super partes" va interpretata proprio come l'esclusione dalla futura guida del centrodestra: "È "super partes" , quindi non può essere il leader del Pdl". Ma soprattutto il premier non riesce a capire le questioni sollevate dagli esponenti di An. "Cavillano sullo statuto. Mi parlano di probiviri e poi vengo sapere che si tratta di un tribunale interno. Dovrei avere a che fare con i tribunali anche nel mio partito?".

Per di più nella singolar tenzone tra i due big della maggioranza, si è infilato Umberto Bossi. Che capeggia il fronte "nordista" della coalizione cui adesso si sta opponendo quello "sudista". I ministri di Forza Italia, convocati a Via del Plebiscito, ieri invitavano il Cavaliere a riprendere il rapporto con Fini. Ma lui replicava: "Non mi preoccupa Gianfranco, mi preoccupa Umberto. Fino alle europee non la smetterà". E già, perché il premier continua a considerare la Lega l'unico alleato con cui davvero fare i conti. Tant'è che ha convocato il Senatur per tranquillizzarlo.

Anche se i dossier aperti continuamente dal Carroccio ormai stanno diventando una via crucis per la maggioranza. In particolare per gli eletti nelle regioni meridionali. Che cominciano a fremere. Il federalismo, gli immigrati, Alitalia, i fondi per le aree sottoutilizzate: temi sollevati dal Carroccio e poi sostenuti da ministri come Giulio Tremonti e Maria Stella Gelmini o da "big" del Pdl come Roberto Formigoni e Letizia Moratti. Un "correntone" che ha costretto gli esponenti del Mezzogiorno a organizzarsi nello stesso modo. Non a caso mentre ieri parlava con Bossi, quasi contemporaneamente ha dovuto ricevere 72 parlamentari "sudisti" guidati dal ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto, con l'unico obiettivo di garantire su un programma "concreto" che ribilanci i fondi a favore del meridione. Un gioco di equilibrismo che dovrà andare avanti ancora per molto tempo.

(15 gennaio 2009)
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